“Salviamo l’inviato speciale”, giornalismo d’inchiesta a rischio

Vatican News

Prosegue in Puglia, la XV edizione del Festival Internazionale dei Giornalisti del Mediterraneo. Nella seconda serata, lanciato un grido d’allarme per il pericolo d’estinzione delle inchieste giornalistiche e del loro contributo alla democrazia

Fabio Colagrande – Otranto

Con lo sviluppo del web, e in particolare dell’informazione digitale, il giornalismo cartaceo è entrato in crisi. Nei prossimi anni, anche in Italia, saranno probabilmente pochi i quotidiani a sopravvivere, mentre a resistere meglio saranno forse i settimanali. La velocizzazione dei tempi della comunicazione ha avuto però un altro effetto collaterale: la qualità dell’informazione si è abbassata. È diventato arduo appurare la fonte di una notizia e le fake news proliferano incontrollate. In questo preoccupante contesto che spinge verso l’omologazione dell’informazione, c’è una figura professionale di cui si avverte sempre più la mancanza: quella dell’inviato speciale. L’allarme è stato lanciato giovedì 7 settembre a Otranto, in Puglia, nella seconda serata della XV edizione del Festival dei giornalisti del Mediterraneo, di cui Radio Vaticana – Vatican News è, anche quest’anno, media partner.

Cronisti, magistrati e avvocati a confronto

Sul palco di Largo Porta Alfonsina, uno dei luoghi più suggestivi del centro turistico del leccese, è andato in scena un vivace dibattito dal titolo “Cacciatori di tracce investigative: il ruolo del giornalista d’inchiesta”. Da sempre, infatti, questo appuntamento culturale di inizio settembre prova a riflettere, oltre che sui temi dell’attualità internazionale e italiana, sulle sfide della professione giornalistica. Moderati da Vincenzo Sparviero, caposervizio della Gazzetta del Mezzogiorno, si sono confrontati in un panel di un’ora, Milto De Nozza, magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, la criminologa Anna Leone e il penalista Ubaldo Macrì. A rappresentare la categoria giornalistica c’erano anche Paolo Di Giannantonio, per anni inviato speciale del Tg1 e il vicedirettore dell’Agenzia Ansa, Stefano Polli.

Quelle suole che non si consumano più

È stato quest’ultimo a lanciare l’allarme sulla necessità di salvare la figura dell’inviato speciale che rischia ormai la definitiva estinzione in redazione giornalistiche dove gli editori tagliano ogni giorno i costi e i direttori non possono permettersi di impegnare per lungo tempo un solo cronista su una sola notizia. Nell’attuale contesto dell’informazione digitale, prevale ormai la necessità di produrre rapidamente molti articoli per attirare molti più click, senza curarsi troppo della qualità, della certezza delle fonti e soprattutto della veridicità. Così, ormai da tempo, si cercano le notizie sul web, senza verificarle, vanificando l’appello lanciato da Papa Francesco nel 2021, nel

Il pubblico a Largo Porta Alfonsina per la seconda serata del Festival

Il coraggio del giornalista d’inchiesta

“Il giornalismo è un lavoro di un’orchestra, dove esistono diverse specializzazioni”, ha spiegato Paolo Di Giannantonio, cronista con alle spalle inchieste prestigiose come quelle sui conflitti in Medio Oriente o quella sull’attentato che colpì San Giovanni Paolo II nel 1981. “Quella del giornalismo investigativo è senz’altro una delle più avvincenti ma non va confusa con il lavoro dei magistrati”. “Questi ultimi cercano i colpevoli, mentre i cronisti – ha aggiunto il giornalista romano – hanno il dovere di denunciare anche quei comportamenti che, pur non essendo reati, rappresentano  un malcostume sociale”. Per fare del giornalismo d’inchiesta, ha spiegato ancora Di Giannantonio, servono “la voglia di rischiare, un finanziamento adeguato, e non aver paura delle conseguenze del proprio lavoro, come le querele fittizie che cercano di intimidire i cronisti”.

A tutela della democrazia

“Il giornalismo d’inchiesta è l’esaltazione massima del nostro lavoro”, ha aggiunto Stefano Polli dell’Ansa. Significa infatti “cercare ciò che non si conosce” per approdare a quella “verità” che è un contributo prezioso “per la vita dei cittadini e per la tutela della democrazia di un Paese”. “Fare un’inchiesta – ha aggiunto Polli – significa spesso dare fastidio a chi detiene il potere e ancora oggi in molti Paesi, anche europei, diversamente dall’Italia, questa libertà non c’è”.

Il magistrato non faccia il giornalista (e viceversa)

Sulla difficile, ma a volte fruttuosa, convivenza tra indagini giornalistiche e indagini giudiziarie si è invece soffermato il dottor Milto De Nozza, sostituto procuratore dell’Antimafia di Lecce. Affinché i due percorsi siano efficaci – ha riflettuto il magistrato – occorre soprattutto che siano distinti. Se infatti l’obbiettivo di un’inchiesta giudiziaria è appurare un fatto storico, in modo puntuale, all’indagine giornalistica è demandato di fornire una visione più ampia delle cose, di raccontare il sistema che c’è dietro una “notitia criminis”. “Ogni volta che un’inchiesta giudiziaria esce dal suo compito di appurare un fatto e prova ad analizzare un fenomeno fallisce”, ha spiegato De Nozza. “Il magistrato non deve fare il giornalista”.

Pro e contro dei processi mediatici

Ampio spazio è stato infine dedicato al dibattito sui cosiddetti “processi mediatici” e in particolare ai “salotti televisivi” che spettacolarizzano i casi giudiziari. Se l’avvocato Macrì ha sottolineato il rischio che “la presenza delle telecamere alteri la verità”, Polli ha ricordato come “i salotti siano una cosa e l’informazione un’altra” e il giornalismo libero, autonomo e indipendente, possa dare un contributo fondamentale per appurare la verità dei fatti, anche dando un aiuto prezioso – come è accaduto – alle indagini dei magistrati. “L’importante – ha aggiunto ancora De Nozza – è che il sistema giudiziario e quello giornalistico interagiscano tra di loro correttamente”, anche perché la chiusura totale dei magistrati nei confronti della stampa è deleteria.

Cani da guardia del potere

In chiusura, Di Giannantonio ha voluto enfatizzare la situazione di solitudine e svantaggio del cronista che al termine di un’inchiesta deve decidere se pubblicare una notizia che può provocare nei suoi confronti dure reazioni da parte di chi detiene il potere. L’auspicio è che ci siano sempre cronisti che credono nel cosiddetto “watchdog journalism”, condividendo l’appello della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, uccisa in un attentato nel 2017 dopo le sue inchieste sulla corruzione: “Dì la verità anche se la tua voce trema”.