Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
“Le cose del tempo non è possibile intenderle e valutarle a dovere, se l’animo non si eleva ad un’altra vita, ossia a quella eterna, senza la quale la vera nozione del bene morale necessariamente si dilegua, anzi l’intera creazione diventa un mistero inspiegabile. Quello pertanto che la natura stessa ci detta, nel cristianesimo è un dogma su cui come principale fondamento poggia tutto l’edificio della religione: cioè che la vera vita dell’uomo è quella del mondo avvenire”. “Che tu abbia in abbondanza ricchezze ed altri beni terreni o che ne sia privo, ciò all’eterna felicità non importa nulla; ma il buono o cattivo uso di quei beni, questo è ciò che sommamente importa”. Queste parole sono rivolte agli uomini di fine Ottocento ma potrebbero riempire le pagine di un testo contemporaneo e parlano anche agli uomini e alle donne del terzo millennio. Sono parole pubblicate 130 anni fa, tratte dalla prima enciclica sociale. Si tratta di un documento ispirativo: la lettera enciclica di Papa Leone XIII “Rerum Novarum”, promulgata il 15 maggio del 1891. Nella prima parte, il Pontefice si sofferma sulla proprietà privata e aggiunge che “la comunanza dei beni proposta dal socialismo va del tutto rigettata” perché “offende i diritti naturali di ciascuno, altera gli uffici dello Stato e turba la pace comune”. Le parole latine “rerum” e “novarum”, che compongono il titolo dell’enciclica, riecheggiano anche nella prima pagina dell’Osservatore Romano dell’edizione del 19 maggio del 1891, giorno in cui viene pubblicato il documento.
La Rerum Novarum e la questione sociale ed economica
La tradizione delle encicliche sociali, nella fase moderna, inizia dunque con la Rerum Novarum di Leone XIII, attestando la sollecitudine dei Papi, nei diversi contesti storici, per questioni sociali ed economiche. Su questo tracciato, partendo dall’enciclica leoniana, si sofferma uno degli ospiti della trasmissione “Doppio Click” condotta da Andrea De Angelis. L’economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, ricorda che la Rerum Novarum, pur riferendosi ad una epoca ormai lontana, resta una bussola con interrogativi ancora cruciali sul mondo del lavoro e sulle condizioni dei lavoratori.
“Questa enciclica – afferma Zamagni – apre la stagione della modernità della Dottrina sociale della Chiesa cattolica, ma è più in generale una pietra miliare del pensiero economico e sociale. Ha avuto infatti – sottolinea l’economista – un impatto enorme in un periodo storico dove da un lato si stava preparando la Seconda rivoluzione industriale, dall’altro si diffondeva il pensiero marxiano. In un tale contesto, il lavoro era concepito come una merce e l’approccio dell’enciclica fu di tipo trasformazionale, cioè occorreva trasformare dall’interno il sistema capitalistico dell’epoca per renderlo adeguato ad interpretare le esigenze dell’umanità del tempo”.
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Una enciclica sempre attuale
La Rerum Novarum ancora oggi mantiene intatta la sua attualità. Una delle sfide, come sottolinea Alessandro Guarasci nella sua scheda, è quella di evitare che le tecnologie digitali producano nuove forme di schiavitù.
Da quando è stata scritta, il mondo del lavoro è molto cambiato molto. Ma i diritti dei lavoratori hanno ancora bisogno di essere tutelati, ancor più quando la finanza vuole prendere il sopravvento sull’economia. Si stima che le 1.000 persone più ricche del mondo hanno recuperato in appena nove mesi tutte le perdite che avevano accumulato per l’emergenza Covid-19. I più poveri, invece, potrebbero impiegare più di 10 anni per recuperare le perdite subite. Don Antonio Mastan, consulente spiritual dell’Ucid, sottolinea che stiamo vivendo un tempo nuovo, in una economia globalizzata che pone sempre il profitto al di sopra del mercato e dei diritti. Dalla Rerum Novarum, aggiunge, possiamo trarre insegnamenti e direttrici.
