Processo vaticano, la difesa di Carlino: ha fatto solo il suo dovere con lealtà

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Nel corso della settantottesima udienza del procedimento sulla gestione dei fondi della Santa Sede, nell’aula polifunzionale del Musei Vaticani, i legali del sacerdote leccese, già segretario dei sostituti della Segreteria di Stato Becciu e Peña Parra, hanno chiesto la sua assoluzione dai reati di estorsione e abuso d’ufficio, perché avrebbe “sempre agito rispettando l’incarico dei superiori”

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

“Monsignor Mauro Carlino ha fatto il suo dovere con competenza e lealtà”. Secondo la difesa del sacerdote leccese, già segretario prima del sostituto della Segreteria di Stato Angelo Becciu, allora arcivescovo, e poi del suo successore monsignor Edgar Peña Parra, basterebbero le parole di quest’ultimo, rese nella sua testimonianza del 16 marzo 2023 al processo per la gestione dei fondi della Santa Sede, a scagionarlo da ogni accusa. E sulla testimonianza del suo diretto superiore l’avvocato Salvino Mondello, uno dei legali di Carlino, ha costruito gran parte della sua arringa difensiva, nella settantottesima udienza del processo.

Carlino e la trattativa con Torzi per il palazzo di Londra 

Per il monsignore, imputato per estorsione e abuso di ufficio, il promotore di giustizia Alessandro Diddi ha chiesto 5 anni e 4 mesi di reclusione, oltre all’interdizione perpetua e a una multa di 8 mila euro. Motivi di salute hanno impedito a Carlino di essere presente nell’aula polifunzionale dei Musei Vaticani, per ascoltare gli interventi della sua difesa, durati circa tre ore. Per l’accusa, ha ricordato Mondello, il sacerdote leccese sarebbe colpevole di estorsione per “aver rafforzato il proposito criminoso di Gianluigi Torzi”, il broker, imputato, che ha costretto la Segreteria di Stato a pagargli 15 milioni di euro per recuperare il controllo del palazzo in Sloane Avenue 60 a Londra, “concorrendo moralmente con lui, per non averlo ostacolato”. Inoltre, per “aver assunto responsabilità come intermediario” nella trattativa della Segreteria di Stato con Torzi.

“Vizi di fondo”

Entrambe, per Mondello, sarebbero “impostazioni viziate clamorosamente da errori giuridici”. Il vizio di fondo dell’accusa, per il difensore di Carlino, è il “non aver accertato una divergenza di interessi tra Torzi e Carlino”. Perché se Torzi era comunque determinato all’azione di rivalsa contro la Segreteria di Stato, l’opera di Carlino non è stata certo di concorso, e quindi non ha potuto né rafforzare l’azione del broker, né ostacolarla. Tutti in Segreteria di Stato, ha sostenuto il legale, “ritenevano i 15 milioni non dovuti, ma si sono trovato costretti a pagare per non rischiare danni economici maggiori”.

Mai tornaconto personale

Sulle responsabilità di Carlino come intermediario, il legale ha sottolineato che era convinzione della Segreteria di Stato e del funzionario, un semplice officiale di settimo livello, che teneva l’agenda del sostituto, “che Torzi stesse operando illecitamente”. E che l’opera di intermediazione di Carlino è stata “nell’interesse esclusivo della vittima, come nei casi di sequestro di persona, quindi non c’è stato certo concorso nell’estorsione”. Oltretutto, ha ribadito Mondello, il segretario dell’arcivescovo Peña Parra era solo un “emissario, che agiva per conto della Segreteria di Stato, che si è inserito nella vicenda su incarico del sostituto, non motu proprio. E il suo fine non è stato mai il tornaconto personale” .

Quale interesse? 

Il difensore di Carlino ha alzato i toni della sua arringa quando si è chiesto, rivolto all’Ufficio del Promotore di giustizia: “Con quale coscienza si può affermare che una persona che non ha tratto profitto né vantaggio, non fosse animata da un fine solidaristico? Qual era il concorrente interesse di Carlino rispetto a quello della Segreteria di Stato. Le parole del sostituto Peña Parra sono tombali per qualunque accusa a Carlino”. E anche il sequestro dei conti del sacerdote, per Mondello sarebbe uno sfregio, anche perché dimostrerebbe “che il concorrente di un reato contro il patrimonio non ha avuto vantaggi economici”. Il legale ha quindi sottolineato che i legali della Segreteria di Stato, che si è costituita parte civile, abbiano confermato che Carlino era l’interfaccia del sostituto nella trattativa con Torzi” e che Peña Parra “non è mai stato ai margini e non informato”.

