Ritiro sinodale, l’introduzione alla Messa del 2 ottobre

Vatican News

Pubblichiamo l’introduzione alla Messa di oggi di madre Ignazia Angelini al raduno spirituale al quale stanno partecipando i membri, i delegati fraterni e gli inviati speciali del Sinodo dei vescovi alla Fraterna Domus di Sacrofano

Madre Ignazia Angelini  

Il Vangelo proclamato quotidianamente nell’Eucaristia rigenera e accompagna i giorni della chiesa. E dunque anche del Sinodo. Intronizzare il Vangelo sarà il solenne rito inaugurale. Ebbene, nella quotidiana attesa di udire e nell’apertura alla Parola, diamo carne a quell’atto, nella sua verità non puramente rituale.

Non è un caso, è una felice coincidenza che oggi ci venga incontro proprio il passo evangelico di Luca in cui Gesù conclude la prima fase del suo itinerario missionario, per iniziare la via verso Gerusalemme (Lc 9,51-56). È una svolta decisiva nella vita di Gesù, nel faticoso processo di formazione dei discepoli alla strada che conduce verso il suo “esodo”. È uno snodo che getta luce mitissima anche su un oggi cruciale del cammino della chiesa in sinodo. La vista spirituale dei discepoli è sempre lenta, ma Gesù con pazienza spinge avanti.

Nella narrazione di Luca, si conclude la prima parte della missione itinerante di Gesù, l’annuncio del Regno in Galilea (4,14-9,50). Iniziato a Nazareth con la predicazione nella sinagoga e – già lì – il rifiuto dei suoi (Lc 4,14-30). Siamo dunque a una svolta: Gesù lascia la Galilea. Una scelta rivelante. Decisiva, performativa per la maturazione di uno stile discepolare (e sinodale). Rappresenta una sorta di “nuova partenza” per Gesù, in salita, dopo l’impatto col rifiuto dei capi, e con la lentezza dei discepoli.

Si era già creata una tensione, una sorta gap comunicativo, non solo coi capi religiosi ma tra Gesù i suoi stessi discepoli, alla discesa dal monte della trasfigurazione (9,37-43). E un papà tra la folla aveva avvertito questa discrepanza, lamentando che i discepoli, deboli nel credere, non erano stati in grado di liberare il suo figliolo epilettico. E tuttavia, la folla ammira stupita Gesù e acclama, ignara del senso profondo della signoria di Gesù, eppure invincibilmente attratta (9,43).

Ebbene, di fronte alla meraviglia confusa delle folle per i suoi prodigi. E all’imbarazzo dei suoi, Gesù ha appena annunziato con forza ai discepoli, ed è la seconda volta, l’approdo verso cui camminano: “Mettetevi nelle orecchie queste parole: il Figlio dell’Uomo deve essere consegnato nelle mani degli uomini” (Lc 9,44). Ma quelle orecchie restano chiuse al mistero di questa consegna, non colgono l’annuncio, resta per loro oscuro, e hanno paura a far domande (9,45). Al punto che, come unica risposta, cercano di serrare le file, di compattarsi tra loro, si candidano a guidare la riscossa: si discute sul più grande (9,46).

Così nel cuore, e tra di loro, per via sorge – paradosso! – un dialogismòs, una discussione, una conversazione (non propriamente spirituale…). Un po’ come per i discepoli di Emmaus, quando il fitto “parlarsi addosso” è dispersivo, non porta da nessuna parte. Conosciamo bene questa fatica comunicativa…

Ma Gesù, non per questo arretra: maestro di autorità “diversa”, tutta la paziente pedagogia divina si rivela in lui. Deciso, con una stupenda quanto semplice azione simbolica svela i pensieri del cuore: attirando a sé un piccolo – paidìon – li spiazza e ne capovolge la direzione. Per aprire la loro mente al mistero del Regno, di Dio e degli umani, si prende vicino un bambino, come a dire: “L’ordine vero è altro. È altro il modo di seguirmi. Altro il servizio al Regno. Altro il comando. Altra la priorità: accogliermi, allo stesso modo in cui si accoglie un piccolo. Dio, il Padre, è così!”.

