Michele Raviart e Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Gli interessi e la sicurezza della Russia e dei suoi cittadini sono “non negoziabili”, ma il “nostro Paese è sempre aperto al dialogo diretto e onesto per trovare soluzioni diplomatiche ai problemi più complessi”. Ad affermarlo è il presidente russo Vladimir Putin, intervenuto in un discorso televisivo per la Giornata del difensore della patria. La risposta della Russia alle sanzioni, fa intanto sapere il ministro degli Esteri russo Lavrov, sarà però “forte e dolorosa”.
Imminenti le prime sanzioni europee
Sarà infatti in vigore da questa sera, o al più tardi da domani, il pacchetto di provvedimenti stabiliti dall’Unione europea, che prevedono misure contro le banche russe che hanno sostenuto le operazioni in Donbass e misure finanziarie contro i deputati della Duma che hanno approvato il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e di Lugansk. Sanzioni analoghe sono state approvate anche dal Parlamento ucraino. In tutto saranno 351 i cittadini russi nella black list economica di Kiev, che inoltre non potranno entrare nel Paese. L’obiettivo poi, ha detto la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen – dopo l’annuncio del blocco del gasdotto Nord Stream 2 da parte della Germania – è di non dipendere più dalla Russia per l’approvvigionamento del gas.
Le reazioni di Giappone e Cina
Provvedimenti “in cooperazione con la comunità internazionale” sono previsti anche da parte del Giappone, che ha condannato con forza le azioni che compromettono la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, mentre per la Cina le sanzioni “non sono un modo fondamentale ed efficace per risolvere il problema” e propone di rafforzare il dialogo e la consultazione”.
Shevchuk: dalla Russia una minaccia alla comunità e al diritto
“I principi della carta Onu non sono un ‘menù à la carte’” e “non possono essere applicati selettivamente. Gli Stati devono applicarli tutti” è invece il monito del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. Il riconoscimento russo delle repubbliche separatiste “rappresenta una seria sfida e minaccia all’intera comunità internazionale e al diritto internazionale, ha ribadito anche Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč della Chiesa greco-cattolica ucraina. La crisi iniziata nel 2014, ha ricordato Shevchuk ha “lasciato ferite profonde nella vita di molti nostri connazionali”, con “migliaia di morti, feriti, persone sole”. “Ora”, ha ribadito, “è arrivato il momento di unire i nostri sforzi per difendere l’indipendenza, l’integrità territoriale e la sovranità dello Stato ucraino. È dovere e responsabilità di tutta l’umanità impegnarsi oggi a prevenire la guerra e a proteggere una pace giusta”.
L’Ucraina richiama i riservisti
Intanto, sul piano militare, il Pentagono ha confermato la mobilitazione di 800 soldati dall’Italia verso i Paesi baltici per rafforzare il fianco orientale della Nato, insieme ad aerei elicotteri dalla Germania e la Polonia. La stessa Ucraina, il cui Consiglio di sicurezza ha dichiarato lo Stato di emergenza in tutto il Paese e non solo nelle regioni del Donbass, ha richiamato 36 mila riservisti tra i 18 e i 60 anni. Il Presidente Zelensky, poi, ha ribadito le ambizioni ucraine di aderire all’Alleanza atlantica.
Le speranze di evitare una guerra
In questo contesto risuona l’invocazione del Papa a Maria per “preservare il mondo dalla follia della guerra” e l’annuncio di una giornata di preghiera e digiuno per il prossimo due marzo. C’è ancora quindi la speranza di evitare una guerra in Ucraina. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Adriano Dell’Asta, docente di Lingua e Letteratura russa all’Università Cattolica:
Professor Dell’Asta, come possiamo leggere questo contrasto forte in cui è coinvolta tutta la comunità internazionale tra Russia e Ucraina?
È un momento drammatico che rischia di diventare tragico e che però credo possa anche offrirci un’occasione per il rilancio di una convivenza civile e pacifica in tutta l’Europa. Credo che sia davvero una sfida che dobbiamo raccogliere, anche perché non abbiamo alternative. L’altra alternativa è infatti la guerra, che abbiamo ahimè già conosciuto. La sfida è superare le condizioni e gli atteggiamenti che stanno portando alla guerra: ricerca della potenza, delle sfere di influenza, dell’affermazione della propria grandezza. Una lettura insomma, comunque la si voglia vedere, che sia limitativamente geopolitica. Io credo che tutti gli elementi relativi alla geopolitica siano importanti. Una pace non è autentica pace se non si regge sulla verità: però c’è qualche cosa di più. Qualche cosa che viene prima. Vedendolo in questi giorni diventa evidente. C’è la gente che o soffrirà o potrà vivere. Perché l’alternativa è questa. Soffrire o vivere prima che le sanzioni entrino a fare i loro effetti. Ma comunque è gente che soffre già adesso: di paura, di separazioni. Gente che deve abbandonare tutto. Non sono soltanto i diplomatici occidentali che si spostano verso casa o altrove, ma è la gente.
