La legale di parte civile Paola Severino ha quantificato la grave “lesione” provocata dalla vicenda della compravendita del palazzo di Londra, al centro di una campagna mediatica in 130 Paesi: “Fortemente danneggiati” da “mercanti nel tempio” a cui rappresentanti dell’istituzione hanno aperto le porte. Chiesta una provvisionale di 98 milioni di euro. Domani, 29 settembre, la terza udienza dedicata alle parti civili con gli avvocati di Apsa e Asif
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Sperpero”, “saccheggio”, “operazioni spregiudicate”, “scempio economico”, “speculazione”. In “50 mila articoli tra stampa e web” e in “migliaia di interazioni” si è parlato in questi termini della vicenda Sloane Avenue, la compravendita del Palazzo di Londra al centro del processo in corso da oltre due anni per la gestione dei fondi della Santa Sede. Giudizi e commenti che “hanno provocato un grave pregiudizio” della immagine della Segreteria di Stato che ora chiede 177 milioni di risarcimento per danni morali e reputazionali ai dieci imputati, tra cui il cardinale Giovanni Angelo Becciu.
Abusi e raggiri dei mercanti del tempio
È stata l’avvocato di parte civile, Paola Severino, stamane nella sessantanovesima udienza nell’Aula dei Musei vaticani, a quantificare il danno causato dallo scandalo che ha investito “una delle primarie istituzioni della Santa Sede”, vittima di “abusi e raggiri” da parte di “mercanti del tempio” a cui hanno aperto le porte rappresentanti stessi della Segreteria di Stato, costretta ora a sostenere una “campagna reputazionale mirata a riabilitare l’onore intaccato dai reati commessi”. “Si è scritto che la Prima Sezione si è trasformata in centrale investimenti… Si è affermato che questo caso è assimilabile al peggior scandalo di corruzione che portò al suicidio di Roberto Calvi”, ha detto l’ex ministro della Giustizia italiano. “Lo dico non perché i giornalisti sostituiscono i giudici ma perché danno idea dell’ampiezza della lesione subita”.
Valutazione dei danni
Per “valutare lo sforzo per i danni provocati dagli imputati”, la Segreteria di Stato si è affidata ad una “società esperta”, la Volocom srl, che ha calcolato un valore oscillante tra 98 e 177 milioni (138 milioni, la giusta mediazione). “Uno degli importi più alti mai calcolati a titolo di danno d’immagine”, ha sottolineato Severino alla fine di un lungo intervento in aula partito dalla efficace e puntuta ricostruzione – “tutta basata sugli atti” – delle “gravi condotte” e architetture finanziarie poste in essere prima dell’affaire Londra. A partire, quindi, dalla proposta di investimento su pozzi di petrolio in Angola, avanzata nel 2014 da Becciu su spinta dell’imprenditore Antonio Mosquito, sua vecchia conoscenza. Investimento mai realizzato ma che rappresenta un cambio di rotta rispetto alle operazioni finanziarie passate della Segreteria di Stato, “caratterizzate da basso profilo di rischio”. Soprattutto quello “rappresenta il momento dell’ingresso dei mercanti del tempio, ampiamente accompagnato e acconsentito da Sua Eminenza Becciu”, ha affermato Severino.
Ricostruire i fatti
“Il passato è il prologo”, per dirla alla Shakespeare, quindi ripartire dalla ricostruzione della storia aiuta a dimostrare, secondo la legale, come le operazioni seguite alla proposta dell’Angola siano state “il cavallo di Troia che ha consentito a Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi (i due manager imputati, ndr) a ottenere per lungo tempo l’incondizionato e incontrastato controllo del patrimonio della Segreteria di Stato”. Il tutto con il “fattivo contributo” di altri rappresentanti della istituzione che avrebbero dovuto invece tutelarne gli interessi: Fabrizio Tirabassi, funzionario dell’Ufficio amministrativo, ed Enrico Crasso, dagli anni ’90 consulente finanziario che nell’affare londinese aveva visto forse “l’occasione per assumere un ruolo di primo piano”.
Accertamento della verità, lo scopo del processo
“Questa parte civile si reputa fortemente danneggiata”, ha ribadito Severino: “L’accertamento della verità è lo scopo del processo, non la vendetta, non il regolamento dei conti, non gli interessi di carattere personale. Questo riafferma la forza della Chiesa di fronte alla fallacia degli uomini. Aver voluto questo processo è un fatto simbolico”.
Dalla proposta dell’affare in Angola in poi
Dopo numerose udienze (domani, 29 settembre, la settantesima con gli avvocati di Apsa e Asif) i fatti sono ormai noti. Severino li ha elencati cronologicamente: la proposta dell’affare Falcon Oil in Angola, la due diligence affidata a Mincione con parere negativo (“Prima si raccoglie tutto, si crea il mezzo con cui gestire, poi si dice dopo più di un anno ‘no, l’investimento è troppo rischioso’”), la proposta di acquisto di un palazzo in una via prestigiosa della capitale britannica dal prezzo “sovrastimato” di 230 milioni poi diventati 270 milioni. Ancora, l’investimento nella “peculiare e onerosa forma” del Credit Lombard, quello in Athena Capital Fund facente capo allo stesso Mincione, altri “investimenti finalizzati a soddisfare gli interessi dei gestori piuttosto che del sottoscrittore, gravati da consistenti perdite” e via dicendo.