Ricchezza e povertà
Nella Rerum Novarum si ricorda anche che è il buono o il cattivo uso dei beni il fattore determinante, la discriminante che in ogni tempo, come in questo segnato dalla pandemia, separa l’egoismo dalla fraternità. “Le ricchezze non liberano dal dolore”. “Chi ha dunque ingegno – ricorda Papa Leone XIII citando San Gregorio Magno – badi di non tacere; chi ha abbondanza di roba, si guardi dall’essere troppo duro di mano nell’esercizio della misericordia; chi ha un’arte per vivere, ne partecipi al prossimo l’uso e l’utilità”. Sono parole di tempi lontani, scritte a cavallo tra due secoli, che fotografano anche gli attuali squilibri del mondo e indicano vie anche oggi auspicate da Papa Francesco come quelle della solidarietà e della sussidiarietà. L’enciclica di Leone XIII non ricorda solo la vera utilità delle ricchezze, ma anche i “vantaggi della povertà”: “la virtù è patrimonio comune, conseguibile ugualmente dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai proletari”. “Gesù Cristo chiama beati i poveri” e “abbraccia con atto di carità specialissima” i deboli e i perseguitati. “Queste verità – si legge nell’enciclica – sono molto efficaci ad abbassar l’orgoglio dei fortunati e togliere all’avvilimento i miseri, ad ispirare indulgenza negli uni e modestia negli altri. Così le distanze, tanto care all’orgoglio, si accorciano”.
Fraternità cristiana
Nella Rerum Novarum si sottolinea anche che tutti gli uomini “sono congiunti col vincolo di una santa fraternità”. Vivere la fraternità significa comprendere che “i beni di natura e di grazia sono patrimonio comune del genere umano”. Se tutti sono figli, scrive Papa Leone XIII, sono anche eredi. “Eredi di Dio e corredi di Gesù Cristo (Rom 8,17). Ecco l’ideale dei diritti e dei doveri contenuto nel Vangelo”. Lo stesso ideale indicato da Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”, quello di una fratellanza umana “che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali”. Lo sguardo della Chiesa non è solo rivolto verso la vita eterna. È anche immerso nel mondo. “Né si creda – si legge nella Rerum Novarum – che le premure della Chiesa siano così interamente e unicamente rivolte alla salvezza delle anime, da trascurare ciò che appartiene alla vita morale e terrena. Ella vuole e procura che soprattutto i proletari emergano dal loro infelice stato, e migliorino la condizione di vita”.
Il tempo del lavoro e del riposo
Migliorare le condizioni di vita e rendere il lavoro più dignitoso sono alcune delle priorità indicate dalla Rerum Novarum. Tra le pietre miliari del tracciato dell’enciclica ci sono anche il bene comune e il bene degli operai. Viene esplorata, in tutte le sue articolazioni sociali, la questione operaia. Papa Pecci si sofferma, in particolare, sulle difficili condizioni di lavoro degli operai delle industrie. “Non è giusto né umano – scrive Leone XIII – esigere dall’uomo tanto lavoro da farne inebetire la mente per troppa fatica e da fiaccarne il corpo. Come la sua natura, così l’attività dell’uomo è limitata e circoscritta entro confini ben stabiliti, oltre i quali non può andare. L’esercizio e l’uso l’affina, a condizione però che di quando in quando venga sospeso, per dar luogo al riposo. Non deve dunque il lavoro prolungarsi più di quanto lo comportino le forze”. Nell’enciclica viene anche affrontata la questione del salario che “non deve essere inferiore al sostentamento dell’operaio”. Un altro tema presente nell’enciclica è quello dell’educazione al risparmio. “Quando l’operaio riceve un salario sufficiente a mantenere sé stesso e la sua famiglia in una certa quale agiatezza, se egli è saggio, penserà naturalmente a risparmiare”.
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La via della carità
Il tema centrale dell’enciclica è quello dell’instaurazione di un ordine sociale giusto. E nella parte conclusiva indica la strada da imboccare: quella della carità. “Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi, perché il ritardo potrebbe rendere più difficile la cura di un male già tanto grave. I governi vi si adoperino con buone leggi e saggi provvedimenti; i capitalisti e padroni abbiano sempre presenti i loro doveri; i proletari, che vi sono direttamente interessati, facciano, nei limiti del giusto, quanto possono”. “Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l’opera sua”. “La salvezza desiderata – scrive ancora Papa Leone XIII – dev’essere principalmente frutto di una effusione di carità; intendiamo dire quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo”. Contro l’orgoglio e l’egoismo di ogni secolo, anche del nostro.
