Chiesa Cattolica – Italiana

Quanti “Sbarchi di umanità” a Lampedusa

Alessandra Zaffiro – Palermo

“Tante volte noi eravamo in difficoltà a parlare con loro perché non parlavamo la stessa lingua, però erano disposti a comprendere noi e noi a comprendere loro. C’era un linguaggio, che era il linguaggio del cuore, che passava attraverso gli occhi e che riusciva a comunicare più delle parole”. 

Ascolta l’intervista a don Stefano Nastasi

È il racconto di don Stefano Nastasi e del suo incontro con i migranti durante il servizio pastorale dal 2007 al 2013 nella chiesa di San Gerlando, unica parrocchia di Lampedusa, che si può trovare oggi nel volume “Sbarchi di umanità. Lampedusa: un contributo Mediterraneo alla teologia dai poveri”, scritto insieme ad Alfonso Cacciatore, insegnante di religione cattolica e dottorando alla Facoltà Teologica di Sicilia ‘San Giovanni Evangelista’ di Palermo. Il testo presentato oggi a Lampedusa è edito da Il Pozzo di Giacobbe, con la prefazione di Monsignor Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo e la postfazione del Cardinale Francesco Montenegro, Arcivescovo emerito di Agrigento. 

Tanti i ricordi raccoltu nel libro 

“C’erano sicuramente le ansie, le angosce e le paure che si portavano dietro dal viaggio che avevano percorso però c’era pure tanta speranza e un orizzonte nuovo che loro sognavano – prosegue nel suo racconto ai nostri microfoni, don Stefano -. C’erano dei sogni che si portavano dietro: sicuramente dei sogni che sono segnati anche da situazioni di sofferenza o da ferite pregresse che loro probabilmente non avrebbero mai cancellato che però facevano parte del loro bagaglio. C’era il desiderio di una vita nuova, più che qualcosa di ideale era una dimensione reale, dignitosa, perché, a conti fatti avevano dovuto rinunciare alla propria dignità nell’universo in cui si trovavano. E il viaggio che ti mette in moto è qualcosa che sicuramente non sai dove ti porta ma a condurti è il bisogno grande di riconquistare quella dignità che in altri contesti hai perduto”. 

Le migrazioni nel contesto attuale

Sul fenomeno migratorio don Nastasi ribadisce che “non è facile fermarlo perché è il risultato di falle o di lacune legate a sistemi generati dalla povertà che da più parti del mondo, da diversi continenti si fa sentire. È chiaro che molti di loro – ci dice – guardano al continente europeo come un continente che può rilanciare la loro vita, la loro storia, il loro futuro. Da questo punto di vista è un problema la questione che bisogna meglio organizzare l’accoglienza e l’integrazione che non trova risposte concrete da parte nostra. Non penso per cattiva volontà ma forse per un progetto che non riesce a delinearsi”. 

Fragilità e risposte mai arrivate

“Credo che le cause che determinavano lo spostamento dai paesi d’origine venti anni fa, dieci anni fa – sostiene don Stefano – forse sono cambiate rispetto al contesto attuale. Però all’origine c’è sempre un contesto di povertà, di fragilità, di sofferenza che può essere di genere diverso ma è questo che li porta a decidere il viaggio: è la sofferenza, la povertà, la precarietà, la fragilità che può essere umana, psicologica o relazionale, tante volte Mi pare di leggere questo”. “Da un lato- spiega il sacerdote – il fenomeno non si è rimarginato, anzi, si è acutizzato sempre di più, però, dall’altro, va mutando sia la causa che lo determina sia il modo con il quale lo si affronta e penso che mentre nel passato c’era una dimensione per certi versi più umana da parte nostra, dico dell’Italia, ma anche dell’Europa, nel gesto dell’accogliere, oggi mi pare che questa dimensione umana e quindi di umanità viene un po’ meno: vuoi perché, magari dalla nostra parte, emergono nuove fragilità e quindi essendo più deboli facciamo fatica ad accogliere, vuoi perché, probabilmente, aspettavamo delle risposte diverse e non sono mai arrivate”. 

Tutti sono parte della comunità

“Non è mai stato tutto pacifico”, racconta ancora don Stefano: “ci sono stati anche momenti di tensione con alcune parti della comunità”, culminati nella domanda “Veniamo prima noi o loro?”. “Né voi, né loro, ma insieme. Della comunità – confessa – per me fanno parte anche loro, perché sopravvivano: non sono pacchi, sono uomini, dice il parroco di San Gerlando. Così è stato fino ad un “passaggio fondamentale”, quando gli dissero: “Siamo con te, siamo insieme, siamo sulla stessa barca”. 

