Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Riuniti i due cosiddetti “tronconi”, il processo in Vaticano per presunti illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato è rimasto ancora nella fase delle schermaglie procedurali. È il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, nella settima udienza di oggi, nell’aula polifunzionale dei Musei vaticani, ad annunciare l’ulteriore rimando del dibattimento vero e proprio. “Il Tribunale vaticano vorrebbe oggi ed eventualmente il 28 febbraio sentire tutte le eccezioni di nullità di carattere assolutamente preliminare, in modo da poter emettere il 28 o il 1° marzo l’ordinanza con cui si risolvono le questioni accumulate e iniziare quindi la trattazione”, ha detto Pignatone, fissando già le prossime date del procedimento “per continuare l’attività futura, se ci sarà un’attività futura”. Tutto ciò che attiene alla richiesta di prove avrà “spazio e ascolto”, ha assicurato inoltre il presidente del Tribunale, che ha dichiarato la contumacia degli imputati assenti (in aula presenti solo il cardinale Giovanni Angelo Becciu e monsignor Mauro Carlino).
L’Asif parte civile
Nelle quattro ore e mezza della seduta – molto tecnica – di oggi, con una pausa in mezzo di quasi un’ora, è stata annunciata la costituzione a parte civile dell’Asif (Autorità di supervisione e informazione finanziaria), che si aggiunge a Segreteria di Stato, Ior e Apsa. Anita Titomallio l’avvocato nominato, mentre non sono state illustrate le motivazioni, finalizzate comunque alla richiesta di un risarcimento danni.
Ribadita la richiesta di nullità
Grande spazio – con una media di interventi di circa 40 minuti l’uno – è stato dedicato alle arringhe degli avvocati della difesa. Da parte di tutti è stata ribadita la richiesta di nullità del decreto di citazione a giudizio, a motivo del mancato deposito da parte dell’Ufficio del Promotore di Giustizia della totalità del materiale sequestrato.
Nell’ultima udienza del 25 gennaio la difesa lamentava l’assenza di una “amplissima parte” di atti e documenti informatici depositati dall’accusa nel dicembre 2020. In particolare, si calcolava che dei 255 supporti informatici sequestrati, 239 non sarebbero stati rilasciati in copia. “Siamo tranquilli del lavoro fatto, dei profili tecnici non capisco cosa non è stato dato”, replicava il promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi. Pignatone aveva comunque stabilito il termine al 31 gennaio per permettere di verificare gli atti effettivamente assenti ed eventualmente depositarli in Cancelleria. Dopo “le opportune verifiche” in merito all’“integrità” della documentazione, i magistrati vaticani hanno consegnato una memoria di tre pagine in cui spiegavano che la copia rilasciata alle parti “riproduce integralmente il compendio documentale anche di natura informatica prodotto agli atti del giudizio e rispondente al materiale usato ai fini processuali”.
Quindi sarebbe stato depositato solo il materiale usato per svolgere le indagini e non l’intero materiale sequestrato, hanno rilevato gli avvocati della difesa. Una “filosofia di fondo” inaccettabile, hanno detto. “Non si può pensare di consentire di prendere un libro di mille pagine e poi confrontarsi su dieci. Date tutto anche a noi. Magari non sceglieremo nulla, ma permettete anche a noi di avere accesso a quelle pagine che hanno composto il vostro itinerario investigativo”, ha dichiarato l’avvocato del cardinale Becciu, Fabio Viglione, parlando di “ritrosia nell’andare verso il giusto processo”.
Secondo l’avvocato di monsignor Carlino, inoltre, da tale selezione sarebbero stati espunti elementi di prova utili a smentire ricostruzioni accusatorie. È il caso del suo assistito che, ad esempio, in una chat del cellulare – non restituita agli atti – veniva ‘scagionato’ dall’accusa di essere a Londra, dal momento che si dimostrava che si trovasse in quel momento a Roma. Un elemento considerato irrilevante dall’accusa, invece “fondamentale” per la difesa, ha affermato Mondello: “La scelta dei Promotori di depositare solo qualcosa è turismo della giurisdizione”.
