Quelle già note trattative della Santa Sede con la Germania

Vatican News

di Matteo Luigi Napolitano

L’apertura degli archivi sul pontificato di Pio XII ha avviato una nuova stagione di studi che si spera fruttuosa e stimolante. Hanno fatto da battistrada il volume di Johan Ickx su Pio XII e gli Ebrei e Il Diario di un Cardinale curato da Sergio Pagano e dedicato al Segretario di Stato di Pio XII, Maglione. Per gli eventi bellici visti dalla Gendarmeria Pontificia vi è poi lo studio di Cesare Catananti intitolato Il Vaticano nella tormenta.

Ora il nuovo libro di David I. Kertzer, Un Papa in guerra, tenta di porsi come ulteriore contributo all’ancor esigua storiografia gemmata dai nuovi archivi.

Atteso e annunciato da tempo, lo studio di Kertzer si propone come la prima sistematizzazione degli eventi che hanno avvolto il pontificato di Pio XII. Anzi questo libro sarebbe, nella prefazione del suo Autore, «il primo resoconto completo di questi eventi basato sugli archivi recentemente aperti». Tuttavia, lo studioso non cita il già menzionato volume di Ickx (ormai disponibile in cinque lingue) né nel testo né in bibliografia. E lo stesso dicasi per il volume di Catananti.

La “dichiarazione d’intenti” di Kertzer rappresenta un forte impegno nei confronti dei lettori. Avverte giustamente l’Autore che gli archivi vaticani vanno comparati ad altre fonti. E ciò rende ancor più impegnativo il suo “contratto morale” con i lettori.

Dato che su alcuni temi sollevati da Kertzer ci siamo già intrattenuti proprio su queste pagine poco dopo l’apertura delle nuove carte su Pio XII (cfr. “Osservatore Romano” del 4 settembre 2020), e sul sito vaticanfiles.net, per ragioni di spazio limiteremo l’analisi agli aspetti di questo nuovo libro che ci sembra meritino un approfondimento critico.

Una delle “novità” del libro di Kertzer sarebbe una specie di “trattativa segreta” con Hitler, ardentemente voluta da Pio XII con iniziative riservatissime volte ad appianare i rapporti bilaterali tra Santa Sede e Germania nazista. Questo tentativo sarebbe stato esperito tra la metà del 1939 e il marzo del 1940 (data della visita in Vaticano del ministro degli esteri tedesco). Protagonisti di questa “missione segreta” furono: il Principe d’Assia, nobiluomo che aveva sposato la Principessa Mafalda di Savoia, e che era noto emissario di Hitler presso Mussolini; il Cardinal Camerlengo Lorenzo Lauri; e il rappresentante del Sovrano Militare Ordine di Malta a Berlino, Raffaele Travaglini.

Nel primo volume della collana ufficiale vaticana Actes et Documents du Saint-Siège rélatifs à la Seconde Guerre Mondiale, pubblicato nel lontanissimo 1965 e in edizione aggiornata cinque anni dopo, si legge che «queste trattative segrete in effetti esistevano; si trattava dei preliminari della visita di Ribbentrop in Italia». Poco oltre, nello stesso volume, alla data del 9 marzo 1940 si legge: «Lunedì 11, von Ribbentrop si recherà dal S. Padre. L’udienza è stata preparata segretamente da parecchio tempo. Tramite il principe d’Assia (credo) e a mezzo X». A scrivere questo appunto è mons. Domenico Tardini, Segretario per gli Affari Straordinari della Segreteria di Stato. Questo “Signor X” altro non è che il Visconte Raffaele Travaglini di Santa Rita, marchese del Vergante. Questi all’uscita del primo volume degli Actes era ancora vivente (morirà il 9 febbraio 1994). Per la delicatezza delle alte cariche che sin dall’immediato dopoguerra ricopriva, Travaglini probabilmente chiese di non esser menzionato in un volume che lo vedeva protagonista di una trattativa con la Germania nazista. Sappiamo trattarsi di lui dal documento originale, accessibile dal 2 marzo 2020, in cui Tardini identifica i protagonisti dell’operazione nel «principe d’Assia (credo) e Travaglini (certo)». Del resto, Travaglini non è ignoto agli storici. «Un protetto del cardinale Lauri […], Travaglini è ambasciatore dell’Ordine dei Cavalieri di Malta e si reca a Berlino circa due volte l’anno, dove si dice avesse anche negoziato ripetutamente con Göring. Uno dei compiti di Travaglini era quello di migliorare le relazioni tra l’Italia, la Germania e il Vaticano». È questo il profilo che ne fece il servizio di sicurezza nazista, in un documento aperto da tempo agli studiosi.

