Laura De Luca – Città del Vaticano
L’odierna domenica è detta anche la Domenica della Divina Misericordia: essa costituisce – in quest’anno dedicato a Dio Padre – una preziosa occasione per entrare, come singoli e come Chiesa, nell’autentico spirito giubilare, secondo le parole stesse di Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha . . . mandato per . . . predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19). Sono molto lieto che numerosi sacerdoti e fedeli siano convenuti stamane in Piazza San Pietro per una solenne Eucaristia (…), mentre esprimo il mio compiacimento per la vostra devozione a Gesù misericordioso. Vi incoraggio di cuore ad essere, nell’ambiente di vita e di lavoro di ciascuno di voi, apostoli della divina misericordia come la Beata Faustina Kowalska.
Così Giovanni Paolo II al Regina Coeli del 7 giugno 1999. Era una ragazza del secolo scorso, una giovane suora: nella Polonia tra le due guerre mondiali Gesù le apparve “commissionandole”, per così dire, di ritrarlo così come lo celebriamo oggi, Gesù misericordioso: con la veste bianca e i due raggi, uno rosso e uno bianco sgorganti dal suo petto, ma soprattutto raccomandandole di confidare in lui…
E’ davvero grande oggi la mia gioia, nel proporre a tutta la Chiesa, quasi dono di Dio per il nostro tempo, la vita e la testimonianza di Suor Faustina Kowalska. Dalla divina Provvidenza la vita di questa umile figlia della Polonia è stata completamente legata alla storia del ventesimo secolo, il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. E’, infatti, tra la prima e la seconda guerra mondiale che Cristo le ha affidato il suo messaggio di misericordia. Coloro che ricordano, che furono testimoni e partecipi degli eventi di quegli anni e delle orribili sofferenze che ne derivarono per milioni di uomini, sanno bene quanto il messaggio della misericordia fosse necessario.
Disse Gesù a Suor Faustina: “L’umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla divina misericordia” (Diario, p. 132). Attraverso l’opera della religiosa polacca, questo messaggio si è legato per sempre al secolo ventesimo, ultimo del secondo millennio e ponte verso il terzo millennio. Non è un messaggio nuovo, ma si può ritenere un dono di speciale illuminazione, che ci aiuta a rivivere più intensamente il Vangelo della Pasqua, per offrirlo come un raggio di luce agli uomini ed alle donne del nostro tempo.
Era il 30 aprile 2000. Domenica in Albis. Giovanni Paolo II canonizzava suor Faustina Kowalska, nel pieno del Grande Giubileo. Ne aveva sentito parlare nel 1941, quando lavorava nella fabbrica chimica Solvay, a Lagiewniki, un sobborgo della periferia di Cracovia. Prima di iniziare il lavoro, si fermava nella Cappella del Convento di suor Faustina e lì sostava in preghiera. Da allora la Divina Misericordia è stata sempre al centro della sua spiritualità e della sua vita; anche lui come suor Faustina si è fatto apostolo della Divina Misericordia; da Papa, nel 1980 ha siglato l’enciclica Dives in Misericordia e ha istituito questa festa nel 1992. Tornerà al santuario di suor Faustina vicino Cracovia durante il suo viaggio in Polonia del giugno 1997.
La Chiesa rilegge il Messaggio della Misericordia per portare con più efficacia alla generazione di questa fine di millennio e a quelle future la luce della speranza. Senza mai cessare, essa chiede a Dio misericordia per tutti gli uomini. “In nessun momento e in nessun periodo storico – specialmente in un’epoca così critica come la nostra – la Chiesa può dimenticare la preghiera, che è il grido alla misericordia di Dio dinanzi alle molteplici forme di male che gravano sull’umanità e la minacciano… Quanto più la coscienza umana, soccombendo alla secolarizzazione, perde il senso del significato stesso della parola «misericordia», quanto più allontanandosi da Dio, si distanzia dal mistero della misericordia, tanto più la Chiesa ha il diritto e il dovere di far appello al Dio della misericordia «con forti grida»” (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, n. 15). Proprio per questo sul percorso del mio pellegrinaggio si è trovato anche questo Santuario. Vengo qui per affidare tutte le preoccupazioni della Chiesa e dell’umanità a Cristo misericordioso. Alla soglia del terzo millennio, vengo, per affidargli ancora una volta il mio ministero Petrino – “Gesù, confido in Te”!