A servizio di una economia etica
I grandi cambiamenti messi in atto dal processo d’industrializzazione, cominciato nella seconda metà del Settecento, rendono indispensabile una profonda riflessione sulla nuova condizione lavorativa e sull’intero modello dell’economia, troppo slegato dall’etica. In questo contesto si contraddistinguono nuove figure, tra cui santi e beati, impegnate nella cura, nella protezione e nella formazione di quanti sono gravemente penalizzati da modelli economici disumanizzanti. Nella sua scheda, Silvia Giovanrosa ricorda alcune di queste figure e in particolare quelle di Giuseppe Toniolo, San Lodovico Pavoni ed Elizabeth Prout.
Lungo il solco della Rerum Novarum
La Chiesa non cessa di far sentire la propria voce sulle res novae, tipiche dell’epoca moderna. Ed esorta tutti a prodigarsi affinché si possa affermare una civiltà autentica protesa verso la ricerca di uno sviluppo umano integrale e solidale. Trasformare la realtà sociale con la forza del Vangelo è sempre stata una sfida. E lo è ancora, all’inizio del terzo millennio dell’era cristiana. La Chiesa, esperta in umanità, in un’attesa fiduciosa e al tempo stesso operosa – scriveva il cardinale Renato Raffaele Martino nel 2004 – continua a guardare verso i “nuovi cieli” e la “terra nuova” (2 Pt 3,13), e a indicarli a ciascun uomo, per aiutarlo a vivere la sua vita nella dimensione del senso autentico”. Sono molteplici, in particolare, i documenti di Pontefici che si inseriscono nel solco tracciato dalla Rerum Novarum. Ne ricordiamo alcuni, pubblicati in occasione di anniversari legati all’ enciclica leoniana.
Quadragesimo Anno
Un pilastro della dottrina sociale della Chiesa strettamente legato alla Rerum Novarum di Papa Leone XIII è la lettera enciclica “Quadragesimo Anno” di Papa Pio XI. Promulgata il 15 maggio del 1931, nel 40.mo anniversario della Rerum Novarum, si inserisce in un contesto storico profondamente segnato dalla grande crisi di Wall Street del 1929 che scuote il mondo industriale non solo americano. In questo documento il testo di Leone XIII viene definita una “magna charta” dell’ordine sociale. Pio XI inquadra innanzitutto il periodo della Rerum Novarum: “verso la fine del secolo XIX il nuovo sistema economico da poco introdotto e i nuovi incrementi dell’industria – scrive il Pontefice riflettendo su fenomeni che in parte caratterizzano anche il nostro tempo – erano giunti a far sì che la società in quasi tutte le nazioni apparisse sempre più recisamente divisa in due classi”: l’una, esigua di numero, “che godeva di quasi tutte le comodità” e l’altra, composta da una immensa moltitudine di operai “oppressi da rovinosa penuria”. Nel testo di Papa Ratti mette in guardia da quello che viene definito “imperialismo internazionale del denaro” e si descrivono i danni di un sistema in cui la finanza domina l’economia e l’economia reale. Pio XI sarà profeta nel descrivere una situazione molto simile a quella in cui viviamo oggi.
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Radiomessaggio di Pentecoste del 1941
Nel 50.mo anniversario della “Rerum Novarum”, Pio XII nel radiomessaggio di Pentecoste del 1941 in un tempo segnato dal dramma della guerra, sottolinea tra l’altro che dalla lettera enciclica di Leone XIII è scaturita “una sorgente di spirito sociale forte, sincero, disinteressato”. “Una sorgente la quale, se oggi potrà venire in parte coperta da una valanga di eventi diversi e più forti, domani, rimosse le rovine di questo uragano mondiale, all’iniziarsi il lavoro di ricostruzione di un nuovo ordine sociale, implorato degno di Dio e dell’uomo, infonderà nuovo gagliardo impulso e nuova onda di rigoglio e crescimento in tutta la fioritura della cultura umana”. “L’enciclica Rerum Novarum, accostandosi al popolo, che abbracciava con stima e amore – aggiunge Pio XII – penetrò nei cuori e nelle menti della classe operaia e vi infuse sentimento cristiano e dignità civile”. Nel radiomessaggio del 1942, alla vigilia del Natale , Pio XII sottolinea che la Chiesa non esita a dedurre le conseguenze pratiche, derivanti dalla nobiltà morale del lavoro, e ad appoggiarle con tutto il nome della sua autorità.