Operazioni “fallimentari”
Operazioni che hanno dato vita a un clima di sospetto in Vaticano, con Segreteria per l’Economia e Ufficio del Revisore che pressavano per avere chiarimenti sulle operazioni “fallimentari” di Mincione, attuate peraltro “in una situazione di costante conflitto d’interessi”. Il broker ha proseguito tuttavia “a operare in assoluta autonomia”, finché “dopo l’estate del 2018 diventa chiaro che occorre cambiare strategia perché – per usare parole dello stesso Mincione – i giochi sono finiti”.
“Si è giocato con i soldi della Segreteria di Stato”
Sì, perché di “giochi” si parla o, almeno, così li hanno definiti Severino e le due collaboratrici di studio, gli avvocati Daniela Sticchi ed Elisa Scaroina, intervenute nel pomeriggio. “Si è giocato tante volte con i soldi della Segreteria di Stato: nel 2013, nel 2014, si è rigiocato nel 2018…”. È questo l’anno in cui inizia la “seconda fase” della storia: il passaggio dal fondo Gof di Mincione al Gutt di Torzi. Nel novembre 2018, infatti, si svolge la nota riunione a Londra in cui viene firmato il Framework agreement con cui Torzi si impegna ad acquistare per conto della Segreteria di Stato le azioni di Mincione, “previo conguaglio” di 40 milioni di sterline. E si firma pure lo Share Purchase Agreement, con cui la Segreteria di Stato acquista da Torzi 30 mila azioni senza diritto di voto al prezzo simbolico di 1 euro, “laddove Torzi resta proprietario delle sole mille azioni aventi diritto di voto”. Quelle che gli danno diritto di vendere o decidere una qualsiasi destinazione.
Gli accordi firmati a Londra
A Londra sono presenti Tirabassi e Crasso. La riunione per Severino è stata una “trappola”, perché i due sono “convinti di partecipare a un incontro per individuare una exit strategy rispetto a una gestione finanziaria non gradita”. Invece si trovano un piatto pronto per formalizzare “illeciti accordi”. Così la Segreteria di Stato passa dalle mani di Mincione a quelle “altrettanto abili e interessate” di Torzi che, come primo gesto, manda via Tirabassi dal board.
L’intervento di Peña Parra
“Chi trova un amico trova un tesoro, in questo caso il tesoro della Segreteria di Stato”, ha ironizzato Scaroina. “Torzi e Mincione realizzano i loro in parte comuni obiettivi”, ha fatto eco Severino. “In questo meccanismo ben oliato” arriva un “sassolino” che ne inceppa l’ingranaggio: l’avvento del nuovo Sostituto, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, subito messo in allarme sul fatto che con la firma dei contratti a Londra la Segreteria di Stato “aveva di fatto acquisito una scatola vuota”. Peña Parra, ha ricordato Severino, comprende che “occorre trovare una via di uscita dalla situazione, preservando per quanto possibile l’investimento”. Inizia quella che l’arcivescovo ha definito più volte “una vera e propria Via Crucis”. Con l’oneroso mutuo di Chayne Capitale, tra affitti non pagati o di favore, la Santa Sede perde somme sempre più intenti: “Il sostituto non ci dormiva la notte”, ha evidenziato Scaroina.
Estorsione
L’ultima stazione della Via Crucis è il pagamento – dopo anche il parere dell’autorevole studio legale Mishcon De Reya – di 15 milioni di euro a Torzi per il pieno controllo del Palazzo: 10 milioni per cedere le mille azioni e 5 milioni come compenso per la gestione (dicembre 2018-maggio 2019). Torzi cede l’immobile ma trasmette “causali del tutto diverse”. È il “colpo di coda” di quella che l’accusa configura come estorsione. “L’intera trattativa è stata una dimostrazione del potere e della forza di cui erano dotati mentre la Segreteria di Stato era impotente”, ha detto Severino.
Le richieste della parte civile
Ha parlato poi di “varie corruzioni”, “castelli di frodi”, distrazioni di risorse e altri “gravi illeciti”, ma la vicenda di Londra è quella ad aver “avuto maggiore eco mediatica” in 130 Paesi del mondo. Quindi che ha provocato profonde “lesioni” alla Segreteria di Stato. Da qui la richiesta di risarcimento per danni reputazionali pari a 177,818 milioni di euro necessari per una “campagna di ristoro”, poi la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale (somma da pagare all’atto di una eventuale condanna di primo grado) pari a 98 milioni 473 mila euro (cifra più bassa della forbice stabilita dalla perizia).
A queste richieste si aggiungono quella per danni morali e reputazionali avanzata ieri dalla parte civile Ior (987.494 mila euro), più i danni morali di vario tipo, e quella per danni patrimoniali che presenterà domani l’Apsa, da dicembre 2020 proprietaria di fondi e immobili della Santa Sede per volontà del Papa.