Dunque, niente di nuovo. Di quella trattativa segreta che Kertzer ritiene «cancellata da tutte le carte ufficiali della Santa Sede» vi è invece ampia traccia già nel 1965, all’uscita del primo volume di documenti vaticani che Paolo VI ordinò di pubblicare. Ma c’è di più.

Kertzer ritiene di avere la prova schiacciante del desiderio di Pio XII di accordarsi con Hitler. Ciò che Kertzer vede come un embrassons-nous tra Pio XII e Hitler, in verità è ben altro. Innanzitutto, i documenti sul caso si trovano nel dossier della visita di Ribbentrop a Roma, dunque nell’ordinaria burocrazia diplomatica papale, e non fra le più segrete carte di Pio XII. Segno, questo, che l’operazione “Travaglini-Assia” era ben nota ai collaboratori del Papa. Emerge inoltre che fu Hitler, e non Pio XII, a desiderare ardentemente un nuovo accordo in senso più ampio rispetto al Concordato del 1933. L’accordo a cui pensava Hitler era infatti una revisione del Concordato per ricomprendervi l’Austria (tedesca dopo l’Anschluss), la Boemia e la Moravia (protettorati tedeschi dopo il 15 marzo 1939). Che si tratti solo e soltanto rivedere il Reichskonkordat del 1933 emerge dal fatto che Hitler si proponeva di coinvolgere anche le autorità del Baden e della Baviera (Länder con cui il Vaticano aveva stipulato separati concordati in era pre-nazista). Ma Pacelli, che tutti quei concordati ben conosceva per averli negoziati, non era tipo da rinunciarvi e pertanto non voleva prendere impegni scritti. In secondo luogo, nessun negoziato si sarebbe mai aperto prima che da Hitler venissero accettate cinque condizioni papali. Tali condizioni furono riassunte in una nota (Aufzeichnung) che Kerzer conosce, preparata in tedesco personalmente dal Papa e conservata negli archivi vaticani. Erano cinque punti, cui fu poi aggiunta la necessità di avere un inviato papale nella Polonia occupata.

Le condizioni poste da Pio XII attenevano in sostanza all’irrinunciabile libertà della Chiesa in Germania; condizioni che ovviamente Hitler non era pronto ad accettare. Da parte tedesca fu anche chiesto se l’appunto papale potesse «considerarsi base per un armistizio» (segno di una “guerra” persistente fra Terzo Reich e Chiesa cattolica); si chiese anche di «sottacere per ragioni tattiche e di partito» la seconda parte del primo punto (riguardante il ritiro di pubblicazioni particolarmente offensive per il Papa e per la Chiesa). Non solo; ma il Principe d’Assia non escluse di aggiustare «in special modo la parte quarta» dell’appunto papale («ripristinare la libertà della Chiesa di difendersi apertamente da pubblici attacchi alla dottrina e alle istituzioni cattoliche»). Erano ovviamente condizioni inaccettabili per il Pio XII. D’altro canto, Hitler (impegnato su altri fronti) non aveva pensato a proposte concrete di alcun genere, che pure il Vaticano attendeva come prova di buona volontà.

La visita di Ribbentrop del marzo 1940 (che peraltro costrinse la delegazione tedesca a rimuovere le svastiche dal corteo delle automobili ammesse in Vaticano) fu quindi un fallimento e una delusione. Un nuovo concordato avrebbe dovuto coronare le aspettative del Principe d’Assia e di Travaglini; fu invece archiviato come una delle tante proposte di conciliazione, ufficiale e ufficiosa, tra Chiesa e Stato tedesco.

Ma se Hitler pensava a un nuovo Concordato, ciò è segno che quello del 1933 non lo soddisfaceva. Kertzer non chiarisce questo punto. Egli scrive che il Concordato del 1933 fu «un grande trionfo per Hitler» e che, asceso Pacelli al Soglio Pontificio, il nazismo ora «poteva fregiarsi del riconoscimento del papa». Se le cose stanno così, perché Hitler voleva un nuovo Concordato? Solo perché aveva annesso altri territori? Questo Kertzer non lo spiega. Né spiega come mai il Concordato del 1933, attraversando vicende politiche ed ecclesiali lunghe quasi novant’anni, sia sopravvissuto e sia in vigore ancor oggi nei rapporti tra la Repubblica Federale tedesca e la Santa Sede.

