Processo vaticano, verso la conclusione dopo 2 anni e mezzo e 85 udienze

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Nel pomeriggio di sabato 16 dicembre, la sentenza del Tribunale vaticano porrà la parola fine al procedimento giudiziario iniziato nel luglio 2021 e incentrato sulla compravendita di un Palazzo a Londra e altri filoni di indagine. Dieci imputati, tra cui per la prima volta un cardinale, 69 testimoni ascoltati, milioni di file e documenti analizzati, per il più lungo e complesso processo che la Santa Sede abbia mai conosciuto

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Ventinove mesi, 85 udienze, una media di oltre 600 ore trascorse in Aula, 69 testimoni ascoltati, 12.4563 pagine cartacee e in dispositivi informatici e 2479062 files analizzati presentati dall’accusa, 20.150 pagine comprensive di allegati depositate dalla difesa, 48.731 dalle parti civili. Numeri alti che restituiscono l’ampiezza e l’accuratezza del dibattimento che il Tribunale vaticano ha voluto fossero sin dall’inizio la cifra del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede. Processo – il più lungo e articolato che si sia mai celebrato tra le mura leonine – definito il “century trial”, il processo del secolo, dalla grancassa mediatica – specialmente quella anglosassone – che ha accompagnato le fasi precedenti al suo avvio, il 27 luglio 2021, con un’attenzione calata nel corso delle 85 udienze (svoltesi a volte anche per cinque o sei volte al mese o in piena estate) e riaccesa dinanzi ai vari plot twist, i colpi di scena, che hanno segnato e a volte mutato il corso degli eventi di questo tourbillon di personaggi pittoreschi, immobili di lusso, telefonate registrate, videoproiezioni, memoriali dettati, chat WhatsApp sopra le righe.

Lunga indagine

Processo preceduto da un’inchiesta lunga e articolata, avviata dall’allora promotore di Giustizia, Gian Piero Milano e dall’aggiunto Alessandro Diddi (nominato nel frattempo Promotore); sviluppata attraverso le indagini della Gendarmeria vaticana e con l’ausilio di quattro rescripta del Papa pubblicati in corso d’opera che hanno ampliato il raggio d’azione dei pubblici ministeri; condotta attraverso una gran mole di documenti e di apparecchi elettronici sequestrati e il confronto degli interrogatori ai testimoni. Il tutto confluito in 487 pagine di rinvio a giudizio.

Spazio e ascolto

Processo che solo dopo sette mesi e un giorno, il 1° marzo 2022, è entrato realmente nel vivo, lasciando prima ampio margine alle istanze preliminari che hanno tenuto banco per tutte le prime otto udienze per volontà dello stesso Tribunale vaticano che non ha mai respinto schermaglie procedurali, repliche, eccezioni di nullità. Processo in cui, proprio per questo “spazio e ascolto” concesso a tutti e a tutti, sembrano trovare riscontro le parole incise nell’articolo 10 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo di cui ricorre il 75° anniversario: “Ogni individuo ha diritto in posizione di piena uguaglianza ad una equa e pubblica udienza davanti ad un Tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.

Sentenza

Il processo in questione nel pomeriggio di sabato 16 dicembre, vedrà la sua conclusione. Tra le ore 16 e le 17 – come da lui stesso annunciato nell’ultima udienza di martedì – il presidente della Corte, Giuseppe Pignatone, darà lettura del dispositivo dalla sentenza. Si saprà, dunque, se i dieci imputati saranno condannati o assolti.

14 imputati, tra persone e società, e 49 capi d’accusa

Quattordici gli imputati per 49 capi d’accusa: quattro società e dieci persone fisiche. Le società sono la Logsic Humitarne Dejavnosti con sede in Slovenia; la Prestige Family Office Sa; la Sogenel Capital Investment e la HP Finance LLC. Le ultime tre riferibili ad Enrico Crasso, per una ventina d’anni consulente finanziario della Segreteria di Stato vaticana; la prima intestata invece a Cecilia Marogna, la manager sarda accusata di aver recepito fondi dalla Santa Sede per la liberazione di ostaggi cattolici in mano a terroristi islamici per poi spenderli in viaggi e prodotti di lusso. È per questo alla sbarra con l’accusa di peculato. A Crasso vengono contestati i reati di peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio ed autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale di atto pubblico commesso dal privato e falso in scrittura privata.

Insieme a loro, figurano tra gli imputati René Brülhart e Tommaso Di Ruzza, rispettivamente ex presidente ed ex direttore dell’AIF (l’Autorità di Informazione finanziaria, ora ASIF) accusati di abuso d’ufficio, il primo, e peculato, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio, il secondo. Poi monsignor Mauro Carlino, segretario personale di due sostituti, (estorsione e abuso di ufficio); il finanziere Raffaele Mincione (peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio); l’avvocato Nicola Squillace, (truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio); Fabrizio Tirabassi, ex dipendente della Segreteria di Stato, (corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio);  il broker Gianluigi Torzi, (estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio). Molti di questi reati sarebbero stati commessi in concorso.

