Sahel, sicurezza e sviluppo per la stabilità della regione

Vatican News

Elvira Ragosta – Città del Vaticano

La sicurezza nella regione al centro del vertice del G5 Sahel (Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Ciad) e della Francia. I leader del gruppo di cinque nazioni e alleati del Sahel dell’Africa occidentale si incontrano oggi, lunedì, e domani mentre il presidente francese Emmanuel Macron seguirà i lavori in videoconferenza e non si recherà a N’Djamena a causa del contesto sanitario che sta vivendo la Francia per la pandemia di Covid-19. Martedì mattina anche un incontro con i partner della Coalizione per il Sahel, che riunisce tutti i Paesi che forniscono assistenza nella lotta ai gruppi jihadisti, in cui è previsto un videomessaggio del segretario di Stato Usa Antony Blinken. L’Eliseo ha anche confermato “una riflessione in corso” su un “aggiustamento” della forza francese Barkhane, come annunciato a gennaio da Macron, composta da 5.100 soldati francesi impegnati nelle operazioni di antiterrorismo nel Sahel.

Le problematiche della regione

Per Enrico Casale, della Rivista Africa, le minacce che riguardano il Sahel sono tre: “Innanzitutto – dice a Vatican News – il cambiamento climatico che sta riducendo le risorse, soprattutto quelle idriche: da qui, i problemi di carattere economico con uno sviluppo che stenta grandemente e, di conseguenza, la presenza di tensioni sempre crescenti che sono sfociate nel terrorismo. Nell’area operano numerosi gruppi terroristici, alcuni legati al sedicente Stato islamico, altri al network di Al-Qaeda”. Non solo il terrorismo, nella sua intervista ai nostri microfoni, Casale individua anche un problema di criminalità comune in quest’area, dove transitano le principali rotte attraverso le quali la grande criminalità fa passare droga, armi, sigarette e gestisce il traffico di esseri umani.

Ascolta l’intervista a Enrico Casale

Non è solo una questione di sicurezza

Prima di essere una regione di conflitti, gruppi armati e operazioni anti-jihadiste, il Sahel è una delle aree più povere del mondo, dove quasi la metà della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno. Centinaia sono le ong che operano sul territorio, con personale locale e internazionale, occupandosi delle emergenze umanitarie e svolgendo attività di sviluppo, spesso in condizioni pericolose, subendo a volte attacchi alle loro strutture e attrezzature, come al loro personale. “Purtroppo sono le popolazioni a subire le conseguenze di questi attacchi. Gli aiuti e le cure subiscono notevoli ritardi, addirittura vengono sospesi”, afferma Mirella Hodeib, funzionario del Comitato internazionale della Croce Rossa  in Mali, i cui due veicoli sono stati attaccati a settembre. Nel 2020, 2.248 civili sono stati uccisi, 400 in più rispetto al 2019, secondo l’ong Acled, specializzata nella raccolta di dati sui conflitti.

Risolvere i problemi di base

Accanto alla sicurezza, dunque, ci sono anche altri settori in cui è necessario intervenire per garantire stabilità nell’area. “I problemi sono tanti – aggiunge l’africanista – la Banca mondiale parla di 4 persone su dieci sotto la soglia di povertà, il 10% della popolazione soffre di malnutrizione e il 40% dei bambini soffre perché non ha sufficiente cibo tutti i giorni. Quindi le politiche devono concentrarsi soprattutto sui problemi di base, come l’istruzione, e fornire elementi che riescano a garantire una sufficienza, almeno alimentare, delle popolazioni; perché, al contrario, da queste aree possono partire grossi flussi migratori, e già succede, verso l’Europa e verso altre zone dell’Africa per cercare soluzioni che in patria non riescono a trovare”. Circa il vertice che si apre oggi a N’Djamena, per Casale le aspettative riguardano un maggiore coordinamento dal punto di vista della sicurezza, considerata la base per lo sviluppo, e delle politiche coordinate di carattere economico che aiutino i Paesi del Sahel, soprattutto i più poveri, per dare una risposta il più possibile legata al rispetto delle risorse naturali e per garantire una crescita economica dei singoli Stati. “Sarà – conclude – un processo lungo, non immediato, però è un cammino che va fatto. E questo potrebbe essere un primo passo in questa direzione”.