Prorogata la mostra su Fidia, scultore del maestoso equilibrio

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Sarà possibile visitare fino al 9 giugno l’esposizione di Villa Caffarelli-Musei Capitolini dedicata al grande artista ateniese del V sec. a.C., celebre per le sue opere e soprattutto per i fregi del Partenone, tempio simbolo di Atene. Tre frammenti dell’apparato decorativo sono stati recentemente donati da Papa Francesco all’arcivescovo della Chiesa ortodossa della capitale greca e ora conservati nel Museo dell’Acropoli

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Occhi vuoti che non ci guardano. E noi, che invece guardiamo la statua che abbiamo di fronte, ci sentiamo presi dalla vertigine del tempo, dal mistero di un mondo perduto che pensiamo di conoscere. Ci sentiamo eredi della cultura greca, siamo persuasi che il suo pensiero, la filosofia, il senso della democrazia ci appartengano. Ma è così solo in parte: la stratificazione del tempo e le vicende storiche ci allontanano, necessariamente, dai secoli d’oro della Grecia classica. Così contempliamo quella bellezza impassibile e veniamo affascinati da un enigma che forse non ci è dato risolvere.

Testa statua di Atena tipo Carpegna © Museo Nazionale Romano

Suggestioni e pensieri che si intrecciano ammirando “Fidia”, la prima mostra monografica dedicata al celebre scultore ateniese, allestita presso i Musei Capitolini – Villa Caffarelli e prorogata fino al 9 giugno. Si tratta del primo appuntamento del ciclo di mostre su “I grandi maestri della Grecia antica”. Una esposizione che ripercorre la produzione artistica dell’artista e che prosegue arrivando all’era moderna per rivelarne la fortuna, vivissima soprattutto durante il neoclassicismo. I prestiti provengono da prestigiosi musei del mondo, il British Museum di Londra, il Museo dell’Acropoli e il Museo Archeologico Nazionale di Atene, il Museo di Olimpia, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Metropolitan Museum of Art di New York, i Musei Vaticani, il Museo del Louvre di Parigi, e dall’Italia, oltre che da Roma e dal suo hinterland, il Museo Archeologico di Bologna, l’Accademia di Belle Arti di Ravenna, il Museo Archeologico di Napoli e l’Archivio Cambellotti.

Fidia è stato lo scultore più acclamato, non solo ai suoi tempi, ma anche in quelli a venire. Chi che tra i tanti più di ogni altro sembra aver risolto, per primo, l’eterna sfida dell’artista: imitare la natura, e magari superarla. Nato ad Atene nel 490 a.C. circa, morì nella stessa città sessanta anni dopo, nel 430. La sua fama, la sua attualità sono grandi e alimentano la curiosità di sapere di lui e della sua personalità, in particolare di quale fosse il suo aspetto. Ed è proprio da qui, dal voler conoscere e materializzare il suo volto, che parte il percorso della mostra.

Statuetta in bronzo di un artigiano, metà del I secolo a.C. © The Metropolitan Museum of Art, New York.jpeg

La sua traccia su un oggetto di uso comune

Non esistono ritratti di Fidia. Non possono esistere. Al suo tempo, non era lecito raffigurare una persona con la sua autentica fisionomia. Anzi fu proprio Fidia, secondo Plutarco, a essere accusato di blasfemia perché avrebbe osato effigiarsi sullo scudo della dea Atena Parthenos, che è presente in mostra nelle repliche di epoca imperiale in marmo del frammento dei Musei Vaticani e in quello, cosiddetto Stangford, del British Museum. All’epoca esistevano stereotipi: figure idealizzate che obbedivano a determinati criteri come la figura dell’eroe o del filosofo. Il ritratto sarebbe apparso più tardi, in epoca ellenistica. Per questo, la testa in marmo e le due statuette in bronzo esposte nella prima sezione rappresentano solo l’idea dell’artista: un artigiano dal volto stanco e precocemente invecchiato di chi probabilmente ha avuto a che fare per tutta la vita con la materia dura del marmo e rovente dei metalli. Sono opere più tarde che probabilmente si ispirano ad altre precedenti ma che forse non corrispondono neppure a Fidia. Ma la fascinazione resta. Veramente commovente e reale è, invece, il fondo della coppetta a vernice nera con il graffito in greco che dice Pheidiou eimi, “Apparengo a Fidia”, trovata nell’area riconosciuta come l’officina di Olimpia dove operò l’artista. Questo oggetto di uso comune fu proprio suo e sua la calligrafia incisa a piccole lettere greche.

