Qaraqosh e il cammino di riconciliazione indicato dal Papa

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Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Arrivano dalla città della Piana di Ninive, dove il Papa si è recato il 7 marzo scorso, le immagini di una comunità che nella fede ha trovato la forza di rinascere, di trasformare luoghi di dolore e violenza in luoghi di pace e preghiera. Due mesi dopo la visita di Francesco, i volti dei bambini e delle bambine che hanno ricevuto la Prima Comunione sono la testimonianza più forte della strada intrapresa in questa terra.

Lì dove il sedicente Stato Islamico costrinse alla fuga, nel 2014, 120mila persone, oggi si parla di riconciliazione, perdono, unità e speranza. Sono le stesse parole usate da Papa Francesco che nella Chiesa dell’Immacolata Concezione, saccheggiata dai terroristi e trasformata in poligono di tiro, ha ribadito che “il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola”.

Una visita che ancora si avverte

Parole e gesti che continuano ad avere un peso e che il tempo mette ancora più a fuoco nel loro valore. E’ quanto più volte sottolinea don Georges Jahola, parroco della chiesa di San Behnam e Sarah a Qaraqosh:

Ascolta l’intervista a don Georges Jahola

R. – Dopo la visita del Papa, i fedeli continuano a ricordare quello che considerano un momento speciale, lo ricordano sempre. Così come ricordano le sue parole e cercano di elaborarle per viverle nella realtà, farle proprie. Così la visita del Papa ancora oggi è presente e viva.

Ma in che modo state facendo vostre le parole che Papa Francesco ha donato nella sua tappa a Qaraqosh?

R. – Lo facciamo negli incontri, nelle preghiere in comunità. Soprattutto in questo mese di maggio ricordiamo quello che ci ha detto, le sue proposte che riguardano sia il mondo intero che l’Iraq. Ci siamo appropriati di queste sue parole per riviverle nella preghiera e nella condivisione degli incontri dei giovani.

Ci sono difficoltà a percorrere questo cammino?

R. – No perché vogliamo vivere la realtà che ha lasciato il Santo Padre pur facendo un grande sforzo.

Papa Francesco è entrato nella cattedrale dell’Immacolata Concezione a Qaraqosh che un tempo è stata anche un poligono di tiro dell’Isis, che significato ha avuto per lei quel momento?

R. – La visita del Santo Padre in questo luogo simbolico sia per noi fedeli di Qaraqosh che per il cristianesimo in Iraq è stato uno sprone per continuare a pregare ma anche a vivere e testimoniare in questa terra. Importanti le sue parole che esortavano a costruire una comunità che ha bisogno di un rinnovamento soprattutto dopo la distruzione materiale, ma anche morale della comunità, della società che è stata veramente dimezzata dall’Isis.

Oggi dopo questa visita storica i cristiani che sentimento provano? Come vivono i cristiani a Qaraqosh?

R. – Vivono in modo molto particolare, soprattutto i nostri fedeli che hanno lasciato il Paese e che hanno visto che questa terra può essere fertile. Loro hanno ripreso il contatto con la comunità e con la Chiesa. Quindi la visita del Papa ha incoraggiato sia i fedeli che sono rimasti qui e che sono rientrati nelle proprie case, sia le famiglie che hanno lasciato il Paese. La visita ha lasciato questo e ha anche aperto alla possibilità di ritornare, tante famiglie chiedono di ricostruire le proprie case per tornare e quindi c’è questa speranza che ha lasciato il Santo Padre.

Personalmente a lei come sacerdote cosa ha lasciato?

R. – Per me è stata una visita molto importante per confermarci nella fede, era un nostro sogno. Poi è stato molto significativo anche considerare una piccola città come Qaraqosh, piccola rispetto a tutto il mondo, ma per noi veramente è stata una grande spinta per il nostro futuro.