Chiesa Cattolica – Italiana

Processo vaticano, i molti “non ricordo” del testimone Perlasca

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Non sono bastate cinque ore, dopo le sei di ieri, per concludere l’interrogatorio di monsignor Alberto Perlasca, “testimone chiave” nel processo per la gestione dei fondi della Santa Sede, da parte dei difensori degli imputati. L’ex responsabile dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato ha risposto alle domande dei legali del cardinale Angelo Becciu, all’epoca dei fatti sostituto della Segreteria di Stato, di Fabrizio Tirabassi, già minutante dello stesso Ufficio di Perlasca e suo diretto collaboratore, e di Enrico Crasso, consulente finanziario della Segreteria di Stato.

Terza e ultima parte dell’interrogatorio il 30 novembre

Lo ha fatto con molti “non ricordo”, tanto che il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha interrotto per due volte quella che era la trentottesima udienza del processo, ha consigliato ripetutamente calma e moderazione al testimone, e lo ha richiamato ad una maggior attenzione nelle risposte, per non rischiare l’incriminazione per falsa testimonianza. Su alcuni particolari, il sacerdote comasco ha chiesto di poter rivedere i suoi appunti, lasciati a casa, e si è riservato di rispondere nella prossima udienza, fissata per il 30 novembre.

Le domande dei legali del cardinale Becciu

I legali del cardinal Becciu, Viglione e Marzo, hanno interrogato Perlasca per quasi 3 ore, concentrandosi sui suoi rapporti con l’ex superiore. Il primo è tornato sulla cena del 5 settembre 2020 in un ristorante romano, per chiedere al testimone perché, dopo aver invitato il cardinale ad “una serata rilassante”, informò dell’incontro la Gendarmeria vaticana. “Non volevo che pensassero cose strane” ha spiegato Perlasca, aggiungendo poi che temeva volessero registrare il colloquio con delle cimici. Ma, ha aggiunto, “il commissario De Santis mi ha assicurato che non agiscono in territorio italiano”.

La cena del settembre 2020 in un ristorante romano

Pochi giorni prima, il 31 agosto, il monsignore aveva portato di sua iniziativa un memoriale agli inquirenti, nel quale tirava spesso in ballo il suo ex superiore. “Erano mie considerazioni sui fatti – ha spiegato in aula – non c’era nessuna accusa ma solo chiarificazione della mia posizione, e il contributo che ogni cittadino e cristiano deve dare a chi fa indagini”. Nella cena Perlasca ha chiesto al cardinal Becciu “indicazioni su come comportarmi, su cosa fare, dire o non dire” e alla fine, tornato a casa, ha trascritto il colloquio e ha anche letto il contenuto, registrandolo sul suo smartphone. Alla richiesta dell’avvocato Viglione di produrre in aula testo e registrazione, il testimone ha risposto che “sono cose mie private, che non voglio condividere… Come un mio diario” salvo poi promettere una prossima consegna al Tribunale.

“Da quasi tre anni senza stipendio né assicurazione sanitaria”

Perlasca ha spiegato di aver più volte cercato l’aiuto del cardinale, perché dopo il primo interrogatorio del 29 aprile 2020, ancora da indagato, gli erano stati sequestrati i fondi allo Ior e attenzionato il conto in una banca italiana, tanto che “non potevo più prelevare nulla senza autorizzazione”. Fu anche sollevato dall’incarico di promotore di giustizia aggiunto presso la Segnatura Apostolica (che svolgeva da sette mesi), e, dato che non era più dipendente della Santa Sede “non avevo più cittadinanza vaticana, e mi venne tolto tutto. Da allora, sono tre anni che non ho stipendio, non ricevo la pensione e non ho neanche l’assistenza sanitaria. Ma non ho chiesto nulla a nessuno”. Gli venne anche chiesto di lasciare l’appartamento a Casa Santa Marta e di rinunciare alla targa SCV per l’auto, “ma questo non andò a buon fine”. E Perlasca ha ipotizzato che in queste azioni ci fosse la mano del cardinal Becciu, al quale chiese aiuto anche nel 2021, con una lettera, senza esito.

La minaccia di farla finita: “ma era solo una provocazione”

L’avvocato Viglione ha letto in aula il messaggio whatsapp che Perlasca ha inviato a Becciu il 3 luglio 2021, nel quale faceva intendere di essere pronto a farla finita: “Gettandomi dalla mia camera morirei sulla cappella. Le ho voluto sempre bene. Sarebbe l’unico modo per uscirne per dire a tutti che sono innocente…”. Il cardinale si spaventò e mandò un medico del Fas a controllare all’appartamento del monsignore a Santa Marta. “Era solo una provocazione. Non ha capito l’ironia del mio messaggio – ha commentato Perlasca – forse perché sapeva dell’esasperazione alla quale mi aveva portato, goccia dopo goccia”.