“Gesù – scrive P. Bonhoeffer – “è uno scopritore del bambino (…) vede nel bambino la luce di Dio. Dio appartiene ai bambini e a loro appartiene la gioia della buona novella” (Gli scritti, p. 40). il “piccolo” per Gesù, sull’eco di tutta la storia della rivelazione di Dio, l’incessante meraviglia, l’orizzonte più carico di futuro, l’anima della missione, la purificazione da pensieri contorti. Punto luce di parabole e insegnamenti di Gesù. Riceve questo sguardo da tutta la Rivelazione di Dio: dal piccolo, ultimogenito re David scelto da Dio per il suo regno (1Sam 16,1-15), fino al figlio minore della parabola (Mt 21,28-32). Accogliere l’eletto di Dio e Dio che invia, nel piccolo (Mt 25,31-46). Questa sarà la tabella di marcia verso Gerusalemme, e fino al giudizio finale.  Per nulla scontata. Lo mostra il seguito della narrazione evangelica. E non solo.

C’è un profondo legame tra come la comunità cristiana si rapporta all’irrilevante, il povero, l’invisibile – addirittura talora l’importuno –da un punto di vista mondano, e l’accoglienza del disegno di Dio. E questa visione non può non informare l’intero processo sinodale. Al di là di ogni retorica e bamboleggiamento. È un rovesciamento dei criteri, a partire da ciò che si agita nel cuore. E anche il tono della conversazione spirituale farà bene a lasciarsene evangelizzare.

Gesù fa pensare, in principio e ancor più oggi. Quel tale esorcista non appartiene alla cerchia degli intimi, eppure compie le stesse opere buone dei discepoli, aveva a cuore il bene altrui. E Gesù lo riconosce, lo protegge, fa intuire che per la libertà di Dio c’è un’altra elezione non strutturata – è il legame che unisce Gesù a quelli di “fuori”. Pensiamo al samaritano (Lc 10,33). L’estraneo ha compiuto ciò che i discepoli, poco prima, non erano stati in grado di compiere, l’esorcismo. C’è un seme del Verbo in ogni essere umano toccato dalla libertà della grazia che si riconosce dal suo essere–- anonimamente, gratuitamente – “per voi”.

Questa libertà di Gesù, ormai fermamente deciso nella sua direzione verso la Croce, evangelizza la missione della chiesa: la libertà e scioltezza dei suoi passi in mezzo a un’umanità segnata da mille contraddizioni, deve in verità evangelizzare il processo sinodale.

Gesù, dunque, prima di indurire il volto verso Gerusalemme, con gesto altamente rivelante si prende accanto un bambino e lo addita come via. Questo Vangelo è un potente faro per gli incontri sinodali. Dice un metodo, una conversione incessante da operare, un modo di camminare sulla via del Vangelo, seguendo le orme di Gesù. Dice uno stile sinodale, cioè discepolare, a fronte di eventi insoliti e differenze insidiose, agli stessi conflitti – interpersonali o di coscienza. Accoglieremo dunque con timore e riconoscenza – come chiesa “materna”, mandata a prendersi cura piuttosto che ad affermare la propria potestas superiore -, questo stile del discepolo: in grazia del Signore Gesù, il paidion del Padre, il “consegnato nelle mani”.

Come discernere, e accogliere, il piccolo, il povero, nella chiesa di oggi?

“Et tu puer propheta…”. Stranieri e pellegrini in mezzo a una umanità in travaglio, siamo chiamati a nuova vigilanza sui pensieri del cuore e a discernere, e ad accogliere la profezia del “piccolo” – l’imprevedibile. Come un perdersi e ritrovarsi negli occhi del bambino. Qui può in verità avvenire lo snodo; qui può trovare nuovo inizio il cammino di conversione “verso Gerusalemme”, prototipo del cammino sinodale.