Nelle mani di Gesù misericordioso Giovanni Paolo II aveva affidato il suo stesso essere Papa, nonché il bisogno di misericordia e di perdono di tutto il popolo cristiano.
Un altro Papa, su un’altra soglia, quella dell’anno santo del 1950, aveva evocato la misericordia divina. Pio XII, radiomessaggio di Natale del 1949:
Grande ritorno dunque Noi Ci attendiamo in questo Anno di grazie straordinarie, grande per il numero dei figli, cui riserviamo il più affettuoso amplesso, grande per la lontananza da cui proverranno alcuni di loro, grande per le vaste e benefiche ripercussioni, che non mancheranno di derivarne. Ai Nostri figli, a tutti gli uomini di buona volontà sia caro l’impegno di non deludere le speranze del Padre comune, che tiene le braccia alzate al cielo, perché la nuova effusione della misericordia divina sul mondo superi ogni misura.
“Che la misericordia divina superi ogni misura”. Perché anche la nostra fragilità è smisurata.
Nel suo viaggio in Polonia, nel maggio 2006, Papa Benedetto XVI sottolineò la parentela fra quelli che definì due misteri: la fragilità umana e la misericordia divina. Eccolo al suo incontro con i malati…
In questa circostanza stiamo davanti a due misteri: il mistero della sofferenza umana e il mistero della Divina Misericordia. Ad un primo sguardo questi due misteri sembrano contrapporsi. Ma quando cerchiamo di approfondirli alla luce della fede, vediamo che essi si pongono in reciproca armonia. Ciò grazie al mistero della croce di Cristo.
La croce di Cristo annoda stretti insieme i limiti e la grandezza di Dio. Il peccato dell’uomo e la misericordia del creatore.
Una intuizione teologica sopraffina di Papa Paolo VI.
12 aprile 1968, dopo la Via Crucis al Colosseo, quando definì la misericordia un torrente sgorgante dalla croce:
Allora, a conclusione del pio Esercizio ora compiuto, resteremmo forse dolorosamente sorpresi e, quali accusati e responsabili, dovremmo andarcene con il rimorso nel cuore e con il senso della disperazione di colui che aveva tradito Gesù, e rinnegato il sangue innocente? No, affatto: eccoci a rilevare, con stupore e conforto indicibili, che proprio la dolorosissima morte del Salvatore è stata la nostra fortuna e ci riempie di gioia e di amore. Gesù è morto non solo perché da noi ucciso; è morto per noi. Egli, morendo sulla Croce, ci ha salvati. Per noi Egli ha patito ed è morto. E come tante raffigurazioni della Croce nell’arte cristiana fanno sgorgare ai piedi di quell’albero di vita rivoli di limpida acqua per indicare la grazia, l’amicizia con Dio, i Sacramenti, così effettivamente dalla Croce scaturisce un torrente di misericordia e offre a noi, a tutti, l’inestimabile sorte di essere perdonati, di essere redenti. Al punto tale che, con la liturgia della Chiesa, chiameremo «beata» la crudele Passione del Signore: poiché è fonte della nostra rinascita e della nostra felicità. Non più, dunque, la croce è un patibolo di ignominia e di morte, bensì simbolo di vittoria: in hoc signo vinces. Lo vediamo qui sotto l’arco di Costantino, trionfante da quando i destini della Croce di Cristo hanno aperto alla storia della Chiesa nuovi radiosi orizzonti.
Ascolta la puntata di Le voci dei Papi di domenica 11 aprile, dedicata al magistero dei Papi sulla misericordia