Quando c’è la pace fiorisce l’arte

Le sale si susseguono parlando delle sue opere, di quelle leggendarie, delle persone che lui conobbe, alcuni artisti come il suo rivale Prassitele – che lo batté nel concorso per l’Artemision di Efeso per realizzare la statua dell’amazzone ferita, tra il 440 e il 400 a.C. – e poi Pericle, lo stratega che ad Atene fu tanto potente da dare il suo nome ad un’era e che fu anche il committente principale dello scultore. Le opere di Fidia parlano di un periodo di pace e di opulenza, successive alla vittoria del 480 a.C., quando i greci riuscirono a sconfiggere il pachiderma persiano. Un periodo di fermento e quindi di grandi opere edilizie che trasformarono Atene e la resero splendida.

L’età d’oro di Atene

Le opere del periodo ateniese sono dedicate alla protettrice della città attica, Pallade Athena, la dea vergine e guerriera, la divinità della sapienza, colei che incarna perfettamente l’idea di una città cerebrale. Ed ecco la sala con l’Athena Promachos, che dall’Acropoli stava a guardia del Pireo, colossale, 12 metri di altezza, realizzata nel 460 a.C. con il bottino della battaglia di Maratona. L’Athena Lemnia chiamata “la bella” per i suoi tratti meravigliosi di giovinetta severa e riservata, pervenutaci in alcune copie marmoree e la più pregevole è la cosiddetta Atena Palagi dal Museo archeologico di Bologna. L’iconografia di questa statua ha nella sua figura intera una novità iconografica: non porta l’elmo che invece tiene in una mano, mentre l’egida, la leggendaria “corazza” con il volto di Gorgone, le cade dalle spalle. Atena non è nel gesto di tirare la lancia, non è animata dall’impeto, non è una figura terrifica, ma piega il capo pensosa, depone le armi, vuole riposo: è una figura di pace.

Il cuore della mostra non può che essere quello dedicato al Partenone, tempio dorico identitario della polis greca del quale Fidia fu nominato episkopos, sovrintendente, che possiamo vedere sotto diversi aspetti, dalla ricostruzione del plastico proveniente dal Museo dell’Acropoli di Atene, alla realtà aumentata con la quale possiamo interagire, e sicuramente emozionarci. Sono esposti inoltre alcuni frammenti di iscrizioni con la registrazione dei pagamenti ai lavoranti e dei materiali utilizzati per l’Athena Promachos. Sono quattro i frammenti originali del fregio del tempio dorico due dei quali prestati eccezionalmente dal museo dell’Acropoli.

Una delle sette meraviglie del mondo

Il percorso si sposta a Olimpia, dove Fidia riparò per sfuggire all’accusa di aver lucrato sull’oro dell’Athena Parthenos. Qui gli fu commissionato lo Zeus Olimpio, statua crisoelefantina considerata una delle sette meraviglie del mondo, realizzata da Fidia nel 530 a.C. La statua del dio era alta circa 12 metri e secondo il geografo greco Strabone, che vide la statua dal vivo, era di dimensioni tali da sembrare che sfiorasse il tetto con la testa e che se si fosse alzata in piedi lo avrebbe sfondato.

La tecnica crisoelefantina

Fidia realizzò le sue opere con il bronzo e il marmo ma anche utilizzando una tecnica particolare, la crisoelefantina – parti anatomiche in avorio e abiti e attributi in lamina o fusi d’oro. E il metallo prezioso fungeva anche da “tesoro” perché al bisogno poteva essere prelevato e utilizzato per essere rimpiazzato quando l’emergenza fosse finita. Come esempio, nella mostra, ci sono alcuni frammenti anatomici, in particolare una testa di Apollo (440-430 a. C.) enigmatica e meravigliosa, proveniente dal tempio di Apollo Aleo a Crimisa, ovvero l’attuale Cirò Marina, in Calabria.

