Antonella Palermo – Città del Vaticano
Le file di famiglie, anche bambini soli, che cercano di lasciare l’Ucraina sotto assedio russo, sono chilometriche. Sono esausti. I fiumi di persone che hanno dovuto uscire dalle proprie dimore arrivano presso le città più a ovest, dove la situazione generale garantisce maggiore sicurezza. Ma alla frontiera con i Paesi confinanti le tensioni si fanno più complesse e possono sfociare anche in azioni di tentativo estremo di sopravvivenza. Il gesuita Padre Vitangelo Denora, rettore del collegio Gonzaga a Palermo, si trovava in Romania quando è scoppiata la guerra. Appena rientrato in Italia, ci racconta – cercando di celare la commozione – l’esperienza di accoglienza di una quarantina di mamme e bambini che dall’Ucraina cercano di valicare la frontiera e che ora hanno trovato riparo nella struttura gestita dai gesuiti a Sighet, normalmente accoglie bambini abbandonati:
Il terrore negli occhi dei bambini
Padre Denora spiega che subito ci si è dato da fare per capire in che modo si poteva aiutare chi fugge dalla “follia della guerra”. “Sono mamme con bambini anche piccoli con in volto il terrore”. Racconta che le mamme cercano di dare incoraggiamento ai piccoli, loro che hanno lasciato i propri uomini e scappano. Se non riescono a passare dalla frontiera ufficiale, perché ci sono anche dei blocchi, si buttano nel fiume Tisa per riuscire ad arrivare”. Il gesuita riferisce che “aver visto con i propri occhi rimane dentro e ti fa rendere conto quanto a farne le spese sia la gente, le persone più povere e i piccoli”.
Alla dogana vengono anche chiesti soldi per passare
“Nella guerra ci sono anche altri fenomeni che si stanno sviluppoando, molto antipatici e che ledono i diritti umani – precisa Denora – per uscire stanno anche chiedendo dei soldi, un fenomeno che davvero speriamo si possa contenere. Ci sono persone che hanno raccontato di aver pagato i funzionari della dogana ucraina o organizzazioni criminali, non è chiarissimo”. Sono i risvolti inquietanti e amarissimi del conflitto. Il gesuita aggiunge: “Una persona che lavora con noi nell’ambasciata ucraina ci racconta che le file in macchina e a piedi sono chilometriche. Quindi, il fatto che sia un po’ ostacolata alla frontiera, ci ha spinto a cercare dal di dentro di rifocillare coloro che sono là ad attendere di uscire dal Paese. Riusciamo a farlo”.
Dare volto concreto alla preghiera
Ancora ci viene detto che i bambini sono molto impauriti, che fanno fatica a fidarsi. “Ogni giorno cerchiamo di fare un passettino per generare la fiducia. Le mamme non vogliono far vedere i documenti. Piano piano, però, giocando nella struttura esterna cerchiamo di farle rassenerare. Per molte è solo la tappa di un viaggio più lungo – sottolinea – che non raccontano neppure. Sono impressionati gli occhi. Si vede dentro tanto. Portano indietro niente lasciando gli affetti lì, è una dramma che si legge negli occhi”.
Come ci sta insegnando Papa Francesco – prosegue – è un tempo in cui dobbiamo dare volto concreto alla preghiera con gesti di solidarietà. “Nessuno mai si poteva immaginare cosa sarebbe successo. All’inizio di questa Quaresima, chiediamoci anche a cosa abbiamo dato importanza, all’essenziale o al potere?”. Denora conclude ripensando al momento più bello vissuto in questi giorni: quello di un bambino che non riusciva a placarsi. “Che la pace lo possa cullare. Nel momento in cui ha trovato un letto subito si è addormentato con un sorriso sul volto”.