Roche: le responsabilità dei vescovi nelle traduzioni dei testi liturgici latini

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Si tratta di una riforma che vuole evidenziare la responsabilità delle Conferenze episcopali nel “grande compito”, in dialogo con la Sede Apostolica, di portare a compimento la complessa opera di traduzione nelle loro lingue dei testi liturgici latini del Rito Romano. È quanto afferma l’arcivescovo Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, illustrando a Vatican News il Decreto attuativo del Motu proprio Magnum principium del 3 settembre 2017 con cui Papa Francesco ha modificato il can. 838 del Codice di Diritto Canonico relativo alle traduzioni dei libri liturgici nelle lingue vernacolari. Il testo, pubblicato oggi, nella memoria liturgica di San Giovanni Paolo II, interpreta e chiarisce le modalità di attuazione di queste modifiche che riguardano le competenze dei vescovi e del Dicastero vaticano.

Il Decreto, dal titolo Postquam Summus Pontifex, ricorda che, poiché “la grave responsabilità in questa materia è propria dei vescovi, la Conferenza episcopale deve farsene carico direttamente, avvalendosi della necessaria collaborazione di persone idonee, compresi esperti formati nella traduzione del latino liturgico”. Il fine è quello “di garantire in una data lingua la corretta e integra espressione della fede della Chiesa cattolica, trasmessa secondo il suo insegnamento e il vocabolario adeguato”. Spettano poi al Dicastero per il Culto divino la recognitio e la confirmatio. La recognitio consiste in una revisione di quanto approvato dalla Conferenza episcopale e della legittimità dell’iter seguito “tenendo conto dei motivi dettati dalla cultura, dalla tradizione del Paese e dalle necessità pastorali”. La confirmatio consiste “nella ratifica data dalla Sede Apostolica alla traduzione dei testi biblici e liturgici, dopo aver constatato la legittimità della procedura di approvazione seguita dalle Conferenze episcopali”.

In una lettera dell’ottobre 2017 sulla corretta interpretazione del Motu proprio, Papa Francesco aveva precisato che la nuova normativa concede adesso alle Conferenze episcopali la facoltà di giudicare la bontà e la coerenza delle traduzioni dal latino, “se pure in dialogo con la Santa Sede”. La recognitio – spiegava – “indica soltanto la verifica e la salvaguardia della conformità al diritto e alla comunione della Chiesa”, che “non dovrebbe portare ad uno spirito di ‘imposizione’ alle Conferenze Episcopali di una data traduzione fatta dal Dicastero, poiché ciò lederebbe il diritto dei vescovi”. D’altra parte – aggiungeva – la confirmatio “non suppone più dunque un esame dettagliato parola per parola, eccetto nei casi evidenti che possono essere fatti presenti ai vescovi per una loro ulteriore riflessione”.

Monsignor Arthur Roche in questa intervista spiega i contenuti del Decreto odierno.

Eccellenza, questo Decreto attuativo fa chiarezza su quanto stabilito nel 2017 dal Motu proprio del Papa Magnum principium (3 settembre 2017). Prima di entrare nel dettaglio del Decreto, possiamo ricordare in sintesi cosa ha stabilito il Motu proprio?

In sintesi, possiamo dire che il Motu Proprio Magnum principium ha cambiato la formulazione di alcune norme del Codice di Diritto Canonico che riguardano l’edizione dei libri liturgici nelle lingue vernacolari e, per questo, è stata introdotta una serie di modifiche al testo del canone 838, concretamente ai paragrafi 2 e 3. Il medesimo Motu Proprio ricorda ed espone i principi basilari per la traduzione dei testi liturgici che, in quanto preghiera della Chiesa, sono regolati dalla competente autorità ecclesiastica. Fondamentalmente, tutto ciò cerca di rendere più facile e fruttifera la collaborazione tra la Santa Sede e le Conferenze Episcopali. Su di loro ricade il grande compito di tradurre e anche rendere efficacemente nelle loro lingue quello che si trova nei libri liturgici del Rito Romano. Questo compito rappresenta una grande responsabilità perché, grazie a tali traduzioni, può essere annunciata la Parola rivelata e la preghiera della Chiesa può essere espressa in un linguaggio comprensibile per il popolo di Dio.

Quali sono dunque i punti rilevanti e sostanziali del Decreto attuativo? 

Il Decreto applicativo, che porta il titolo Postquam Summus Pontifex e la data del 22  ottobre, memoria del santo pontefice Giovanni Paolo II, presenta la normativa derivata dalle modifiche di Magnum principium. Dobbiamo sottolineare specialmente come si spiega e determina la normativa riguardante l’edizione, la recognitio e la confirmatio dei libri liturgici, compito che tocca alle Conferenze Episcopali e alla Sede Apostolica. Il Decreto consta di un Proemio e due parti; nella prima, si presentano le Norme e le procedure da seguire per l’edizione dei libri liturgici, tanto per la loro traduzione quanto per l’introduzione di adattamenti «più profondi», secondo quanto previsto al numero 40 di Sacrosanctum Concilium.

Alla luce di questa riforma – e delle precisazioni che Papa Francesco scrisse nella lettera dell’ottobre 2017 – come si sviluppa il rapporto tra Congregazione per il Culto Divino e le singole Conferenze episcopali in tema di traduzioni dei testi liturgici in lingua?

Questa riforma di papa Francesco intende evidenziare la responsabilità e le competenze delle Conferenze Episcopali, sia nel momento di valutare e approvare adattamenti liturgici per il territorio di loro competenza, sia riguardo alla preparazione e all’approvazione delle traduzioni dei testi liturgici. Dall’altro lato, al nostro Dicastero compete controllare (recognitio) gli adattamenti approvati dalle Conferenze Episcopali e confermare (confirmatio) le traduzioni realizzate. Sempre in un clima di collaborazione e dialogo che favorisca la vita liturgica della Chiesa latina, come indicava papa Francesco in Magnum principium.

In questi quattro anni dalla pubblicazione del Motu proprio come si può valutare la sua applicazione?

La mia esperienza in questi anni come Arcivescovo Segretario e, da qualche mese, come Prefetto, è molto positiva e arricchente. Nel lavoro quotidiano sperimentiamo l’universalità della Chiesa e, al contempo, la peculiarità di ogni Chiesa locale.I Vescovi, come moderatori, promotori e custodi della vita liturgica nelle rispettive Chiese particolari, hanno una grande sensibilità, derivante dalla formazione teologica e culturale, che permette loro di tradurre i testi della Rivelazione e della Liturgia in una lingua che risponde all’indole del Popolo di Dio che è stato loro affidato.Considerando ciò che evidenzia il Motu Proprio, e alla luce di questo Decreto applicativo, il nostro Dicasterio vuole essere, secondo il desiderio del Santo Padre, uno strumento al servizio della Chiesa universale. Quanto fin qui esposto si può riassumere dicendo che al cuore di questo cambiamento c’è il desiderio di avvicinare il Popolo di Dio alla liturgia e la liturgia al Popolo di Dio.