Querida Amazonia, padre Bossi: la Chiesa brasiliana è in cammino

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Il polmone del mondo, scrigno di biodiversità, di futuro e di vita ma anche maltrattato, oltraggiato e offeso dalla speculazione. L’Amazzonia, nell’Esortazione apostolica di Papa Francesco Querida Amazonia, datata 2 febbraio 2020, è guardata nella sua fragilità e nella sua ricchezza.

“L’amata Amazzonia si mostra di fronte al mondo con tutto il suo splendore, il suo dramma, il suo mistero”.

Il Papa inizia così il documento post-sinodale, frutto dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica, tenutosi in Vaticano tra il 6 e il 27 ottobre 2019. Padre Dario Bossi, superiore provinciale dei Missionari Comboniani del Brasile e membro della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), indica la difficoltà e la forza dell’Esortazione in un contesto fortemente segnato da contrasti sociali per la difesa della terra. Il religioso fa parte anche della Rete Iglesias y Minería, ed è stato uno dei 113 padri sinodali che nel Sinodo hanno portato le istanze delle popolazioni amazzoniche:

Ascolta l’intervista a padre Bossi

A due anni da Querida Amazonia e dai quattro sogni disegnati da Papa Francesco: il sogno sociale, culturale, ecologico ed ecclesiale, dal suo osservatorio brasiliano quali cambiamenti ha intravisto?

Querida Amazonia è stato il frutto di un grande processo, lungo, attento e profondo di ascolto delle comunità e delle persone in tutta la Pan-Amazzonia. Quello che è venuto a mancare subito dopo e con l’inizio della pandemia è stata la restituzione di questo ascolto in un movimento simmetrico, nell’incontro con queste comunità che avevano ispirato il Sinodo. La pandemia ha lasciato in sospeso e ha limitato questo movimento, ci ha obbligato a trasferire le energie nel campo dell’emergenza, della solidarietà, della ricostruzione della speranza. Allo stesso tempo ci ha dato una fortissima conferma che la nostra Madre Terra è malata e noi con lei. E’ quindi è stato un invito radicale a estirpare il virus dell’estrattivismo predatorio, il virus del saccheggio delle risorse. Durante questi due anni da Querida Amazonia, oltre alla pandemia, altri grandi eventi si sono susseguiti: un’altra Coop sul clima che è fallita; un mercato delle soluzioni climatiche che fa il gioco di chi possiede i grandi capitali; una sequenza di decisioni e di posizioni politiche di governi latino-americane miopi. Non sono mancati elementi positivi come il grande protagonismo degli indigeni, è stata impressionante la loro presenza a Glasgow, ma anche per la loro capacità di organizzazione delle marce, ad esempio, tra queste quella delle donne indigene a Brasilia. Poi il grande protagonismo dei giovani in una dimensione di alleanza internazionale, in quel tipico dialogo tra Chiesa e movimenti popolari che Papa Francesco apprezza molto. I giovani di “Friday for the future” e quelli del Movimento Laudato si’ ma anche le reti locali, come per esempio la rete Iglesias y Minería, la rete che mette insieme le comunità locali colpite dall’estrattivismo minerario e che però resistono e riescono a stare in piedi, grazie anche ad una spiritualità ecumenica e interreligiosa. Spesso quando si parla di Sinodo si dice che è finito in un cassetto, si è concluso, si è spento. Io dire di no. Le radici di una pianta crescono senza che le si veda e io credo che siamo in questo processo di radicazione del Sinodo, con la lentezza che alcuni problemi hanno generato ma con molta speranza e molto lavoro, per esempio, c’è il grande tema della tutela dei difensori dei territori: una minaccia crescente tanto in Colombia quanto in Venezuela e anche in Brasile. Una minaccia che coinvolge un grande numero di persone addirittura criminalizzate, processate e uccise perché difendono le loro comunità. Fin dall’inizio del Sinodo, questa situazione è stata una priorità che i vescovi brasiliani hanno assunto all’unanimità, e subito dopo l’assise ecclesiale ci siamo messi a lavorare su questo ed è nata la campagna: “La vita appesa a un filo” che da due anni sta portando avanti un forte impegno nel campo della formazione, raggiungendo centinaia di persone e formando gruppi, promuovendo denunce e assumendo posizioni coraggiose. In più la Chiesa dopo il Sinodo è diventata un attore rispettato e cercato dalle altre organizzazioni come un’alleata.