Queste esigenze comprendono, oltre ad un salario giusto, sufficiente alle necessità dell’operaio e della famiglia, la conservazione ed il perfezionamento di un ordine sociale, che renda possibile una sicura, se pur modesta proprietà privata a tutti i ceti del popolo, favorisca una formazione superiore per i figli delle classi operaie particolarmente dotati di intelligenza e di buon volere, promuova la cura e l’attività pratica dello spirito sociale nel vicinato, nel paese, nella provincia, nel popolo e nella nazione, che, mitigando i contrasti di interessi e di classe, toglie agli operai il sentimento della segregazione con l’esperienza confortante di una solidarietà genuinamente umana e cristianamente fraterna.
Mater et Magistra
Il 14 maggio del 1961 Giovanni XXIII rivolge un discorso alle genti del mondo intero nel quale annuncia una nuova enciclica e ricorda il contributo dato dalla Rerum Novarum.
L’umile Papa suo successore che vi parla era un fanciulletto di dieci anni in quel 1891: ma rammenta benissimo, come nella sua parrocchia, e tutto intorno a lui le parole iniziali di quel documento « Rerum Novarum » (Noi si era ai latinucci allora) venissero ripetute nelle chiese e nei convegni come il titolo di un insegnamento, non improvviso in verità, ma antichissimo quanto il Vangelo di Gesù Salvatore, e messo in quel maggio del 1891 in una luce nuova e meglio appropriata alle moderne circostanze del mondo. Si trattava di situazioni e questioni recenti, sulle quali ciascuno amava di dire la sua, e molti la dicevano a sproposito, suscitando pericoli di confusione e tentazione di disordine sociale. Papa Leone, l’ammirabile pontefice, aveva voluto ricavare dai tesori dell’insegnamento secolare della Chiesa la dottrina giusta e santa, la verità illuminatrice per la direzione dell’ordine sociale secondo i bisogni del suo tempo. Quella Lettera Enciclica « Rerum Novarum », ponendosi con grande coraggio ed insieme con chiarezza e decisione, sopra tutto fra i vari rapporti dei contadini e degli operai, detti proletari, da una parte, e i proprietari e imprenditori dall’altra, indicava come fosse indispensabile ricomporre le ragioni della giustizia e della equità a beneficio e a vantaggio degli uni e degli altri, invocando come necessari tanto l’intervento dello Stato quanto l’azione onesta e leale degli interessati, lavoratori e datori di lavoro.
Nel 70.mo anniversario della Rerum Novarum, un’altra enciclica, promulgata il 15 maggio del 1961, ripercorre tematiche e questioni affrontate da Leone XIII. Si tratta della lettera enciclica Mater et Magistra di Giovanni XXIII. Papa Roncalli, ricordando quel documento, indica due parole-chiave: comunità e socializzazione. “Uno degli aspetti tipici che caratterizzano la nostra epoca – scrive il Pontefice – è la socializzazione, intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza con varie forme di vita e di attività associata, e istituzionalizzazione giuridica”. La Chiesa è allora chiamata a collaborare per costruire un’autentica comunione. Per tale via, la crescita economica non si deve limitare a soddisfare i bisogni degli uomini, ma deve promuovere anche la loro dignità.
Octogesima Adveniens
Nell’80.mo anniversario della Rerum Novarum viene promulgata la lettera apostolica di Paolo VI Octogesima Adveniens. Il mondo è profondamente cambiato. “La crescita smisurata delle città – scrive Paolo VI che nel 1967 aveva promulgato l’enciclica Populorum Progressio sullo sviluppo dei popoli – accompagna l’espansione industriale, senza identificarsi con essa. Basata sulla ricerca tecnologica e sulla trasformazione della natura, l’industrializzazione prosegue senza sosta il suo cammino, dando prova di una creatività inesauribile. Mentre talune imprese si sviluppano e si concentrano, altre si spengono o si spostano, creando nuovi problemi sociali: : disoccupazione professionale o regionale, riqualificazione e mobilità delle persone, adattamento permanente dei lavoratori, disparità di condizioni nei diversi settori dell’industria”.
Una voce profetica
Ma perché Papa Leone XIIII parlò di questioni sociali? Ne aveva il diritto? Domenica 16 maggio 1971 – due giorni dopo la pubblicazione della lettera apostolica Octogesima Adveniens – Paolo VI risponde anche a queste domande nell’omelia pronunciata durante la Messa presieduta in piazza San Pietro. “La Chiesa e il Papa stesso – sottolinea Papa Montini in quell’occasione – avevano già altre volte denunciato gli errori sociali, di idee specialmente, che venivano generando nei tempi nuovi, quelli appunto del lavoro industriale, gravi inconvenienti; ma quella volta la parola fu più forte, più chiara, più diretta; oggi possiamo dire fu liberatrice e profetica”.