“Atti mancanti e incongruenze”
Come a ogni udienza, ad aprire la serie di interventi è stato l’avvocato Panella della difesa del finanziere Enrico Crasso, il quale, ricordando che il processo ha adottato quattro Rescripta del Papa che hanno modificato in corso d’opera l’ordinamento giudiziario, ha richiamato le parole del promotore di Giustizia, Gian Piero Milano: “Il Papa può modificare l’ordinamento come vuole”. Così “ si è teorizzata l’inesistenza dello Stato di Diritto” come evoluto negli ultimi secoli, riportando “a una situazione altomedievale, a prima del 1215”, ha affermato l’avvocato. “Questo non può essere condiviso, si rischia di confondere il piano religioso con quello giuridico”. Il legale ha ribadito la nullità della citazione a giudizio, insistendo sul fatto che il Promotore di Giustizia avrebbe disatteso ogni ordinanza del Tribunale vaticano di integrazione degli atti mancanti. Inoltre, altre “incongruenze” emergerebbero dalle trascrizioni di alcuni interrogatori. Ad esempio in un interrogatorio a monsignor Alberto Perlasca, allora capo ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, si fa riferimento a una conversazione con il cardinale Becciu nel ristorante romano Lo Scarpone. Di questo colloquio non vi sono né registrazioni, né verbalizzazioni. “È la prova che esistono atti sottratti alla conoscenza delle parti”, secondo Panella, critico pure della costituzione a parte civile dell’Asif, ennesima articolazione dello Stato della Città del Vaticano.
La difesa di Torzi
Quasi 55 minuti è durata invece l’arringa dell’avvocato Marco Franco, difensore di Gianluigi Torzi, il broker molisano tornato recentemente in libertà, che ha espresso tutte le eccezioni che finora non aveva potuto presentare visto il legittimo impedimento per la custodia cautelare di cui il suo assistito era soggetto a Londra. Argomento principale di Franco è stata la nullità del mandato di cattura di Torzi; il legale ha poi parlato di “violazione del principio di legalità” e ha affermato che con il suo assistito “sono stati più volte violati i diritti umani”. Il riferimento è in particolare al “provvedimento coercitivo”, cioè l’arresto in Vaticano del broker avvenuto la sera del 5 giugno 2020 al termine di un lungo interrogatorio. “È stato leso il diritto della difesa. Negli interrogatori o si rispondeva e si davano risposte gradite o si dava del materiale oppure non si usciva”. Dichiarazioni forti, pronunciate anche con un tono alto di voce, dinanzi al quale è intervenuto il promotore Diddi, dicendo: “Lei si sta assumendo le responsabilità di quello che dice? Attenzione alle calunnie. La prego di essere accurato nelle parole”. Secondo Franco, anche questa era una minaccia che limitava l’esercizio della difesa. Alla bagarre ha posto fine Pignatone che, con forza, ha richiamato l’avvocato Franco chiedendogli di “restare nei termini”.
Altri avvocati hanno preso parola durante l’udienza. Nessuna replica, invece, da parte di Diddi che interverrà nella prossima seduta del 28 febbraio, insieme alle parti civili.
Il chiarimento del cardinale Becciu
A inizio udienza, Pignatone ha comunicato il deposito di una nota, il 17 febbraio, da parte della difesa del cardinale Becciu circa gli atti di una rogatoria con l’Italia, trasmessi dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Sassari. Sempre a inizio udienza, il cardinale Becciu ha voluto condividere a margine con i giornalisti un chiarimento sulla recente ispezione del 15 febbraio nella Diocesi di Ozieri, sua diocesi originaria. Le ispezioni hanno riguardato anche la sede della Coop Spes, il cui titolare è Tonino Becciu, fratello del cardinale, e nella sede della locale Caritas. Per il porporato questo “blitz” è stata “un’umiliazione per la Diocesi e per il vescovo”. Parlando della Spes, Becciu si è detto “fiero e orgoglioso di aver trovato fondi per sostenere questa cooperativa che dà lavoro a 60 ragazzi e ragazze ‘scarti’ della società”. Ha poi assicurato che si difenderà in tribunale dall’accusa di aver favorito i familiari, inviando soldi alla Caritas di Ozieri. Il cardinale è poi entrato nel dettaglio richiamando l’atto di citazione a giudizio dei magistrati vaticani, in cui si accertano tre bonifici inviati alla Caritas di 100 mila euro nel 2013; 25 mila euro nel 2015; 100 mila euro nel 2018. “I 100 mila euro del 2013 erano un prestito dello Ior che avevo chiesto e che ho restituito”, ha chiarito. I restanti 125 mila euro provengono dall’Obolo di San Pietro ma, ha affermato, centomila sono “ancora bloccati nel conto della Caritas” per la costruzione di una casa per i poveri in costruzione, mentre gli altri 25 mila euro sono stati usati per comprare un macchinario per un panificio. Nulla quindi, ha assicurato il porporato, sarebbe andato ai suoi familiari.