Il volume di Kertzer presenta poi alcune problematiche nel controllo delle fonti. Un esempio riguarda la prima enciclica di Pio XII, la Summi Pontificatus dedicata alla tragedia della Polonia invasa da Germania e URSS. Kertzer liquida il documento papale come un insieme di belle parole innocue per Italia e Germania. Ma le fonti narrano una storia diversa. La Summi Pontificatus entrò addirittura nei lavori della Società delle Nazioni. Dell’enciclica si parlò proprio nella sessione del Consiglio che decretò l’espulsione dell’URSS dalla Società delle Nazioni per l’attacco non provocato alla Finlandia. Fu in tale occasione che il presidente del Consiglio citò all’insaputa dei presenti la prima enciclica di Pio XII. Terminata la lettura disse: «Signori, il testo che io ora ho letto è l’estratto dell’Enciclica Summi Pontificatus». Commossa fu la reazione dei presenti. Il delegato francese alla Società delle Nazioni, Paul-Boncour, si felicitò «per le parole così giuste e commoventi». Il delegato britannico Butler si associò ai commossi accenti del collega francese. La Summi Pontificatus, narrano le carte vaticane, produsse «grande impressione non solo negli ambienti della Società delle Nazioni ma anche fuori». Positive furono infatti le reazioni a Parigi e a Londra. Come notò ironicamente un giornalista a Ginevra, il Vaticano entrava alla Società delle Nazioni il giorno stesso in cui l’URSS ne veniva espulsa.

Ma l’enciclica di Pio XII Summi Pontificatus piaceva ai tedeschi? Per quanto il consigliere dell’ambasciata germanica in Vaticano, Menshausen, dicesse che nel suo Paese l’enciclica era stata «letta nelle chiese e che i giornali ne hanno parlato con rispetto», la realtà era ben diversa. Gli archivi tedeschi ci dicono che le autorità di Berlino vietarono di stampare e di distribuire la Summi Pontificatus (come informava un telegramma di Ernst Woermann a von Bergen, dell’8 novembre 1939). Le fonti vaticane ci rivelano addirittura che il Governatorato nazista in Polonia diffuse una versione adulterata dell’enciclica, sostituendo la parola “Germania” alla parola “Polonia”, e alterando le parole di pietà del Papa verso i polacchi, per mostrare che esse erano invece rivolte ai tedeschi.

Un più corretto uso delle fonti svela poi le vere reazioni tedesche alla Summi Pontificatus. Kertzer ci informa che il 1° gennaio 1940 il Consigliere dell’ambasciata tedesca in Vaticano, Fritz Menshausen, scriveva che il Papa aveva spiegato «che i suoi discorsi erano logicamente di natura generale e che li aveva appositamente redatti perché non potessero essere interpretati dalla Germania come diretti contro di essa». Ciò che Kertzer non dice è che il diretto superiore di Menshausen, l’ambasciatore von Bergen, fece di tutto per presentare l’enciclica come un documento innocuo. Ma inutilmente. «Il giudizio relativamente favorevole sull’enciclica papale, nel rapporto giunto a noi, qui non è condiviso – gli scrisse Woermann da Berlino. –  Qui si è del parere che con tale enciclica, che è essenzialmente una condanna del principio dello Stato totalitario, il Papa abbia tenuto presente anzitutto il Terzo Reich». Non diversamente commentò il superiore di Woermann, von Weizsäcker: «Se il Vaticano – scriveva a Bergen il 25 gennaio 1940 – afferma che queste dichiarazioni sono di carattere generale e non dirette contro nessuno in particolare, ciò è a nostro avviso esatto solo in senso formale. Il Vaticano adopera frasi generiche, ma è abbastanza chiaro che allude a casi particolari». Non era, questa, una smentita a Menshausen? Per dirla con le parole del capo dell’Ufficio Superiore per la Sicurezza del Reich, Reinhard Heydrich, «l’enciclica è diretta unicamente contro la Germania, sul piano ideologico come pure per quanto riguarda il conflitto tedesco-polacco». E così continuava: «Ritengo superfluo sottolineare quanto essa sia pericolosa sia all’interno sia nelle relazioni con l’estero». Né possiamo trascurare le parole del comandante della Gestapo, Heinrich Müller: «Ho l’ordine non di proibire la lettura dell’Enciclica, bensì di impedire qualsiasi diffusione di essa, specie con volantini». Questi documenti, essendo coevi alla già menzionata “trattativa segreta” tra Germania e Santa Sede, contribuiscono a ridimensionarne ulteriormente l’importanza.

I temi che abbiamo appena richiamato non si riscontrano nel libro di Kertzer. Ecco perché il volume appare problematico per quanto attiene al controllo delle fonti. Per esempio, molti documenti che Kertzer cita come sue scoperte d’archivio in verità sono stati pubblicati già negli anni Settanta-Ottanta. Opinioni di vari diplomatici (abbiamo visto l’esempio di Menshausen) sono poi spesso prese per oro colato, quando in realtà non sono che vedute personali, solo che si comparino bene i documenti. Kertzer si mantiene poi fedele alla consunta visione che a Pio XII stessero a cuore soltanto gli ebrei battezzati. La Serie “Ebrei”, aperta il 2 marzo 2020 per volere di Papa Francesco, ci sembra abbia fatto giustizia di questo frusto luogo comune.

Ma quella che a nostro avviso è un’omissione davvero grave riguarda la razzia del 16 ottobre 1943 contro gli ebrei romani. Kertzer segue il verbale del cardinal Maglione quando narra del suo colloquio con l’ambasciatore tedesco. Ma poi omette alcune decisive parole rivolte dal Cardinale a von Weizsäcker (da poco ambasciatore in Vaticano): «La Santa Sede non deve essere messa nella necessità di protestare. Qualora la Santa Sede fosse obbligata a farlo, si affiderebbe, per le conseguenze, alla Divina Provvidenza». In altre parole, se la razzia degli ebrei romani fosse continuata per supremo ordine di Hitler, la Santa Sede avrebbe protestato accettando di subire le conseguenze del caso. Non è, questa di Kertzer, un’omissione da poco.

Questa omissione è poi aggravata da un mancato raffronto con le fonti inglesi. Ecco quanto scrisse il rappresentante britannico in Vaticano, Osborne, il 31 ottobre 1943: «Non appena seppe degli arresti degli ebrei in Roma, il Cardinal Segretario di Stato diresse e formulò all’ambasciatore tedesco una sorta di protesta». E come trascurare, per gli aspetti umanitari di quel tragico “sabato nero”, il diario del ministro slovacco in Vaticano, Karol Sidor? «Su ordine del Santo Padre – si legge nel documento reso noto dagli studiosi Róbert Letz e Peter Slepčan – nella Casa Generalizia dei Gesuiti vengono nascosti più di cento tra ebrei e ufficiali italiani. Allo stesso modo in ogni convento vengono nascosti ebrei con le intere loro famiglie».

Sempre a proposito del “sabato nero” di Roma, il volume di Kertzer presenta ulteriori problemi e addirittura un errore significativo. Kertzer ci informa che il 18 ottobre 1943 il ministro britannico Osborne fu ricevuto in udienza da Pio XII, il quale gli espresse le sue preoccupazioni per la penuria di cibo e per possibili disordini in Roma. Il papa aggiunse che non aveva motivo di lamentarsi dei tedeschi, che stavano rispettando la neutralità del Vaticano. «Stranamente – scrive Kertzer – nel suo rapporto Osborne accennò solo indirettamente al rastrellamento degli ebrei romani». Questo è vero. Ma poi Osborne inviò il dispaccio del 31 ottobre 1943, di cui abbiamo parlato e che è ignoto a Kertzer.

Il grave errore commesso dallo studioso riguarda invece l’incaricato d’affari americano Harold Tittmann. Scrive Kertzer che, come nell’udienza con Osborne, anche in questo caso «apparentemente il Papa [corsivo nostro] non menzionò quanto accaduto agli ebrei romani». Kertzer colloca l’udienza al 19 ottobre 1943 ma essa è del 14 (alle ore 11,00), ossia due giorni prima, non tre giorni dopo la razzia al Ghetto di Roma. Ce lo dicono i fogli d’udienza per il 1943 conservati presso il Maestro di Camera; che al contrario non registrano alcuna udienza concessa dal Papa a Tittmann il 19 ottobre 1943. L’errore di datazione, da noi chiarito a suo tempo, si deve al fatto che Tittmann non aveva un servizio telegrafico e di cifra, e doveva pertanto appoggiarsi al collega inglese Osborne. La data del 19 ottobre 1943 è infatti quella del telegramma con cui Osborne “rifischiava” il dispaccio non datato di Tittmann, del quale esistono peraltro due versioni. In quella conservata negli archivi inglesi Tittmann scrive che non vedeva il Papa dal lunedì precedente. In quella conservata negli archivi americani si legge che non vedeva il papa dall’anno precedente. Vi sono evidentemente errori di trasmissione dovuti ai difficili passaggi che il dispaccio di Tittmann subì prima di giungere a destinazione via Algeri, in un complicato gioco a incastri (il dispaccio di Osborne del 19 ottobre 1943 contiene quello di Tittmann senza data; e un successivo dispaccio del Foreign Office per l’ambasciata britannica a Washington li contiene entrambi). Il 15 ottobre 1943 questo giornale diede puntualmente notizia dell’udienza papale a Tittmann. Solo con un esercizio di “storiografia creativa” si potrebbe quindi accusare Pio XII di aver taciuto, il 14 ottobre 1943, su un evento verificatosi al Ghetto di Roma due giorni dopo.

Un utilizzo problematico delle fonti e vari altri aspetti (omissioni e un apparato critico talvolta inaccurato) non fanno dunque di questo volume, peraltro scritto in scorrevole prosa romanzesca, l’ultima Thule della ricerca su Pio XII. Ciò è del resto normale per la sterminata mole di documenti che, resi accessibili dal Vaticano in piena pandemia, solo ora e gradualmente saranno oggetto di analisi auspicabilmente più compiute.