Nella lista degli imputati, infine, anche il cardinale Giovanni Angelo Becciu, ex sostituto della Segreteria di Stato, nei cui confronti si è proceduto, come normativamente previsto, per i reati di peculato, abuso d’ufficio, subornazione.

La compravendita del Palazzo di Londra

La maggior parte dei crimini in questione si sarebbero consumati, secondo l’accusa, nel corso di una compravendita da parte della Segreteria di Stato di un immobile di lusso a Sloane Avenue, nel cuore di Londra. Un’operazione che si è dimostrata altamente speculativa e che avrebbe fatto perdere alle casse vaticane almeno 139 milioni di euro, dopo un acquisto pari a 350 milioni di sterline e una rivendita a meno di 186 milioni. La Segreteria di Stato si è costituita infatti come parte civile e ha chiesto 117,818 milioni di risarcimento. A questa si accompagnano le richieste risarcitorie delle 4 altre quattro parti civili costituitesi nel processo: lo IOR che ha chiesto 207.987,494 milioni; l’APSA, 270.777,495 milioni; l’ASIF e monsignor Alberto Perlasca, ex responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, che entrambi per la quantificazione del danno si rimettono alla valutazione equitativa del collegio giudicante.

L’investimento, stando alla ricostruzione dell’accusa, sarebbe stato avviato dopo il fallimento di un’operazione sul petrolio in Angola proposta da Becciu ma mai andata in porto. Da lì il passaggio al palazzo di Sloane Avenue in una girandola di fondi, transazioni, compensi, commissioni, accordi stipulati senza – sembra – l’autorizzazione dei superiori, coinvolgimento di banche straniere e utilizzo di strumenti finanziari a rischio. L’investimento, secondo i pubblici ministeri, ha aperto le porte ai “mercanti del tempio”, mentre per le difese non ha fatto emergere alcun rilievo penale ma solo “normali” operazioni per chi è pratico del mondo della finanza. A conclusione della vicenda Londra, quella che il sostituto Edgar PeñaParra ha definito una “via crucis”, anche la presunta estorsione con la richiesta da parte del broker Torzi alla Segreteria di Stato di 15 milioni di euro per cedere le mille azioni di voto con cui manteneva l’effettivo controllo del Palazzo.

Le vicende Sardegna e Marogna

Alla “vicenda Londra”, nel processo, si affiancano poi la “vicenda Sardegna” e la “vicenda Marogna”, entrambe riguardanti cardinale Becciu. La prima riguarda il versamento di 125 mila euro dei fondi della Segreteria di Stato su un conto associato alla Caritas di Ozieri e alla Spes, coop guidata da uno dei fratelli del cardinale, per acquisto e restauro di un panificio volto a dare lavoro a giovani emarginati. I soldi sarebbero ancora nelle casse della Diocesi. La “vicenda Marogna” si riferisce invece al già citato pagamento di 575 mila euro alla manager, introdotta dai servizi segreti italiani e assoldata in quanto esperta in questioni diplomatiche per aiutare, tramite una società di intelligence britannica, la Santa Sede a liberare la suora colombiana Gloria Cecilia Narváez, rapita da jihadisti in Mali. Come detto, Marogna ha poi speso questo denaro per l’acquisto di mobilio, borse, scarpe, soggiorni in hotel di lusso, ma ha rifiutato ogni addebito. Da parte sua, il cardinale ha sempre affermato di essere stato “ingannato” per primo dalla donna e che tutta l’operazione diplomatica era autorizzata e approvata dal Papa, inizialmente coperta da segreto pontificio. Il promotore Diddi e le parti civili hanno rilevato che Marogna avrebbe però continuato a frequentare il porporato e la sua famiglia anche dopo lo scoppio dello scandalo.

Le richieste del Promotore di Giustizia

Per il cardinale, il Promotore di Giustizia ha chiesto nella sua requisitoria una condanna a sette anni e 3 mesi di reclusione, oltre a 10.329 euro di multa e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.  Per monsignor Carlino, 5 anni e 4 mesi di reclusione, interdizione perpetua e multa di 8.8 mila euro; per Crasso, 9 anni e 9 mesi, interdizione perpetua e 18 mila euro di multa; per Tommaso Di Ruzza 4 anni e 3 mesi, interdizione temporanea e multa di 9.600 euro; Cecilia Marogna, 4 anni e 8 mesi di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici e una multa pari a 10.329; per Raffaele Mincione 11 anni e 5 mesi, interdizione perpetua e 15.450 euro; Nicola Squillace, 6 anni di reclusione, sospensione dall’esercizio della professione e multa di 12.500 euro; Fabrizio Tirabassi, 13 anni e 3 mesi, interdizione perpetua e 18.750 euro; Gianluigi Torzi, 7 anni e 6 mesi di reclusione, interdizione perpetua e 9 mila euro; René Brülhart, 3 anni e 8 mesi di reclusione, interdizione temporanea e 10.329 euro di multa. Unite a questo diverse confische, per un ammontare di svariati milioni di euro, e le condanne avanzate per le società coinvolte. Nelle prossime ore si saprà la decisione del Tribunale vaticano anche in merito a queste richieste.