Oggi pomeriggio l’incontro promosso dal Centro Astalli presso l’Aula Magna della Università pontificia, in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato 2024, che hanno visto tra i partecipanti il pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione e l’economista
Marina Tomarro – Città del Vaticano
Un’opportunità per riflettere sulla tutela dei diritti umani per tutti e sulle vie da percorrere per costruire una società davvero libera e aperta alle differenze, capace di riconoscere e rispettare la diversità. È stato essere questo l’obiettivo dell’incontro “Rifugiati: lottatori di speranza, seminatori di pace”, che si è svolto nel pomeriggio di oggi, 14 giugno, presso l’Aula Magna della Pontificia Università Gregoriana e ha visto in dialogo l’arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, e l’economista Tito Boeri.
“Sono ormai moltissimi anni che il Centro Astalli si occupa di questi argomenti”, spiega monsignor Fisichella. “Il tema scelto per questo incontro, fa da preludio a quello che sarà il prossimo Giubileo ormai imminente, in cui non dimentichiamo che ci sarà proprio una giornata dedicata ai rifugiati e migranti Questo è uno di quei ulteriori segnali che siamo chiamati a cogliere per capire il senso della speranza cristiana”
Accogliere con dignità
Papa Francesco spesso ricorda l’importanza dell’accoglienza a chi è costretto a scappare da Paesi che vivono situazioni difficilissime come le guerre, o cambiamenti climatici così violenti che non consentono più di rimanere nella propria patria. “L’insegnamento del Pontefice trova una risposta naturale in una città come Roma – sottolinea Fisichella – perché la nostra capitale è definita Patria comunis cioè una patria che accoglie tutti. Qui nessuno si sente straniero o ospite, quindi è naturale accogliere queste persone che spesso arrivano da situazioni molto complicate e che hanno anche una fragilità molto grande che richiede un attenzione particolare”.
Come emerge dall’ultimo rapporto Global Trends 2024 dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, il numero delle persone costrette a lasciare la loro casa è in drammatico aumento, a maggio è arrivato a 120 milioni. “La situazione internazionale fa sempre più paura – evidenzia l’arcivescovo – la Chiesa che è portatrice di speranza non può rimanere indifferente davanti a tanto dolore, ricordiamo le parole di Gesù ‘ero straniero e mi avete accolto’, perciò per noi questa è una questione centrale non marginale. La Chiesa certamente può diventare la voce di chi non ha più la forza di parlare, come i rifugiati e i migranti che non vengono ascoltati da nessuno. Ma poi anche le istituzioni internazionali devono intervenire anche loro per aiutare concretamente queste persone a non essere più costrette a vivere scelte e situazioni molto drammatiche”.
Il dolore di lasciare le proprie radici per non morire
Situazioni come quella di Fardusa, costretta a scappare dalla Somalia a causa della guerra che imperversava nel suo Paese da molti anni. “Il mio nome vuol dire Paradiso – ha raccontato commossa durante l’incontro – anche se, in realtà, da piccola ho conosciuto solo la guerra, che piano piano mi ha portato via tutto. Quando uscivo di casa per andare a scuola non sapevo se sarei tornata. Così ho deciso di partire. Il giorno che ho salutato i miei genitori è stato straziante, perché non sapevo se li avrei più rivisti”. Per la ragazza è iniziato quindi il viaggio che presto si è trasformato in un incubo: “Ci picchiavano – ha spiegato con la voce rotta dal pianto – non avevamo né cibo né acqua. Al momento della traversata ci hanno ammucchiato in una piccola barca e io avevo tanta paura. Dopo poche ore il motore si è rotto e siamo rimasti in mezzo al mare per cinque giorni. Volevo tornare indietro dalla mia famiglia, per non morire da sola. Poi è arrivata la Guardia Costiera Italiana: per me è stato un miracolo. Ci hanno portato in salvo e dopo sono arrivata a Roma dove ho incontrato il Centro Astalli”. Adesso Fardusa si occupa delle persone che hanno bisogno di aiuti: “Per me è iniziata una nuova vita, ma non dimentico chi è ancora in grande difficoltà”.
Il debito pubblica la causa reale della povertà di molti Paesi
All’incontro è intervenuto anche l’economista Tito Boeri, il quale ha sottolineato come i Paesi che oggi hanno un debito molto elevato sono quelli che subiscono più di tutti gli effetti dei gas serra sull’ambiente, emessi dai Paesi più ricchi. “Sul piano ambientale – ha spiegato l’economista – i veri creditori sono i Paesi poveri rispetto a quelli avanzati. La questione del debito spesso viene dimenticata e non se ne parla, ma in realtà è la causa principale delle terribili condizioni di vita in cui queste persone sono costrette a vivere, e che le porta poi a cercare una nuova speranza di vita attraverso l’emigrazione. Diventa difficile che queste nazioni riusciranno un giorno a pagare il debito, perché si indebiterebbero solo ulteriormente, perciò la remissione potrebbe essere l’unica soluzioni plausibile per aiutarle davvero. Solo così tornerebbero a crescere e a respirare. Mentre con questa politica si impoveriranno sempre di più trascinandosi dietro anche i Paesi creditori”.