Il documento Querida Amazonia disegna una Chiesa con volti amazzonici, richiedendo “la presenza stabile di laici che conoscano lingue, culture esperienze spirituali, modo di vivere nelle comunità, nei diversi luoghi”. Su questo aspetto ecclesiale cosa è stato fatto? E’ un messaggio che secondo lei ha generato concretezza?

Subito dopo il Sinodo la Chiesa si è organizzata in modo capillare qui in Brasile, ci siamo mossi soprattutto preparando materiali popolari di rilettura del Sinodo, come piccoli quaderni che facilitano lo studio tanto di Querida Amazonia come del documento finale del Sinodo. Ma anche la lettura in piccoli gruppi di cristiani nelle case o nelle comunità di base. Inoltre abbiamo cercato di appoggiare le assemblee diocesane o parrocchiali animate, in alcuni casi, da persone che hanno partecipato al Sinodo o che lo hanno preparato da tempo. L’obiettivo grande è che il Sinodo si traduca in concreto nei piani pastorali diocesani che lo rendono vivo. È chiaro che nella chiesa anche in Brasile ci sono parecchie resistenze alle sfide dell’inculturazione, c’è un certo clericalismo, ma si è avvertita una ventata di aria fresca che ha ridato vigore al Sinodo, ad esempio con l’assemblea ecclesiale latino-americano. L’Amazzonia si è proposta come uno dei territori latino americani in cui si può e si deve camminare alla luce del paradigma dell’ecologia integrale, lanciata dalla Laudato si’. Un cammino in cui è urgente sperimentare e mettere in pratica un modello poi da proporre ad altri territori. Ci sono temi concreti su cui stiamo lavorando dal punto di vista ecclesiale è il tema del ruolo delle donne, il ministero istituito di dirigente di comunità, del diaconato della donna, la formazione, l’inculturazione e quindi la riflessione sulla celebrazione amazzonica e anche l’ordinazione presbiterale di uomini sposati.

Guardando all’aspetto ecologico, c’è il disastro ambientale in Ecuador l’ultimo in ordine di tempo, poi quello che accade nelle miniere in Brasile, il grido della terra a due anni dall’Esortazione del Papa, secondo lei è stato raccolto?

Purtroppo quello che sta succedendo in Brasile, in America Latina e nel mondo è un fenomeno inverso al movimento urgente ed essenziale che bisognerebbe promuovere, c’è l’accelerazione dell’estrattivismo predatorio. Un paradosso di questi tempi è che si denuncia sempre di più il riscaldamento globale e l’urgenza di sospendere le emissioni di carbonio ma ci troviamo di fronte ad un aumento dell’estrazione del petrolio.  Continuiamo a trovarci di fronte a situazioni limite come gli ultimi due crimini ambientali di questi ultimi giorni: a Lima con la distruzione di alcuni grandi depositi di petrolio che hanno riversato in mare 6000 barili di petrolio; poi la rottura dell’oleodotto in Ecuador che sta contaminando il Rio Koch. Sono situazioni molto recenti e molto frequenti che mostrano quanto questa accelerazione dell’estrattivismo corrisponda ad una accelerazione dei danni, degli impatti della violenza sulle persone, sulla natura. Un altro punto gravissimo è l’aumento dell’estrazione dell’oro, il cui valore è cresciuto molto in questi tempi di crisi economica e ciò ha generato anche e soprattutto in Amazzonia un’intensificazione della ricerca, con una forte contaminazione dei fiumi per via del mercurio, utilizzato per trovarlo. Le terre indigene sono state invase da cercatori d’oro: 20.000 cercatori d’oro nella terra yanomami, abitata da circa 26.000 indigeni, o minacce di morte, accuse, calunnie contro le organizzazioni dei popoli indigeni munduruku. Il tema dell’estrazione dell’oro in Amazzonia è realmente gravissimo, inoltre il disboscamento in Amazzonia la sta portando vicino al punto di non ritorno, in cui si innescherà un ciclo irreversibile di savanizzazione, desertificazione. Noi come Chiesa denunciamo alcuni meccanismi internazionali che stanno minacciando la sopravvivenza dell’Amazzonia, appoggiamo per esempio il blocco degli accordi di libero commercio tra l’Europa e il Mercosur finché non ci saranno le garanzie che questi accordi non compromettano l’Amazzonia, appoggiamo il Trattato vincolante per le imprese sui diritti umani e anche guardiamo alla catena produttiva dei prodotti che giungono in Europa, “Non voglio l’Amazzonia nel mio piatto”, è una campagna essenziale.  E’ urgente in quest’anno lavorare perché si possa mettere al centro non solo la gente, ma anche la natura e i suoi diritti.