Manuel Cubías e Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“È stato ucciso in odio alla fede perché difendeva la giustizia, l’amore, la fraternità nel suo Paese in tempi molto difficili. Lo faceva con la vita e con le parole. Speriamo che aiuti alla riconciliazione in El Salvador e anche in altri luoghi come modello di giustizia”. Sono parole appassionate quelle con cui il gesuita padre Pascual Cebollada S.J., ricorda Rutilio Grande, il sacerdote della Compagnia di Gesù assassinato nel 1977 in odio alla fede per il suo impegno per i contadini, i poveri e i deboli del suo Paese, che oggi la Chiesa proclama beato a San Salvador.
Con lui, in una cerimonia presieduta dal cardinale Gregorio Rosa Chávez, saranno elevati agli onori degli altari anche Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus. Ovvero i due contadini laici, all’epoca rispettivamente di 72 e 15 anni, che quel terribile pomeriggio del 12 marzo di quarantacinque anni fa viaggiavano insieme a “padre Tilo”, così come era conosciuta su quella macchina zafari, diretta verso il villaggio nativo El Paisnal, che si ribaltò tanto dai colpi d’arma da fuoco ricevuti. Dodici crivellarono solo padre Rutilio.
Un processo agile
Le macchie di sangue intrise su un fazzoletto di tela bianca, con il nome del gesuita ricamato su un angolo, sono divenute una reliquia, portata ieri dal Museo dei Martiri alla Commissione che si occupa della beatificazione. Davanti a quel panno che Grande portava in tasca al momento dell’assassinio, i fedeli del Salvador hanno potuto pregare e chiedere grazie al nuovo beato. A pregare c’era anche padre Cebollada che per 6-7 anni ha lavorato alla Causa di beatificazione: un lavoro che è andato avanti “velocemente”, come spiega a Vatican News. Il postulatore si dice infatti “sorpreso e stupito di quanto poco tempo abbia impiegato questa causa per arrivare alla beatificazione”: “Secondo la mia documentazione, tutto è iniziato nel 2014, anche se è stato nel 2015 che è stata presentata ufficialmente la domanda di beatificazione”.
Il lavoro di ricerca
Cebollada sottolinea la collaborazione tra l’Arcivescovado di San Salvador e la Compagnia di Gesù in America Centrale affinché il processo venisse portato avanti in tempi brevi. Ad esso hanno contribuito anche le ricerche condotte da Rodolfo Cardenal S.J. sulle vite di padre Rutilio, Nelson Lemus e Manuel Solórzano, edite in diverse pubblicazioni; per ciò che riguardava la vita di Grande, è stato di grande aiuto anche il lavoro svolto per la causa di canonizzazione di monsignor Óscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo salvadoregno assassinato nel 1980 dagli squadroni della morte, grande amico di padre Rutilio. Più difficile, invece, reperire informazioni su Lemus e Solórzano, cosa che, in certi momenti, ha rappresentato un ostacolo per la Causa. “Non si può beatificare o canonizzare qualcuno che non si sa chi fosse”, spiega il postulatore. Colmate queste lacune, il processo è andato avanti e l’enorme mole di materiale è stata inviata alla Congregazione per le Cause dei Santi.
La reliquia, una traccia della presenza del martire
Padre Cebollada ha partecipato giovedì all’atto di presentazione e consegna della reliquia di Rutilio Grande che sarà mostrata alla cerimonia di beatificazione. La reliquia, dice, è “una traccia della presenza” del Beato e la possibilità che sia portata in pellegrinaggio in diversi luoghi del Paese può essere un modo per ricordare l’esempio di questi martiri, in particolare per l’evangelizzazione dei laici nell’ America centrale.
Le vie della santità
I quattro martiri – con loro anche il francescano Cosma Spessotto – vengono oggi beatificati perché uccisi “in odio alla fede”, ricorda il postulatore. Una espressione dura che, tuttavia, “implica in sé l’amore di Dio e l’amore del prossimo”. “Virtù che Rutilio, Nelson e Manuel hanno vissuto durante la loro vita e che li hanno portati ad essere pronti a morire e a perdonare coloro che li hanno uccisi”.