La testimonianza del sostituto

Mondello ha ricordato molti passaggi della testimonianza dell’arcivescovo venezuelano del 16 marzo 2023, nella quale il sostituto ha spiegato che Torzi non voleva più trattare con l’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, e quindi con monsignor Perlasca e Fabrizio Tirabassi (che è tra gli imputati), e quindi ha incaricato Carlino a trattare, quando si era già deciso di dare 20 milioni di euro al broker perché cedesse alla Santa Sede le sue mille azioni con diritto di voto e quindi il controllo del palazzo. Nella trattativa successiva, Carlino, secondo il suo legale, riesce a ridurre l’esborso della Segreteria di Stato a 15 milioni.

Nel corso dell’udienza, Peña Parra, ha detto Mondello, aveva sottolineato che monsignor Perlasca, “non si era comportato fedelmente, non solo per aver sottoscritto un contratto senza averne la procura, che con inganno poi la Segreteria di Stato era stata indotta a ratificare” e di aver eluso “le richieste di chiarimento del sostituto”. Così questo sceglie Carlino per la trattativa “perché aveva bisogno di una persona di fiducia”. E una prova, per il legale, è in una chat tra il sostituto e Pelasca del marzo 2019. Peña Parra “ricorda a Perlasca la sua proposta di non pagare Torzi e di fargli causa, e gli chiede di inviare un testo con i pro e i contro della soluzione legale. Una proposta che Perlasca non invierà mai”. Per Mondello quindi “non si può processare una trattativa”, anche perché la decisione drammatica di trattare con Torzi “l’ha presa il sostituto, e l’ha rivendicata, non si è mai tirato indietro”.

Contestazioni all’accusa

Il legale ha ripercorso tutte le tappe della trattativa, delle quali Carlino informava puntualmente il suo superiore, e ha lamentato che l’accusa abbia contestato al suo assistito anche il tono e il linguaggio usati con Torzi, “come prova del suo concorso nell’estorsione”, mentre “l’approccio gentile” era un corretto modo di condurre la trattativa. Mondello ha quindi contestato l’accusa di abuso d’ufficio a carico di Carlino, legata alla richiesta di mutuo allo Ior di 150 milioni di euro per la Segreteria di Stato, “che comunque è stata fatta dal sostituto”. Una richiesta che non è reato, della quale Peña Parra informa anche il Papa, perché avrebbe permesso di chiudere un’altrio mutuo con interessi molto onerosi, che faceva perdere all’Ufficio più di un milione di euro al mese. “Riducendo gli interessi – spiegava il sostituto al Pontefice – si potranno recuperare anche i 15 milioni dati a Torzi”.

Richiesta assoluzione 

Infine Mondello ha contestato che la mancata denuncia dell’estorsione di Torzi, da parte di Carlino, sia stato abuso d’ufficio. Perché, si è chiesto, “avrebbe dovuto denunciare all’autorità giudiziaria un fatto del quale il suo superiore sapeva tutto e aveva avvisato anche il Papa? E comunque su tutto questo, perché materia economica, c’era il segreto pontificio, dal quale Francesco stesso dispensa i vertici dello Ior, quando fanno la denuncia”. Quindi i suoi legali, dopo l’intervento dell’avvocato Agnese Camilli Carissimi, hanno chiesto per monsignor Mauro Carlino l’ assoluzione dal reato di abuso d’ufficio, perché i fatti non sussiste o in subordine per non aver commesso il fatto, e dal reato di estorsione per non aver commesso il fatto, o in subordine perché il fatto non costituisce reato. Domani mattina  alle 9.30, il processo prosegue con il secondo intervento del legale di Gianluigi Torzi e mercoledì con le arringhe dei difensori del cardinale Angelo Becciu.