Perché il Papa parlò? Ne aveva il diritto? Ne aveva la competenza? Sì, rispondiamo, perché ne aveva il dovere. Qui si tratterebbe di giustificare questo intervento della Chiesa e del Papa nelle questioni sociali, che sono di natura loro questioni temporali, questioni di questa terra, dalle quali sembra esulare la competenza di chi trae la sua ragion d’essere da Cristo, che dichiarò il suo regno non essere di questo mondo. Ma, a ben guardare, non si trattava per il Papa del regno di questo mondo, diciamo semplicemente della politica; si trattava degli uomini che compongono questo regno, si trattava dei criteri di sapienza e di giustizia che devono ispirarlo; e sotto questo aspetto la voce del Papa, che si faceva avvocato dei poveri, costretti a rimanere poveri nel processo generatore della nuova ricchezza, degli umili e degli sfruttati, non era altro che l’eco della voce di Cristo, il quale si è fatto centro di tutti coloro che sono tribolati ed oppressi per consolarli e per redimerli.
Laborem Exercens e Centesimus Annus
Nel 90.mo anniversario della Rerum Novarum viene promulgata l’enciclica di Giovanni Paolo II Laborem Exercens. Celebriamo questo anniversario – scrive il Pontefice – alla vigilia di nuovi sviluppi nelle condizioni tecnologiche, economiche e politiche che, secondo molti esperti, influiranno sul mondo del lavoro e della produzione non meno di quanto fece la rivoluzione industriale del secolo scorso”. Nel centenario della “Rerum Novarum” viene poi promulgata il primo maggio del 1991 l’enciclica di Giovanni Paolo II Centesimus Annus. Quella di Papa Wojtyła è una “rilettura” dell’enciclica leoniana. Il Pontefice polacco esorta a “guardare indietro”, per scoprire nuovamente la ricchezza dei principi fondamentali formulati nella Rerum Novarum. “Ma invito anche – scrive Giovanni Paolo II – a «guardare intorno», alle «cose nuove», che ci circondano ed in cui ci troviamo, per così dire, immersi, ben diverse dalle «cose nuove» che contraddistinsero l’ultimo decennio del secolo passato. Invito, infine, a «guardare al futuro», quando già s’intravede il terzo Millennio dell’era cristiana, carico di incognite, ma anche di promesse. Incognite e promesse che fanno appello alla nostra immaginazione e creatività”. Il 15 maggio del 1991, al termine della celebrazione del primo centenario della Rerum Novarum, Giovanni Paolo II pronuncia queste parole.
Fin dall’inizio della sua enciclica, Papa Leone XIII ha sottolineato il fatto che, come conseguenza delle nuove tecniche, la produzione dei beni è aumentata rapidamente, e l’umanità si è trovata di fronte ad una ricchezza mai sperimentata nel passato. Egli non rifiutava questa “res nova” come tale; al contrario, egli vedeva in essa una nuova realizzazione della volontà di Dio di perfezionare l’opera della sua creazione grazie al lavoro dell’uomo e per il bene dell’uomo. Ma la preoccupazione del Papa era di vedere che questa nuova ricchezza, invece di essere accessibile a tutto il genere umano, rimaneva in realtà concentrata nelle mani di un piccolo gruppo di persone, mentre la massa dei proletari era esclusa dal suo godimento e diventava sempre più povera.
Caritas in Veritate
Nell’enciclica Caritas in Veritate del 2009 Benedetto XVI fotografa vari mutamenti che incidono sul tessuto sociale ed occupazionale. “L’insieme dei cambiamenti sociali ed economici fa sì – scrive tra l’altro Benedetto XVI – che le organizzazioni sindacali sperimentino maggiori difficoltà a svolgere il loro compito di rappresentanza degli interessi dei lavoratori, anche per il fatto che i Governi, per ragioni di utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali o la capacità negoziale dei sindacati stessi. Le reti di solidarietà tradizionali trovano così crescenti ostacoli da superare”. L’invito della dottrina sociale della Chiesa, cominciando dalla Rerum Novarum, a dar vita ad associazioni di lavoratori per la difesa dei propri diritti va pertanto onorato oggi ancor più di ieri, dando innanzitutto una risposta pronta e lungimirante all’urgenza di instaurare nuove sinergie a livello internazionale, oltre che locale”. “La mobilità lavorativa, associata alla deregolamentazione generalizzata, è stata un fenomeno importante, non privo di aspetti positivi perché capace di stimolare la produzione di nuova ricchezza e lo scambio tra culture diverse”. “Tuttavia, quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica – si legge ancora nell’enciclica Caritas in Veritate che sembra riferirsi anche a questo ultimo periodo scosso dalla pandemia- si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio”.
Dalla Rerum Novarum alla Laudato si’
Il 24 maggio del 2015 viene firmata la Laudato si’, la lettera enciclica di Papa Francesco sulla cura della casa comune. In quell’anno il cardinale Gualtiero Bassetti scrive in un articolo per l’Osservatore Romano che “l’importanza di questa enciclica è paragonabile alla rilevanza che ebbe la pubblicazione della Rerum novarum nel 1891 da parte di Papa Leone XIII”. “Quell’enciclica di Papa Pecci aprì lo sguardo materno della Chiesa su un mondo che era allora ancora inesplorato per il magistero pontificio: quello della questione operaia”. “Con la Rerum novarum venne – spiega il porporato – fatta luce su una fase di transizione importantissima: il passaggio da una società agricola a una industriale, dalla campagna alla fabbrica e, in definitiva, dal notabilato alla società di massa. Oggi c’è un passaggio ulteriore”. “La società di massa è diventata una società globale sempre più polverizzata e liquida. Nell’enciclica di Leone XIII – sottolinea il cardinale Bassetti – i riferimenti ambientali erano il «fabbricato» in cui gli operai lavoravano e il «suolo» occupato da quella fabbrica, mentre i soggetti che vi agivano erano gli operai e i padroni. Oggi queste realtà sono profondamente mutate. Il sistema produttivo è ovunque. E ogni aspetto del creato può essere potenzialmente utilizzato e manipolato dalle tecnoscienze con ripercussioni profondissime nella vita di ogni essere umano”.
Il Papa delle cose nuove
Il Papa della Rerum Novarum è il primo Pontefice della storia immortalato da una macchina da presa. Siamo agli albori del cinema. Nella pellicola, la più antica esistente in Italia, si vide il Pontefice che benedice. Quella di Leone XIII è inoltre la prima voce di un Papa ad essere registrata. Negli archivi della Radio Vaticana è custodita la registrazione della voce del Pontefice che legge alcuni brani della Lettera Enciclica “Humanum Genus”, sulla “Condanna del relativismo filosofico e morale della massoneria”. La registrazione porta la data di pubblicazione dell’enciclica, avvenuta il 20 aprile 1884. È stata realizzata con il Fonografo Edison a rulli di cera (brevettato nel 1877) e fatta pervenire alla Radio Vaticana in epoca successiva.
Via Rerum Novarum
Se nelle mappe cartacee e digitali si cerca Via Rerum Novarum, le indicazioni stradali sono concordi nel condurre a Carpineto Romano. In questo paese, luogo natio di Papa Leone XIII, si snoda infatti una strada che prende il nome dell’enciclica del 1891. Si tratta di un percorso che collega il comune alle porte di Roma con la località “Fonte acqua sorgente”. Come lo sbocco di questo tratto viario, anche l’enciclica di Papa Pecci resta una sorgente da cui sono sgorgati documenti e riflessioni di vari Pontefici che proiettano la luce del Vangelo sulle questioni sociali del loro tempo. Le parole di Leone XIII, morto nel 1903 e sepolto nella Basilica di San Giovanni in Laterano, hanno dato impulso ad una serie di concrete iniziative. “Subito dopo la Rerum Novarum – ha ricordato Benedetto XVI il 5 settembre del 2010 durante la sua visita pastorale a Carpineto Romano – si verificò in Italia e in altri Paesi un’autentica esplosione di iniziative: associazioni, casse rurali e artigiane, giornali,… un vasto ‘movimento’ che ebbe nel servo di Dio Giuseppe Toniolo l’illuminato animatore. Un Papa molto anziano, ma saggio e lungimirante, poté così introdurre nel XX secolo una Chiesa ringiovanita, con l’atteggiamento giusto per affrontare le nuove sfide”. Quella aperta da Papa Leone XIII è ancora oggi una strada profondamente immersa nel mondo e in alcune delle sfide che attendono l’umanità.
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La puntata numero 80 di Doppio Click è stata realizzata da Andrea De Angelis, Silvia Giovanrosa, Alessandro Guarasci e Amedeo Lomonaco.