Riccardi: Promuovere la “cultura della cura” per costruire un mondo di pace

Vatican News

Davide Dionisi – Città del Vaticano

“Pace in tutte le terre 2021”. E’ il tema della manifestazione virtuale promossa dalla Comunità di S. Egidio in occasione della Giornata Mondiale della Pace. Anche se il lockdown imposto dalla pandemia non consente quest’anno lo svolgimento della tradizionale marcia fino a Piazza San Pietro, i volontari non rinunciano a cominciare il nuovo anno insieme a chi lavora per un mondo più giusto e più umano, libero da guerre, terrorismo e ogni forma di violenza. Sarà possibile seguire l’evento in streaming e ascoltare le testimonianze dei centri Dream, per la cura dell’Aids in Africa e la prevenzione del Covid-19, in particolare quello di Zimpeto, in Mozambico, visitato un anno fa dal Papa.

Le testimonianze e i collegamenti previsti

Ci saranno contributi dal Nord dello stesso Paese, dove gli attacchi dei gruppi armati hanno creato non solo tante vittime ma migliaia di sfollati o, ancora, dal Libano, dove l’esplosione dell’estate scorsa ha indebolito ulteriormente una nazione già in grande sofferenza. Si parlerà anche dei corridoi umanitari, aperti dallo stesso Libano, per i profughi siriani, e dall’isola greca di Lesbo, del processo di pace in Sud Sudan e del Centrafrica, dove si sono appena svolte le elezioni presidenziali e dove occorre proteggere il percorso verso il disarmo e il dialogo nazionale.

Riccardi: “Non si vive ignorando l’altro”

L’obiettivo dell’incontro di domenica è quello di rispondere al tema che Francesco ha scelto per la Giornata: “La cultura della cura come percorso di pace”, perché secondo Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di S. Egidio “la cultura della cura è essenziale. Naturalmente – afferma – possiamo pensare alla pandemia, ai malati, alla cura dell’ambiente naturale in senso più largo, ma anche alla cura dell’altro. Non si vive calpestando l’altro, ignorando l’altro, perché siamo tutti legati. La cultura della cura – spiega Riccardi – è proprio l’espressione in quel senso di responsabilità amichevole, civica, evangelica che ognuno di noi deve vivere. Non si può passare indifferenti voltandosi dall’altra parte. Io credo che questo sia un punto di Papa Francesco che resterà perché è basilare nella costruzione di un mondo diverso. A meno che dopo la pandemia non si voglia ritornare come prima”. Ma la promozione della cultura della cura richiede un processo educativo. Quali, secondo Riccardi, i punti cardine attorno ai quali deve ruotare tale processo?

Ascolta l’intervista con Andrea Riccardi

R. – Innanzitutto occorre imparare ad avere gli occhi aperti sull’altro e non gli occhi puntati solo su se stessi. Vedere l’altro, accorgersi dell’altro, saper leggere i suoi bisogni. Questo è il primo passo e poi osare avvicinarsi e quindi osare parlare e tendere la mano. In un certo senso ognuno di noi è responsabile fin dove arriva il suo sguardo. Il Signore dice ad Abramo: “Sarà tua tutta la terra fin dove si stende il tuo sguardo”. Ma non era il possesso di una terra, era proprio questo senso di responsabilità e della cura. Così lo interpreto e così lo sento e lo vado scoprendo proprio in questo periodo. 

La pandemia ha offerto la possibilità di tracciare un itinerario comune, la bussola evocata da Papa Francesco, oppure ha aumentato le distanze tra società ricche e mondi più poveri?

R. – Ha aumentato le distanze tra i ricchi e i poveri nella nostra società, ha aumentato le distanze nei Paesi africani e in tante parti del mondo. Ma questo non vuol dire che, contraddittoriamente, sia maturata la coscienza che siamo una umanità sola e quindi le distanze vanno colmate. Si tratta di distanze molto pericolose, perché gente dimenticata chiede di essere ricordata e qualche volta lo fa in un modo che può sembrare eccessivo, aggressivo, ma trova le sue giustificazioni proprio nel fatto che nessuno pensa a loro, anche perché nel mondo contemporaneo tutto si vede. I dimenticati vedono il mondo dei ricchi.  

Qual è l’elemento che caratterizza il messaggio del Papa di quest’anno?

R. – La parola “cura” è molto bella ed è molto centrale. “Si prese cura”. In fondo Dio si prende cura. Tante volte anche nei salmi ricorre questa espressione del prendersi cura perché ha qualcosa di amorevole e di materno al tempo stesso. E questo è pieno di significati e si collega anche all’esperienza che molti di noi fanno nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nella vita. Ed ha un fortissimo legame con la pace perché un mondo coltivato e vissuto con cura, che vuol dire attenzione, dialogo, senso dei legami, è un mondo che non si lascia andare alla logica della guerra.

In che modo le religioni e i leader religiosi, in particolare, possono svolgere un ruolo insostituibile per la costruzione di una cultura di pace e per aiutare quella che il Papa ha definito “la barca dell’umanità, scossa dalla tempesta della crisi”?

R. – Ce lo siamo detti quando ci siamo ritrovati in Campidoglio nel mese di ottobre con la Comunità di Sant’Egidio. Era presente il Santo Padre, il Patriarca Bartolomeo e altre figure di leader religiosi che hanno confermato che le religioni possono spegnere il fuoco della guerra. Ma le religioni possono essere usate anche come benzina che accende il fuoco della guerra. E qui c’è la svolta epocale di Assisi del 1986 voluta da Giovanni Paolo II.