Dallo splendore alla dispersione

Ma dopo gli anni d’oro si parla anche del declino del Partenone. Durante il medioevo, il tempio non subì danni particolari se non quelli provocati dal tempo: il suo riuso come chiesa cristiana e poi moschea lo avevano preservato, finché non arrivò il fatale colpo di mortaio di Morosini, durante l’assedio di Atene, nel 1687, che fece crollare il tetto e costò la vita a 200-300 persone. Poi ancora la spoliazione del conte di Choiseul-Gouffier e soprattutto di lord Thomas Bruce conte di Elgin (1766-1841). Manoscritti su taccuini e libri a stampa con schizzi dei viaggiatori, che furono testimoni, documentarono lo stato dell’edificio di culto attraverso il tempo: dal disegno di Ciriaco d’Ancona ce lo mostrano ancora non depredato dei suoi marmi, nel Quattrocento, sul codice Hamilton 254, ai disegni dei viaggiatori e degli artisti. In un’incisione anche il momento dell’esplosione del 1687. L’architetto inglese Robert Smirke (1780-1867) fece la descrizione del momento in cui i marmi precipitarono tristemente a terra. Così commentò l’accaduto: “Fui particolarmente turbato quando vidi la distruzione compiuta per prelevare i bassorilievi sulle mura del fregio. Ogni pietra cadendo schiantò al suolo col suo enorme peso, con un rumore sordo, profondo: sembrava il gemito convulso dello spirito offeso del tempio”. Il commercio antiquario fu determinante nella dispersione dei frammenti marmorei e di alcuni non si conosce neppure attraverso quali vie giunsero nelle varie collezioni, anche in Italia.

I frammenti donati dal Papa

Alcuni frammenti sono tornati ad Atene: per primo, nel 2022, il frammento Fagan proveniente dal museo “Antonino Salinas” di Palermo e nel 2023 tre frammenti delle collezioni dei Musei Vaticani. Papa Francesco li ha donati all’Arcivescovo della Chiesa Ortodossa di Atene, Ieronymos II, e ora sono conservati presso il Museo dell’Acropoli dove sono esposti appesi sulla parete, integrati con le metope e il fregio del frontone originali, quasi gli elementi di un puzzle di speranza.

Collocazione di un frammento del fregio, durante la cerimonia ad Atene dei tre frammenti del Partenone donati dal Santo Padre all’Arcivescovo della Chiesa Ortodossa

La fortuna di Fidia nel tempo

I nomi di Fidia e del suo rivale Prassitele si rintracciano sui Mirabilia, guide medioevali alla città di Roma, usate specialmente dai pellegrini. Si trovavano sulle basi dei Dioscuri, le statue sul Monte cavallo, oggi piazza del Quirinale. I due nomi non erano stati riconosciuti e si dicevano ora negromanti, ora filosofi. Sarà Petrarca ad assimilarli a quelli dei celebri scultori greci citati da Plinio nella Naturalis Historia. La fama di Fidia si accresce a dismisura nel Settecento, quando “l’artefice divino”, Antonio Canova, sarà definito “nuovo Fidia”. In questa ultima sezione della mostra il filo della storia è riallacciato dai due calchi dei Dioscuri del Quirinale e le citazioni del Canova, culminanti nel gruppo scultoreo di Giovanni Ceccarini, del 1820, “Antonio Canova nell’atto di abbracciare l’erma fidiaca di Giove”, quello Zeus Olimpio che poi sarebbe diventato modello dello Iuppiter Optimus Maximus, la massima autorità divina di Roma.
L’impronta di Fidia nell’arte successiva perdura ancora nel tempo. I cavalieri della parte superiore del fregio occidentale del Partenone ispirano anche I cavalli della Pianura pontina (1911) di Duilio Cambellotti, ispirati alla stessa pulizia e armonia, alla stessa leggerezza naturalistica del capolavoro del geniale scultore attico.