Manuel Cubías – Città del Vaticano
Il 12 marzo 1977, intorno alle cinque del pomeriggio, Rutilio Grande insieme a Manuel Solórzano (72 anni) e al giovane Nelson Rutilio Lemus (15), si stavano recando con il loro veicolo, detto zafari, a El Paisnal, villaggio a circa 40 chilometri di San Salvador, per celebrare l’ultimo giorno della novena in onore di San Giuseppe, patrono della comunità. A El Paisnal, la chiesa era pronta per la festa ma padre “Tilo”, come lo chiamavano i contadini, non vi arrivò mai. In un’imboscata un gruppo di uomini armati spararono contro lo zafari; l’auto si ribaltò e i tre corpi rimasero all’interno. Il successivo rapporto della scientifica affermò che padre Rutilio fu colpito dodici volte. I tanti che attendevano il sacerdote per celebrare l’Eucarestia, appresa la notizia, corsero sul luogo dell’assassinio. Un gruppo di agenti dell’allora Guardia Nazionale non lasciarono avvicinare nessuno ai corpi.
L’impegno per i poveri
Padre Rutilio – che sarà beatificato il prossimo 22 gennaio in Salvador insieme a Solórzano, Lemus e al francescano Cosma Spessotto – fu giustiziato per il suo impegno per i poveri di El Salvador. Dal 1970 in poi la società salvadoregna, caratterizzata da enormi disuguaglianze, cominciò a fare passi avanti verso una maggiore organizzazione contadina per rivendicare i propri diritti. Questi anni furono caratterizzati dal confronto tra i diversi gruppi di potere e le organizzazioni sindacali, ma anche dalla dura repressione del governo in un crescendo di violenze che colpirono soprattutto membri della Chiesa, accusati di sobillare i contadini e la povera gente. Nel 1992, alla fine della guerra civile esplosa nel 1980, furono uccisi più di 20 sacerdoti, quattro suore, centinaia di catechisti e anche l’arcivescovo Óscar Romero.
L’ideale di fraternità: una tavola per tutti con Cristo in mezzo
In quegli anni padre Grande si adoperò perché venissero rispettati la vita e i diritti dei contadini, come ricorda il gesuita padre Rodolfo Cardenal, autore del libro “Vida, pasión y muerte del jesuita Rutilio Grande” (2016). Il sacerdote seguiva un ideale di fraternità per la Chiesa e il mondo, quella che descrisse plasticamente in un’omelia del 13 febbraio 1977, ad Apopa: “Lunghe tovaglie, una tavola comune per tutti, sgabelli per tutti, e Cristo nel mezzo! Lui che non ha preso la vita di nessuno, ma l’ha offerta per la causa più nobile… La costruzione del Regno, che è la fraternità di una tavola comune, l’Eucaristia”.
Un approccio innovativo per la formazione
Padre Rutilio aveva adottato, inoltre, un approccio innovativo alla formazione dei seminaristi, come pure dei laici – uomini e donne – quando fu assegnato alla parrocchia di Aguilares. Diceva: “Ora non aspetteremo i missionari da fuori. Piuttosto, dobbiamo essere noi stessi missionari”. In questo sforzo, Padre Grande e i suoi compagni gesuiti iniziarono a visitare le persone sia nelle comunità rurali che nelle popolazioni urbane. La vicinanza ai contadini e alle loro sofferenze doveva essere uno dei punti principali del lavoro pastorale. Col tempo, il loro approccio personale attirò le persone alla celebrazione dell’Eucaristia, ai sacramenti e allo studio della Bibbia, originando una vivace comunità di cristiani che partecipano attivamente alla vita della parrocchia.
Quattro martiri, quattro benedizioni
Padre Cardenal afferma che la beatificazione dei quattro martiri pone la Chiesa salvadoregna e latinoamericana sul cammino della Chiesa martire: “Rutilio Grande è associato a monsignor Romero. E monsignor Romero non può essere compreso senza Rutilio Grande. Lui e altri sacerdoti hanno lavorato per preparare il cammino pastorale che Romero ha poi percorso e portato avanti”. D’altro canto, secondo il biografo gesuita, padre Grande e gli altri tre martiri sono il simbolo di “una richiesta di verità e giustizia in un Paese dove le bugie sono strutturali, dove vige l’impunità e dove i crimini di guerra non sono stati investigati o giudicati”.
“Chiesa in uscita”
Il contributo più importante di questi martiri, dice lo storico, è quello di essere stati al fianco dei poveri in un momento di conflitto e di difficoltà: “È quello che Papa Francesco chiama ora ‘la Chiesa in uscita’, che va alle periferie. Loro sono andati nelle periferie. Questo era il sogno di padre Grande, lui voleva che la creazione fosse condivisa da tutta l’umanità, che nessuno dichiarasse come proprio qualcosa che era comune a tutti. Ha promosso la creazione di comunità dove ognuno avesse il proprio spazio”.
Rodolfo Cardenal insiste sull’importanza del contributo e dell’esperienza pastorale di padre Rutilio Grande, in particolare sull’idea di consolidare una “pastorale de conjunto” che sottolinea l’esercizio della pastorale in équipe. “Che, in sostanza, è ciò che Papa Francesco chiama la via sinodale”. Grande ha lottato per questo, così come “per una società in cui gli esseri umani potessero vivere in pienezza”. La Chiesa salvadoregna si sta preparando alla celebrazione di questi quattro martiri nel desiderio che la verità venga conosciuta e che sia fatta giustizia.