Si ha la sensazione che si stia manifestando, in senso politico, militare, economico una diversità tra due culture diverse. Anche quando l’Ucraina faceva parte dell’Unione Sovietica…
Certo, c’è una diversità. Sono due storie diverse che hanno avuto dei pezzi in comune e che possono ritrovare una comunanza- Noi non possiamo dimenticare quello che è stata la storia tragica del ventesimo secolo. Che ha toccato l’Ucraina, che ha toccato i Paesi baltici in maniera consistente. Sono Paesi la cui identità nazionale, la cui libertà, è stata ad un certo punto negata. L’Ucraina ha una sua storia. Ahimè, nel discorso dell’altra sera del presidente Putin questa storia è stata ridotta a zero o ridotta a un prodotto della rivoluzione bolscevica. È una lettura storica che francamente non ha nessun fondamento nella realtà. L’Ucraina ha una tradizione antichissima. C’è una diversità di lingua evidente, di tradizioni, ma nonostante questa diversità anche oggi c’è la possibilità di una unità tra i due popoli. La Russia non non è tutta schierata a favore di uno scontro. Ci sono russi non secondari, grandi intellettuali, grandi pensatori, che condividono il dolore e la vergogna per quello che sta accadendo. Certo, sono una minoranza. Ma quante volte nell’Unione Sovietica del ventesimo secolo abbiamo visto quanto sono diventate significative le minoranze, se pensiamo alla storia del dissenso. Vorrei che fosse chiara una cosa, io non sto proponendo un nuovo scontro ne ho alcuna intenzione di creare una sorta di Russia alternativa e governativa, ma dico che nella Russia di oggi e nella storia della Russia c’è la possibilità di riscoprire delle prospettive diverse da quelle della contrapposizione e della guerra. Una prospettiva diversa che appunto è una sfida. Cosa vuol dire questa sfida per noi? È l’eredità, ad esempio, per quanto riguarda la Russia, di un Paese che non è uscito dal mondo sovietico piegato e ridimensionato – una delle preoccupazioni di questi mesi del presidente Putin è che la Russia ritrovi una sua dignità e un suo posto nell’ambito internazionale. Ma la Russia ce l’ha e nessuno gliela nega. Devono scoprirla. Come è uscita dall’Unione Sovietica? Senza violenza. Come ha potuto farlo? Perché aveva riscoperto quello che oggi stiamo cercando di riscoprire: il valore della dignità, della libertà, della responsabilità che ciascuno di noi ha a livello personale a livello più ampio, a livello statuale. Penso sempre alla storia dei dissidenti che hanno formato la mia giovinezza… La responsabilità vuol dire che c’è qualche cosa per cui può valere la pena rischiare o vale la pena persino di morire. Se c’è questo c’è anche qualche cosa per cui vale la pena di vivere. Ritrovare una posizione morale permette di vivere, permette di trovare soluzioni. Quando noi cristiani diciamo questo, seguendo il magistero provvidenziale, non facciamo da laici una sorta di “predicozzo” ulteriore. Vuol dire invece trovare soluzioni. Noi italiani e europei queste soluzioni potremmo indicarle. Non sappiamo dove questo lo porterà, non lo sappiamo, perché c’è in gioco la libertà, la genialità della gente, la capacità di farsi ascoltare dai governi. Si tratta di creare un’atmosfera che rende certe posizioni improponibili.
In quest’ottica si inserisce la richiesta del Papa all’udienza generale: opporre la preghiera è il digiuno a chi invece si sta confrontando con le armi.
Ma certo. A che cosa serve la preghiera? Non si tratta di inventare cose o di fare progetti In alto tra le nuvole. A uno dei responsabili della Stasi, quando cadde il muro di Berlino, gli venne chiesto se non si potevano opporre o se non avessero mai pensato di reprimere le manifestazioni. Lui rispose: Eravamo preparati a reprimere delle manifestazioni violente, ma la gente veniva avanti con le candele accese e non eravamo pronti. Questa non è una fantasia. È successo. Non so se può succedere oggi, ma partiamo per lo meno dalla realtà. Abbiamo imparato dal decimo secolo cosa vuol dire fidarsi delle ideologie? Credo di sì. Allora partiamo di nuovo dalla realtà: è successo ed è possibile che succeda oggi. L’alternativa è quella che per grazia di Dio un magistero illuminato ci ha insegnato lungo tutto il ventesimo secolo. L’alternativa è un inutile strage o, come ho riscoperto in un testo di una storica russa di questi ultimi tempi, o sempre un’altra frase di Benedetto XV, “è il suicidio dell’Europa”. Questa è la sfida. Prendiamo sul serio questo invito alla preghiera al digiuno, che non vuol dire fare i conti con la realtà, ma fare fino in fondo i conti con la realtà.