Papa Francesco a Lampedusa, una nuova pagina di storia

Ricordando il primo viaggio apostolico di Papa Francesco a Lampedusa, l’8 luglio 2013, il sacerdote aggiunge: “Per me è stato qualcosa di inatteso ma tanto desiderato, perché non è che volevamo un’attenzione all’isola, chiedevamo un’attenzione al problema che è tuttora vivo nella questione dell’emigrazione e dell’immigrazione”.

Le immagini del Papa a Lampedusa, 2013

Quel giorno, secondo don Stefano “si modellava una nuova pagina di storia” perché “inconsapevolmente credo si muovevano i primi passi di un contesto nuovo che abbiamo meglio conosciuto negli anni a seguire. Ricordo la fase preparatoria della visita, di uno dei sacerdoti che veniva dal Vaticano che mi disse: ‘il Papa venendo a Lampedusa vuole parlare a due continenti contemporaneamente, vuole parlare all’Europa, vuole parlare all’Africa’. Questa cosa – ci confessa – mi è rimasta come immagine perché è quello che è avvenuto in realtà, durante la visita. Il tentativo di parlare, dialogare, ascoltare contemporaneamente sia all’Europa, che all’Africa, queste due realtà che a Lampedusa trovano un punto di incontro. E’ come se in sintesi quel giorno è avvenuto quello che poi si è dispiegato meglio negli anni successivi. In questo senso c’è un cambiamento”. 

Il naufragio del 3 ottobre 2013

Pochi mesi dopo la visita del Santo Padre a Lampedusa, il tragico naufragio del 3 ottobre nel quale persero la vita 368 persone. Nel libro don Nastasi scrive: “un evento che lascia il segno… il cuore ne rimane stimmatizzato”. “Un’immagine – racconta il sacerdote – che ho messo a fuoco nei mesi successivi perché è qualcosa che tuttora ti rimane impresso nella mente ma ti rimane ancora più impresso nel cuore. Ho visto il recupero dei corpi annegati nel mare e le salme disposte nell’hangar dell’aeroporto, ho accompagnato tutto questo momento. Questo momento ti segna…. E’ qualcosa che segna la vita di tanti, di un popolo, di un luogo e ti obbliga a non chiudere gli occhi, perché non c’era tempo per pensare in quel momento, bisognava agire per soccorrere, per aiutare chi aveva ancora possibilità di vivere e nello stesso tempo evitare di perdere o fare disperdere i corpi dei naufraghi perché anche quello diventa memoria che incide nella nostra mente ma ancor più nel nostro cuore… È come un dolore muto e lo devi trattenere, lo devi tenere dentro, a volte lo devi fare tacere ma non lo puoi soffocare e allora è una stimmate interiore, una stimmate del cuore che segnerà per sempre”. 

La compassione degli uomini e la commozione di Dio

“C’era il rischio di disincarnarci dalla storia”, prosegue don Nastasi, “questo abbiamo evitato, cercando di incarnare il Vangelo in modo semplice, spicciolo, ma io molte cose le ho imparate dalla gente: nel modo come ho visto agire famiglie, accogliere nella propria casa, alla propria tavola alcune di queste persone. Il sacerdote non nasconde di esseresi commosso davanti a questi gesti di accoglienza ma aggiuge: “più che io, si è commosso Dio, perché Dio si commuove dinanzi alla compassione e alla capacità della compassione degli uomini quando questo avviene, quando questo si sperimenta”. 

Il fenomeno migratorio, punto d’innesto tra Vangelo e Storia

Alfonso Cacciatore, che nella seconda parte libro si pone in ricerca ed esplora possibili piste di intelligenza teologica nell’attento ascolto del racconto di don Nastasi, legge il fenomeno migratorio, che da anni attraversa Lampedusa, alla luce della categoria evangelica e conciliare dei “segni dei tempi”. “Sono davvero convinto che Dio stia passando ‘da-dalle’ Lampedusa. Nel fenomeno migratorio, strutturale e non emergenziale, rinvengo un chiaro, seppur doloroso e complicato, punto d’innesto tra Vangelo e Storia. Mi sorprende come la Storia – terreno nel quale da duemila anni la Chiesa semina il Vangelo – stia restituendo, in maniera del tutto nuova, Vangelo alla Chiesa. Quella della Storia contemporanea dei Poveri, e i migranti lo sono, è davvero una strana “redditio”. Una riconsegna chenotica del Vangelo, non in parole, ma in fili di carne crocifissa, martoriata, violata, umiliata, respinta. Mi pare sia maturato il tempo – prosegue Cacciatore – per un nuovo paradigma, all’insegna non della preoccupazione del come annunciare Dio in un mondo di senza Dio, ma del cercare Dio, uscendo da comodi confini, in altri luoghi teologici: nei cristi della storia, nei loro oceani di speranza, nei loro aneliti e slanci di risurrezione”.

