Alessandro Gisotti
Quante emozioni in questi giorni di esami di maturità. Per chi li vive da protagonista, ma pure per chi li ha vissuti molti anni prima e puntualmente, in questo periodo dell’anno, torna con la memoria a quell’esperienza che ha rappresentato un passaggio fondamentale nel cammino verso l’età adulta, quella delle scelte decisive. Per due anni, a causa della pandemia da Covid-19, gli esami di maturità hanno subito in Italia uno stravolgimento con la cancellazione delle prove scritte. Sono invece tornate quest’anno – non senza qualche polemica da parte di alcuni gruppi studenteschi – a sottolineare la spinta verso il ritorno alla normalità. D’altro canto, è forte nei ragazzi, come negli insegnanti, la volontà di riappropriarsi di uno spazio che è stato bruscamente compresso, “congelando” la linfa stessa del processo educativo: la relazionalità. Non può esserci, infatti, autentica educazione senza “un’armonia tra testa, cuore e mani” per riprendere l’efficace immagine utilizzata tante volte da Papa Francesco.
Se dunque mezzo milione di giovani italiani stanno riassaporando – tra paure e speranze come è stato per ogni loro coetaneo negli anni passati – le prove scritte a conclusione del percorso scolastico, sono invece milioni (oltre 58 secondo l’Unicef ) i bambini e ragazzi nel mondo che a scuola non ci possono più andare perché una scuola non ce l’hanno più, distrutta da un bombardamento, o perché non hanno più gli insegnanti “inghiottiti” da conflitti più o meno dimenticati, da condizioni di povertà estrema o dall’ideologia di chi è al potere.
Dal 24 febbraio scorso, un’intera generazione di giovani ucraini ha dovuto smettere di frequentare le lezioni scolastiche. Per loro, la campanella non suona più. Le scuole, quelle ancora non distrutte dall’offensiva dell’esercito russo che non ha risparmiato neppure gli edifici scolastici, sono state trasformate in rifugi di fortuna. Le classi diventano “abitazioni”, altro segno del disordine che porta la follia della guerra. Nessuno sa quando queste scuole potranno tornare a riprendere la loro natura e svolgere la propria missione. “Sebbene sia una priorità assoluta per bambini e genitori in crisi – ha osservato con amarezza Save the Children a proposito del conflitto ucraino – troppo spesso è il primo servizio a essere sospeso e uno degli ultimi a riprendere”. Lo sanno bene purtroppo i bambini siriani, dello Yemen e di tanti altri Paesi, sconvolti da guerre intestine che si trascinano da anni, a cui sono stati tolti gli “anni migliori”, quelli in cui senza traumi si dovrebbe formare la propria personalità.
Guerre ma non solo. Nel Corno d’Africa, colpito dalla siccità – la peggiore da 40 anni –, la mancanza d’acqua ha costretto molte scuole a chiudere. E dove non hanno chiuso, molti ragazzi hanno lasciato la scuola alla ricerca di un lavoro per aiutare le proprie famiglie sempre più messe alle strette da una carestia devastante. Ancora una volta sono i più deboli, coloro che hanno meno mezzi per difendersi a subire le conseguenze nefaste del cambiamento climatico, che qualcuno ancora si ostina a non riconoscere come un’emergenza da affrontare senza indugi per il bene dell’umanità. “Di fatto – scriveva il Papa nella Laudato si’ già 7 anni fa – il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta: ‘Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera’”.
E a scuola, dall’agosto dell’anno scorso, non vanno più le ragazze afghane espulse dal regime talebano in nome di una ideologia fanatica che vorrebbe cancellare ogni espressione pubblica femminile e relegare le donne in una condizione di sub-umanità. Sotto la pressione della comunità internazionale i talebani si erano impegnati a riammettere le ragazze nelle scuole secondarie a partire dal 23 marzo scorso. Promessa disattesa. Da quasi un anno, dunque, le giovani afghane non possono istruirsi se non in modo clandestino, rischiando per questo “atto di ribellione” minacce, atrocità e perfino la vita. Ha fatto il giro del mondo il video di una bambina che, zaino in spalla, piange disperata perché cacciata da scuola e rimandata a casa. La sua “colpa”? Essere donna. “Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne – ha detto il premio Nobel, Malala Yousafzai – sono terrorizzati dal potere dell’educazione”. Un potere che libera le persone e può cambiare il mondo.