Marco Guerra – Città del Vaticano
Code chilometriche di macchine, camion e mini bus carichi di persone in fuga con pacchi e valigie, questo ha prodotto l’evacuazione forzata di 10 dei 18 quartieri di Goma, città da due milioni di persone.
Oltre 200 bambini lontani dalle famiglie
Una folla composta anche di anziani e bambini, e si teme proprio per i più piccoli dopo che, a seguito della fuga rocambolesca per l’eruzione della scorsa settimana, 243 minori risultano ancora separati dalle famiglie, secondo quanto riferisce la Ong Save the Children. Numeri ancora più drammatici quelli forniti dall’Unicef che avverte che ben 400.000 persone, tra cui 280.000 bambini, potrebbero essere sfollate e aver bisogno di protezione o sostegno. In un comunicato, l’agenzia dell’Onu per l’infanzia riporta che quasi 1.000 bambini, che sono stati separati dai loro genitori nel caos del primo giorno di distruzione, sono stati identificati, e che l’Unicef ha aiutato a riunire quasi 700 bimbi alle loro famiglie. Altri 142 bambini sono stati collocati in famiglie affidatarie temporanee, mentre 78 sono in centri di transito.
Il rischio di emissioni di gas dal lago Kivu
E alla pericolosità del vulcano, si aggiunge il rischio di attacchi contro i civili da parte dei numerosi gruppi armati che imperversano nell’area. “Una nuova eruzione potrebbe verificarsi in qualsiasi momento”, ha spiegato il governatore locale. Il centro di Goma è ora minacciato, con attività segnalate del magma sotto l’area urbana e al lago Kivu. Il timore più grande è che l’interazione della lava con l’acqua del lago causi l’emissione di gas potenzialmente asfissianti in superficie.
L’allarme di Acs
Don Arsene Masumbuko, rettore del seminario San Giovanni Paolo II di Buhimba, lancia un allarme tramite Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), che in questi anni ha sostenuto la formazione di 29 seminaristi e di sei sacerdoti docenti. Parlando alla Fondazione pontificia, il sacerdote evidenzia che il quadro è particolarmente complesso perché nella regione del Nord Kivu la popolazione è aumentata rapidamente negli scorsi anni a causa dei rifugiati causati dalla guerra civile e dalla violenza dei gruppi armati attivi nell’area. “La sicurezza al di fuori di Goma è molto precaria. Ci sono gruppi armati che approfittano di questa situazione per attaccare e assaltare la popolazione”, spiega il rettore del seminario. “La situazione è caotica”, la missione “Monusco è andata via e ci ha lasciati soli. Non ci sono indicazioni precise, la gente è informata tramite i social network e vengono diffusi messaggi contraddittori, è un vero dramma”, aggiunge don Arsene Masumbuko.
Casola (Ispi): territorio infestato dai gruppi armati
“Un progetto che monitora l’attività dei gruppi ribelli ha stimato la presenza di oltre cento milizie nell’intera regione nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo, si tratta di realtà attive nel controllo del territorio e delle risorse e che rappresentano una grave minaccia per popolazioni attualmente in fuga”, spiega a VaticanNews Camillo Casola, ricercatore del Programma Africa dell’Ispi. Casola ricorda che nell’area è presente la più ampia missione di peace keeping delle Nazioni Unite, la Monusco, che però non ha corrisposto alle aspettative di stabilizzazione. Fatto sta che nella regione lo scorso febbraio in Nord Kivu è stato ucciso in un agguato l’ambasciatore italiano Luca Attanasio. “Il presidente in carica Felix Tshisekedi ha promesso una svolta nel processo di messa in sicurezza delle regioni orientali – prosegue Casola – ma sono aree molto lontane dalla capitale e difficili da controllare”.
Oltre 5 milioni di sfollati interni
Il ricercatore dell’Ispi ritiene che il Nord Kivu sia un territorio centrale per tutta la regione dei Grandi Laghi: “La minaccia dei gruppi armati riguarda anche il Ruanda e l’Uganda, Paesi in cui affondano le radici di alcune di queste milizie e che si muovono anche grazie ad una situazione di fluidità dei confini”. La parte orientale della Repubblica Democratica del Congo è conosciuta per la ricchezza delle materie prime ma è anche una delle zone vulcaniche più attive della Terra, “questo è un ulteriore fattore di rischio per la situazione umanitaria – afferma ancora Casola – e rappresenta un driver di mobilità forzata che spinge all’aumento degli sfollati interni che, secondo alcune stime, raggiungono già la cifra record mondiale di 5 milioni di unità”.