I migranti “sono un grido”

Quanto al messaggio che i migranti possono offrire alla teologia e a noi tutti “credo che lo colga con saggezza di spirito e lungimiranza profetica Papa Francesco”, spiega Cacciatore. “Nella Laudato si’ si può rinvenire il legame, la connessione, tra l’emergenza ecologica, la povertà e la migrazione. L’ecologia integrale – prosegue il professore – coglie nel segno e orienta al Nome. Ad Abu Dabhi si ri-fonda e promuove il dialogo, al fine di rendere inclusiva la fraternità e favorire l’amicizia sociale (Lettera enciclica Fratelli tutti). I migranti non sono quantità di corpi: i numeri da baratto e del mercato degli ingegneri della biopolitica, tuttavia, lo spettacolo truce che si sta consumando ai confini dell’Europa li tratta come tali. I migranti sono un kairos… La cura, la tenerezza, ci fa uomini e donne. La violenza, i respingimenti, l’inospitalità, il voltarsi dall’altra parte, ci rendono bruti, ostili, incivili, disumani. Tenerezza, così come Misericordia, è nome di Dio: la Tenerezza ci salva, le chiusure personali o nazionali ci immiseriscono, fino all’annientamento. I migranti sono un grido perché ciascuno, donna o uomo che sia, possa accrescere o recuperare la propria umanità”. 

Il Papa a Lampedusa tra preghiera e consolazione

La rilettura teologica dei fatti di Lampedusa curata da Alfonso Cacciatore si sofferma sulla visita di Papa Francesco a Lampedusa: “Il pellegrinaggio mestissimo di Francesco a Lampedusa, del quale sono diretto testimone è, a dir poco, di portata epocale. Segna, ne sono convinto, l’esercizio del suo ministero petrino. A Lampedusa Francesco viene a manifestare il dolore della Chiesa, non a caso rievocata nella figura dell’antica matriarca Rachele che: «piange i suoi figli, e non vuole essere consolata, perché non sono più». All’uomo smarrito nei suoi calcoli egoistici chiede: «dove sei?», «dov’è il sangue di tuo fratello?». E, ancora: «Chi ha pianto?». A Lampedusa, non molto lontana da Siracusa, Francesco porta la saggezza delle lacrime, tenta di ridestare non solo la capacità del condolersi, ma della coscienza responsabile: «abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna». Nel suo magistero, che non è solo di parole, ma intreccio di queste con i gesti, lancia dei fiori su un cimitero d’acqua: un luogo davvero insolito per le sepolture! Il Mediterraneo, suo malgrado, viene trasformato dalla indifferenza degli Stati, in cimitero liquido, in un mostro che inghiotte cadaveri di entrambi i sessi e di diverse età. A Lampedusa Francesco viene a pregare per i defunti, dei quali non può pronunziare i nomi, e a consolare la comunità che ha pianto, della quale Vincenzo Lombardo (ex custode del cimitero di Lampedusa, ndr) è cifra di pietà”. 

“L’Omelia dell’8 luglio – aggiunge Cacciatore – è come un sommario. In nuce sono presenti elementi portanti del magistero di Francesco, ne troviamo infatti un travaso argomentato nella Evangelii Gaudium, laddove viene ripresa perfino in maniera quasi letterale (n. 54). La globalizzazione dell’indifferenza è solo un tassello di un macromosaico di lemmi, colti con fine commento da monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo (in L’ospite porta Dio tra noi) e indicati, come in una sorta raccolta di schede, nel terzo capitolo del nostro libro”. 

L’importanza della comunità cristiana di Lampedusa 

“Senza la comunità di Lampedusa né la narrazione di don Nastasi, né il tentativo di ascolto critico da me compiuto sarebbe stato possibile. Lampedusa e la sua comunità – conclude Cacciatore – si rivela, anche per la fede e la teologia, faro e scoglio, indicazione di rotta evangelica e inciampo per la bieca indifferenza”. 

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti