Adriana Masotti – Città del Vaticano
“Vorrei dire grazie di cuore a tutte le donne, specialmente quelle dell’Iraq, donne coraggiose che continuano a donare vita nonostante i soprusi e le ferite. Che le donne siano rispettate e tutelate! Che vengano loro date attenzione e opportunità!” Scrive così, Papa Francesco in un tweet diffuso stamattina, prima di lasciare Baghdad per fare rientro in Vaticano.
Francesco: ringrazio tutte le madri e le donne dell’Iraq
Durante la sua visita in Iraq il Papa ha ascoltato alcune donne che gli hanno raccontato storie forti, di dolore, per la perdita di un figlio, della propria casa, della libertà e dignità a causa dei conflitti e della violenza dei gruppi fondamentalisti. E ha conosciuto la loro determinazione a ricominciare ricostruendo la loro vita e il loro Paese. Delle donne Papa Francesco ha parlato a Qaraqosh visitando la comunità cristiana: “Mentre arrivavo con l’elicottero – ha detto -, ho visto la statua della Vergine Maria su questa chiesa dell’Immacolata Concezione, e ho affidato a lei la rinascita di questa città. La Madonna non solo ci protegge dall’alto, ma con tenerezza materna scende verso di noi. La sua effigie qui è stata persino ferita e calpestata, ma il volto della Madre di Dio continua a guardarci con tenerezza. Perché così fanno le madri: consolano, confortano, danno vita”. E ha voluto ringraziare tutte le madri e le donne irachene, per il loro coraggio, chiedendo per loro il rispetto che meritano.
Rafah al Papa: ho deciso di restare nel mio Paese
Il giorno precedente, durante l’incontro interreligioso a Ur, Francesco aveva ascoltato una donna di nome Rafah Husein Baher, irachena di religione Sabean Mandaean, che ha visto i propri figli, fratelli e parenti fuggire dal Paese. L’ingiustizia, ha affermato Rafah, qui ha colpito tutti, nessuno escluso: “sangue innocente è stato versato da tutti gli iracheni”. “Siamo tutti fratelli”, ha detto e ha concluso con una promessa che ha colpito Papa Francesco: “Resterò nella terra dei miei antenati. Sarò sepolta vicino a mio padre”.
Un sommerso di violenze sconvolgente
Rispetto, riconoscimento, libertà e pari opportunità sono ancora una conquista in gran parte da raggiungere per le donne in tutto il mondo, non solo in Iraq. La Giornata internazionale della donna che si festeggia l’8 marzo è un’occasione per ricordarlo. E proprio per questa ricorrenza annuale l’agenzia missionaria cristiana Porte Aperte/Open Doors che negli ultimi anni sta potenziando la ricerca nel campo della violenza di genere, scoperchiando un universo di abusi sconvolgente, ha lanciato il nuovo Report sulle differenze di persecuzione religiosa tra uomini e donne nel 2021. Attraverso l’analisi di dati riguardanti 50 Paesi, dall’inchiesta emerge che la persecuzione religiosa accresce e sfrutta disuguaglianze di genere.
Cristian Nani: le tante forme di persecuzione sulle donne
“Stessa fede, diversa persecuzione: Report sulle differenze di persecuzione religiosa tra uomini e donne 2021”, è il titolo dell’inchiesta di PorteAperte/Open Doors in cui si individua una categoria nuova, la “persecuzione religiosa specifica di genere”. Ai nostri microfoni Cristian Nani, direttore dell’agenzia spiega che ad essere definita così è l’incontro tra le vulnerabilità religiose tipiche di vari contesti e le forme di disuguaglianza e di violenza specifica di genere. “Se è vero che uomini e donne cristiani, per quanto ci riguarda, vengono colpiti ugualmente da persecuzioni, questo avviene in forme diverse”. E cita qualche esempio: dalla modalità più scontata e cioè la violenza sessuale o la minaccia di violenza sessuale, ai matrimoni forzati. Ma ci sono poi la violenza psicologica e i rapimenti. “Per quanto riguarda Paesi come il Pakistan – afferma – molte donne vengono rapite per essere date in spose, donne cristiane che dopo il matrimonio forzato, oltre alla violenza subita, sono costrette anche alla conversione alla religione del marito”. Per non parlare poi del traffico di esseri umani e della vendita vera e propria di donne come accade ad esempio in Cina, dove vengono vendute donne che provengono dalla Corea del Nord e da altri Paesi, data la carenza di donne in Cina prodotta dall’aborto selettivo, per essere poi sposate.
L’impatto del Covid-19 e dei lockdown
Uno dei dati che emergono dal report diffuso oggi, è l’incidenza negativa che sulle donne ha avuto la pandemia. “Il Covid-19 – si legge – sta alimentando una crescente e invisibile ‘pandemia ombra’ di violenza, rapimenti e traffico di esseri umani, diretta a donne e ragazze cristiane in tutto il mondo”. Per via del confinamento, si spiega, la violenza domestica è cresciuta esponenzialmente. Molti convertiti alla fede cristiana hanno vissuto chiusi in casa con coloro che maggiormente osteggiavano la nuova fede, i loro familiari. La pandemia ha quindi reso i vulnerabili ancor più vulnerabili. “I lockdown applicati nei diversi Paesi – dice ancora Cristian Nani – sono diventati un elemento di moltiplicazione della persecuzione nei confronti dei cristiani, in particolare risulta chiaro che le restrizioni per il Covid-19 hanno permesso agli estremisti di muoversi più liberamente, senza certamente badare alle regole contro la pandemia, e di utilizzare i rapimenti proprio per colpire le comunità cristiane, rendendo le donne schiave oppure chiedendo il riscatto, magari dopo una violenza sessuale”.
Colpire le donne per colpire l’intera comunità
Che il coronavirus abbia inciso sulla violenza sulle donne è un dato ormai evidente anche in Occidente, Italia compresa, e il rapporto indica come la violenza su di loro cambi a seconda della regione del mondo in cui vivono. In Medio Oriente, Nordafrica e nell’Africa Sub-Sahariana estremisti come Boko Haram ricorrono all’uso di adescamento mirato, matrimoni forzati e rapimenti come strumento per islamizzare ragazze e donne e impoverire la comunità cristiana. Gruppi criminali in America Latina e leader del narcotraffico, osserva il report, minacciano di morte le famiglie cristiane se rifiutano di cedere le loro figlie. Questo riduce al silenzio le Chiese e i loro responsabili. Papa Francesco ha appena visitato un Paese dove la presenza delle donne nelle famiglie e in generale nella società è determinante per la capacità di cura e di resistenza, ma dove sono state vittime di violenze e di abusi: le donne cristiane, quelle della minoranza yazida. E’ una realtà di cui si dovrebbe parlare di più, afferma il direttore di PorteAperte/Open Doors, “come è stato dimostrato – prosegue – questa è stata proprio una strategia dell’Is che ha usato le donne per i propri scopi. Perchè colpire la donna significa ferire un’intera comunità cristiana. I gruppi estremisti, come Boko Haram, ad esempio, sanno benissimo che questo serve per demolire le famiglie e la Chiesa intera. Loro sanno che nella mentalità cristiana la famiglia è il nucleo fondante della Chiesa e della società, quindi colpire il corpo delle donne diventa una strategia non solo per ferire le povere vittime, ma anche per ferire a morte e avvelenare l’intera comunità”. Perciò le parole del Papa in Iraq – afferma ancora Cristian Nani – sono state importantissime, un messaggio di perdono e di amore per il prossimo in una terra che ne ha ancora tanto bisogno.
La Chiesa deve superare una mentalità ancora diffusa
Si sa poi che una donna abusata prova spesso vergogna e in tanti contesti sociali viene addirittura colpevolizzata e non reintegrata nella propria comunità. Il danno è quindi enorme e si prolunga nel tempo. “Spesso questa vergogna e questi comportamenti – sottolinea Nani – ci devono far riflettere anche sulla nostra realtà occidentale, su come anche noi uomini pensiamo alla donna. E anche come cristiani”. E poi spiega che una certa cultura rischia di influenzare la stessa Chiesa. E fa un esempio: “Noi abbiamo rilevato casi come in Nigeria o nella Repubblica Centrafricana, magari in maniera non del tutto intenzionale, che le ragazze che erano state rapite e quindi violentate, una volta liberate erano come segnate da un marchio di vergogna, quindi le comunità cristiane stesse spesso hanno bisogno di comprendere quanto non sia cristiana la cultura dominante e quanto essa abbia influenzato il loro stesso modo di agire”. Tutto questo, conclude, apre un dibattito e ci deve far riflettere molto.
Le piste da percorrere suggerite dal report
Nel report, oltre ai dati e alle denuncie, c’è posto anche per alcune proposte per un cambiamento. Una pagina di raccomandazioni, dice Cristian Nani, che rivolgiamo a governi e istituzioni. La prima è quella di focalizzare il fattore fede in quanto elemento caratterizzante le persecuzioni. E’ necessario prendere coscienza del fatto che la fede cristiana manifestata dalle donne in Iraq, ad esempio, è un dato che ha pesato certamente sulla loro vulnerabilità, che ha aumentato il rischio per loro, se non si farà così la voce di queste donne non verrà ascoltata. Molte di queste donne sono colpite non solo perché donne, ma perché cristiane, perché manifestano una certa fede, quindi vogliamo far presente a governi, politici e diplomatici che si occupano di relazioni internazionali anche economiche e commerciali, che devono tenere presente il fattore della fede come caratterizzante la persecuzione e agiscano di conseguenza. Un’altra raccomandazione è comprendere di più che le organizzazioni e associazioni locali cristiane, sono realtà che possono fare molto per dare speranza e un orizzonte nuovo alle comunità, non si deve perciò contare solo sulle organizzazioni internazionali che vengono da fuori. Ci sono associazioni cristiane locali che fanno uno straordinario lavoro con le comunità non solo cristiane, ma di tutte le religioni, e portano frutti meravigliosi per i loro Paesi. Questo per ricordare ancora una volta quanto il messaggio di perdono e di amore portato dal Vangelo in un territorio come il Medioriente, devastato da lotte fratricide e dall’estremismo islamico, può diventare, conclude Cristian Nani, un seme di luce e di speranza per il futuro.