Rueda: la porpora riconoscimento per la Chiesa in Colombia impegnata per la pace

Vatican News

L’arcivescovo di Bogotà, tra coloro che riceveranno la porpora nel Concistoro del 30 settembre, esprime gratitudine al Papa e assicura di impegnarsi a lavorare insieme ai confratelli vescovi nei processi di riconciliazione nel suo Paese: “Siamo una Chiesa che ha sofferto, che è sempre stata vicina al popolo. Credo che sia un riconoscimento anche per i tanti laici impegnati in vari settori”

Johan Pacheco – Città del Vaticano

Per l’arcivescovo di Bogotà, primate di Colombia, monsignor Luis José Rueda Aparicio, tra i cardinali che Francesco creerà nel Concistoro del 30 settembre, la scelta del Papa di concedergli la porpora è soprattutto un riconoscimento per la Chiesa in Colombia, per le sue lotte nei processi di riconciliazione, di pace, di evangelizzazione. “Spero di rendere un servizio prima di tutto di preghiera da qui in Colombia, di pregare per il Papa come ho sempre fatto, ma ora più intensamente di pregare per la Chiesa nei cinque continenti, di aiutare a discernere la situazione della Chiesa nel mio Paese e di accompagnare e servire il Papa in qualsiasi cosa mi chieda, in qualsiasi cosa mi chiami con tutta la mia disponibilità”, dice Rueda a colloquio con i media vaticani.

L’arcivescovo colombiano racconta con ancora una punta di emozione di aver appreso la notizia domenica mattina, 9 luglio, mentre stava pregando e preparando l’omelia per la Messa e rivedendo il programma di lavoro della giornata. Appena informato da vari messaggi, si è subito collegato al sito Vatican News per avere conferma. Poi, si è recato al tabernacolo per pregare. “È un riconoscimento per la Chiesa in Colombia”, ripete. Ricorda ancora vividamente la visita di Papa Francesco nel Paese sudamericano nel 2017 per sostenere il processo di riconciliazione e di pace tra il governo colombiano e le forze armate militari del Paese: “Il Santo Padre ci ha mostrato che è possibile incontrare vittime e carnefici. E quella lezione, quella catechesi forte, continua a risuonare e continua a sfidarci in Colombia”. Tra le sfide, secondo Luis José Rueda anche quella di “riprendere il Vangelo di Gesù Cristo che ci dice ‘convertitevi e credete nel Vangelo’. Convertirsi perché ci sono ancora episodi di violenza. C’è un grande allontanamento degli esseri umani da Dio creatore”.

Come ci si sente a essere chiamati dal Papa a far parte del Collegio cardinalizio?

Come direbbe il Papa, mi sento “misericordiosamente amato” da Dio Padre. E sento la responsabilità di rispondere a questa chiamata fatta da Papa Francesco a nome di tutta la Chiesa colombiana e accompagnato da tutto il popolo di Dio che è in pellegrinaggio, che prega e lavora nel nostro Paese.

Cosa significa questa nomina a cardinale per la Chiesa in Colombia?

Credo che sia il riconoscimento di una Chiesa che ha sofferto, che si è impegnata, che è sempre stata vicina ai processi di riconciliazione, di pace, di evangelizzazione del nostro popolo colombiano e credo che sia il riconoscimento degli innumerevoli laici che lavorano silenziosamente ogni giorno in diverse regioni del Paese costruendo il Paese, costruendo la Chiesa: catechisti, lettori, ministri straordinari della comunione, e anche la vita consacrata e tutti i ministri ordinati.

Come cardinale, cosa spera di offrire nel suo servizio alla Chiesa e al Papa?

Beh, spero di offrire innanzitutto un servizio di preghiera qui in Colombia, di pregare per il Papa come ho sempre fatto, ma ora più intensamente di pregare per la Chiesa nei cinque continenti, di aiutare a discernere la situazione della Chiesa dal mio Paese e di accompagnare e servire il Santo Padre in qualsiasi cosa mi chieda.

Il futuro cardinale Rueda, arcivescovo di Bogotà

Come ha appreso la notizia della nomina e qual è stata la sua reazione personale?

Vi dirò in tutta sincerità che ogni domenica ho un rito speciale che consiste nell’alzarmi presto per pregare, preparare la mia predicazione e guardare le visite che farò alle diverse parrocchie. Una missionaria della comunicazione della Conferenza episcopale colombiana mi ha dato la notizia: è stata lei la prima a dirmelo, circa dieci minuti prima delle sei e poi sono andato a cercare la conferma negli organi ufficiali del Vaticano, in particolare sul sito Vatican News. Subito dopo sono andato al Tabernacolo per offrire al Signore quel momento, per ringraziarlo e chiedergli di aiutarmi a capire cosa stava succedendo con la mia vita, con la mia vocazione e con la Chiesa in Colombia.

Cosa vorrebbe dire a Papa Francesco?

Quello che gli dico sempre quando lo saluto: che la Colombia lo ama, che preghiamo per lui, che siamo con lui e che in lui vediamo il Successore di Pietro e viviamo in comunione missionaria.

Questa nomina è uno stimolo per la costruzione della pace?

Senza dubbio, senza dubbio. È uno stimolo per tutti i vescovi a lavorare e, come ho sempre detto, non è un protagonismo personale… Quindi non sarà mai opera del solo Luis José Rueda. Io da solo non sarei in grado di farlo, non ne ho la capacità, ma accompagnato dai miei fratelli vescovi e dalla Chiesa in pellegrinaggio in Colombia, possiamo realizzare un protagonismo missionario, sociale, ecclesiale, in comunione.

La nomina può essere considerata un riconoscimento del cammino della Chiesa in Colombia?

Sì, è senza dubbio un riconoscimento della Chiesa in Colombia. Quando si guarda a una parrocchia, alle piccole comunità, ai movimenti, ai diversi ministeri e al modo in cui cercano di portare il Regno di Dio nella vita quotidiana, nel lavoro, nelle aree rurali e urbane, in grandi città come Bogotà, o nei piccoli centri del Paese, si vede una rete di uomini e donne che sono discepoli missionari di Cristo. Questo è il popolo di Dio. Questa è la vera Chiesa, questa è la Chiesa in cammino che serve e cerca la santità.

Luis José Rueda Aparicio, tra i 21 cardinali che riceveranno la porpora nel Concistoro del 30 settembre

In particolare, la decisione del Papa può essere vista come un riconoscimento del cammino di pace e riconciliazione che si sta compiendo in Colombia?

Papa Francesco, venuto nel 2017, ci ha dato un segno forte a Villavicencio, ci ha mostrato che c’è la possibilità di incontrare vittime e carnefici. E quella lezione, quella catechesi forte continua a risuonare e continua a sfidarci in Colombia. Tutti i vescovi della Colombia sono impegnati a continuare questo incontro, questa cultura dell’incontro, della fraternità, del perdono di cui abbiamo bisogno. E quando il Papa si è congedato a Cartagena nel 2017, parafrasando San Pietro Claver che si è sempre definito lo schiavo degli schiavi, ha detto: “Siete servi della pace per sempre”. E noi vogliamo essere schiavi al servizio della riconciliazione in Colombia.

Prima di diventare arcivescovo primate lei conosceva bene le periferie del Paese, in che modo questa conoscenza ha dato impulso al suo cammino come cardinale?

Porto tutto nel cuore, devo quello che sono alla Chiesa, alla Chiesa in tutti i territori della mia diocesi di Socorro e San Gil, che mi ha insegnato tanto, è stata una vera scuola di evangelizzazione. Poi a Cordoba nella mia prima esperienza di vescovo a Montelibano, nell’arcidiocesi grande territorialmente, spiritualmente e anche grande in termini di problemi, che Popayán e, infine, Bogotà. Voglio dire una cosa: anche Bogotà è periferica, alcuni pensano che Bogotà sia il centro e non abbia problemi, invece a Bogotà si riassumono tutte le periferie esistenziali e geografiche umane e spirituali che esistono in Colombia. Bogotà è una casa che riunisce tutte le situazioni del Paese, quindi, continuo a stare nelle periferie e ad accompagnare con tutto l’amore coloro che soffrono, ma che sono pieni di speranza.

Qual è, secondo lei, la sfida più grande per il popolo di Dio in Colombia e per la Chiesa universale?

Credo che per tutta la Chiesa universale, per il popolo di Dio, la grande sfida sia quella di prendere il Vangelo di Gesù Cristo che ci dice “convertitevi e credete nel Vangelo”, di convertirsi perché ci sono molte fonti di violenza. C’è un grande allontanamento degli esseri umani da Dio creatore, dal Dio che cammina con noi. Credo che la grande sfida sia riconoscere che abbiamo bisogno dell’amore di Dio, della sua tenerezza e riconoscere che Dio è vicino a noi in tutti e cinque i continenti e nella vita personale e familiare di ognuno di noi.

* Hanno collaborato a questa intervista Martin Sepúlveda e Lida Lozada, del Sistema informativo della Conferenza episcopale della Colombia.