Nella cinquantatreesima udienza, ascoltato come testimone il legale dello studio londinese Mishcon de Reya che ha assistito la Santa Sede nelle trattative con il broker per riacquisire il pieno controllo dell’immobile di Sloane Avenue. Il presidente del Tribunale Pignatone ha imposto la presenza in aula per il 19 aprile del fratello del cardinale Becciu e del direttore di Caritas Ozieri
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Minacce” velate o più esplicite, ipotesi di vendita di un palazzo a danno della Santa Sede che ne era la proprietaria, mancanza di due diligence, cambi di amministrazione. Era una “combinazione” di situazioni, quelle messe in atto dal broker Gianluigi Torzi, a creare un “quadro preoccupante” durante le trattative con la Segreteria di Stato per l’affare del Palazzo di Londra. O meglio “un quadro psicologico di tensione nervosa”. Ad affermarlo oggi, durante la cinquantatreesima udienza del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede, è stato Shantanu Shina, avvocato di origine indiana naturalizzato londinese, chiamato a testimoniare nell’aula dei Musei vaticani.
Trattative
All’epoca direttore della sezione Corporate del noto studio legale Mishcon de Reya, che ha assistito la Santa Sede nella trattativa con il broker imputato nel processo in corso, Shina ha ripercorso le tappe delle contrattazioni del novembre-dicembre 2018, quando la Segreteria di Stato, proprietaria di fatto dell’immobile di Sloane Avenue con 30 mila azioni senza diritto di voto, voleva uscire dal fondo Gutt di Torzi in modo da riacquisire il totale controllo del palazzo, mantenuto invece da Torzi con le ormai note “mille azioni con diritto di voto”, stabilite da un Framework Agreement firmato a Londra da rappresentanti della Segreteria di Stato, senza – sembra – l’autorizzazione dei superiori.
Riacquisire il controllo del palazzo di Londra
“Chi aveva azioni, aveva il potere”, ha detto l’avvocato, spiegando che il 17 dicembre 2018, l’architetto Luciano Capaldo aveva infatti presentato alcuni documenti perché si approvasse una risoluzione che cambiasse il diritto di voto nella Gutt affinché tutte le decisioni fossero prese all’unanimità. In una riunione di alcuni giorni dopo a Milano la proposta era stata sottoposta allo stesso Torzi: “Il suggerimento dello studio era di far revisionare il documento da uno studio con sede in Lussemburgo e aggiungere la risoluzione” così che la Segreteria di Stato si riappropriasse di una sua proprietà.
L’ipotesi di vie legali
Inizialmente si pensava che la struttura delle mille azioni di Torzi fosse stata “inserita erroneamente”. Ma il rifiuto del broker al cambio prerogative azioni e la sua richiesta di una buonuscita di 20 milioni (divenuti poi 15, erogati mesi dopo in due tranche e frutto – secondo l’accusa – di estorsione), fece comprendere che “la situazione non era erronea, ma voluta”, ha dichiarato il teste. La strategia suggerita da Mishcon de Reya era di adire a vie legali contro Gutt e Torzi per “frode, truffa e inganno”. Si preferì invece trattare, valutando i rischi per il riserbo e i tempi di avvio del processo, troppo estesi considerando che – secondo quanto riferito da Shina – si temeva seriamente che Torzi, dopo aver mandato via dal board della Gutt l’unico rappresentante della Santa Sede, Fabrizio Tirabassi (imputato), vendesse pure il palazzo di Londra.
Email agli atti
A tal proposito, il testimone ha depositato agli atti due email del marzo e aprile 2019 (fase viva delle trattative), in cui lo studio di consulenza Bird & Bird che assisteva Torzi chiedeva che si firmasse la transazione richiesta dal broker entro 2-3 giorni o addirittura un giorno, perché erano in cantiere “decisioni fondamentali” anche sul “possibile cambio di proprietà dell’immobile”. Come si deduceva che si parlasse di una vendita? “Un riferimento al cambio di proprietà per noi non era previsto”, ha spiegato il testimone, “pur non avendo diritto di voto, la Segreteria di Stato era proprietaria a tutti gli effetti. Ventilare un cambiamento significava solo questo”. Da qui, il sospetto di “minacce” per conto di Torzi per sollecitare il pagamento della quota per uscire dall’affare.
Ordinanza
A fine udienza, il presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone ha letto un’ordinanza sulla questione del ‘rifiuto’ di testimoniare lo scorso 8 marzo a causa di una “elusione di garanzie” da parte di don Mario Curzu, direttore della Caritas di Ozieri in Sardegna, e Antonino Becciu, fratello del cardinale (imputato), a loro volta indagati dalla Procura della Repubblica di Sassari, in relazione all’attività della Diocesi, della Caritas e della Cooperativa Spes. Nella ordinanza odierna Pignatone ha ribadito ancora una volta che “ci sono tutte le garanzie per un giusto processo” e stabilito che i due quindi dovranno irrevocabilmente presentarsi in aula il prossimo 19 aprile, anche eventualmente per manifestare la loro facoltà di non rispondere.