Francesco Zecchin*
Prendersi cura degli ammalati è una dimensione che il cristianesimo, sulla scia delle intuizioni ippocratiche, ha contributo a determinare quale forma privilegiata di espressione della sensibilità dell’uomo verso gli altri uomini: “la malattia è più di un fatto clinico, […] è sempre la condizione di una persona” (Discorso di Papa Francesco alla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri). Il compito del medico è diventato qualcosa di più rispetto a ciò che suggerisce la radice med (ristabilire o assicurare l’ordine in un corpo) e il malato non è stato più guardato alla stregua di un peccatore.
Tuttavia, negli ultimi decenni, soprattutto nel caso di prestazioni erogate da strutture sanitarie, si registra una tendenza alla spersonalizzazione delle cure. Fra le ragioni del fenomeno vi è l’aziendalizzazione dei servizi sanitari (Discorso di Papa Francesco all’Associazione Cattolica Operatori Sanitari), che per tanti aspetti è positiva, ma rischia di trasformare il rapporto medico paziente in un anonimo do ut des. Ne risulta che, in piena blame culture, non vi sono remore a chiedere i danni al medico che ha (forse) sbagliato. Dalla fine del secolo scorso le cause in ambito sanitario sono, infatti, aumentate esponenzialmente.
La reazione degli operatori del settore è stata la cosiddetta medicina difensiva: prescrivere esami superflui per tutelarsi nell’eventualità di un giudizio di responsabilità. Ciò ha contribuito all’aumento della spesa pubblica sanitaria, cui molti ordinamenti europei hanno risposto riformando le regole della responsabilità medica, che la giurisprudenza aveva rimodulato in termini eccessivamente favorevoli al paziente. Sennonché, interventi di questo tipo aggirano solo il problema e nella versione italiana della l. 8 marzo 2017, n. 24 si rivelano addirittura controproducenti, perché legittimano proprio l’anonimia della cura e quindi favoriscono la litigiosità.
Un’alternativa sarebbe incidere sulla qualità della relazione di cura, come peraltro suggerisce il magistero della Chiesa (Messaggio di Papa Francesco per la XXIX Giornata Mondiale del malato, 4). Da questo punto di vista, ad esempio, una riforma del consenso informato nell’ottica della “convenzione terapeutica” significherebbe trattare secondo dignità chi ha bisogno di cure, e forse ciò porterebbe a guardare il medico con minor severità, se non con indulgenza.
* Docente di Istituzioni di diritto privato
Potete ascoltare qui la serie di podcast sulla Dottrina sociale della Chiesa. La puntata è di Francesco Zecchin, curatore della voce “Relazione di cura e responsabilità medica: implicazioni giuridiche” del Dizionario di Dottrina sociale.