Il memoriale che “sembra un questionario”

Quindi gli è stato chiesto del memoriale consegnato agli inquirenti il 31 agosto 2020, definito da Viglione “un questionario” perché costituito da 21 domande in diciotto pagine. Alla richiesta su chi gli avesse posto quelle domande, su molti temi anche non toccati nell’interrogatorio del 29 aprile, Perlasca ha risposto prima che erano frutto di una sua riflessione personale, poi di non ricordare chi gli avesse suggerito i quesiti. Alla fine si è riservato di consultare i suoi appunti e di rispondere nell’udienza del 30 novembre. Il difensore di Becciu gli ha chiesto anche perché nel memoriale scaricava molte responsabilità sull’ex superiore. E Perlasca si è sfogato: “perché mi ha fatto fare quelle cose per cui lui oggi è imputato. Volevo far comprendere che non ero né complice né connivente. Sono entrato nella vicenda perché mi ha fatto fare cose che non avrei voluto fare. Ma ora la mia posizione è stata archiviata”.

Il contenuto del memoriale

Il legale di Becciu ha poi fatto presente a Perlasca che nello stesso memoriale dichiara di volersi difendere “dopo tutto quello il cardinale aveva deposto contro di me”. Ma poi ha visto, ha incalzato Viglione, “che non c’era nessuna deposizione contro di lei del cardinale, agli atti, chi le ha detto che Becciu aveva parlato contro di lei?” Anche il presidente Pignatone ha sottolineato che al 31 agosto 2020 non risultava nessun interrogatorio del cardinale. Dopo la pausa concessa, perché Perlasca potesse fare mente locale, il monsignore ha ricordato che Becciu stesso gli aveva confidato che il promotore di giustizia Milano era stato a casa sua “a fare domande e a prendere informazioni”. 

I bonifici per la liberazione di suor Gloria

Infine sui bonifici richiesti dal cardinale per la liberazione di suor Gloria rapita in Mali, Perlasca ha dichiarato che Becciu gli chiese di fare due bonifici quando era ancora sostituto della Segreteria di Stato e uno quando non lo era più, chiedendo al successore, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, di firmare l’autorizzazione.

La riunione di Londra per il palazzo di Sloane Avenue

Ad interrogare poi il monsignore comasco è stato l’avvocato Bassi, legale di Tirabassi. Molte delle domande si sono concentrate sulla riunione a Londra del 20-23 novembre 2018, con il monsignore che ha confermato quanto già risposto ieri al promotore di giustizia Diddi. “Doveva essere solo una riunione preparatoria all’acquisto del palazzo”, anche se al collaboratore Tirabassi, ha ricordato il legale “lei ha detto che si sarebbe arrivati ad una soluzione”. “Non eravamo pronti per chiudere, nemmeno psicologicamente – ha insistito Perlasca – Poi è stata una cosa veloce come una frana che viene giù tutta in un colpo. Dovevano fare le cose con più calma”. Ha confermato di aver chiesto un parere su due contratti da firmare ad un avvocato amico, Bernasconi, che al telefono “mi ha detto che ci voleva tempo e fatica per valutare l’accordo”. “Ma perché alla fine ha firmato?” Hanno incalzato sia Bassi che Pignatone. “Perché i tecnici mi hanno assicurato che andava tutto bene: Tirabassi e Crasso. Io glielo detto 50 volte, ho firmato perché se poi andava bene facevo perdere dei soldi alla Santa Sede. Alla fine mi sono fidato”.

La firma autorizzata dal sostituto  

Ha confermato che lo studio legale londinese Mischon de Reya è stato coinvolto solo dopo la firma dei due contratti, “magari l’avessero chiamato prima, noi non saremmo qui. Quando mi hanno detto di non interessarmi più della vicenda di Londra, ho smesso di interessarmi, e non ho chiamato io questo studio legale, non ero più responsabile”. Bassi ha insistito: “Quando ha firmato aveva già parlato al sostituto Peña Parra e avuto l’autorizzazione almeno verbale?”. “Sì, non avrei potuto firmare nulla – ha risposto Perlasca – almeno una telefonata al sostituto l’ho fatta”. “Gli mostrò i testi dei contratti, il giorno 22 quando li ricevette da Londra?”. “No, Erano identici a quelli che gli avevo già portato, quando aveva chiesto chiarimenti sulle mille azioni con diritto di voto riservate a Torzi mille azioni, ma a Londra ci hanno rassicurato che era tutto a posto”.

“Credevamo che Torzi volesse aiutare la Segreteria di Stato”

“Eravate convinti, lei, Tirabassi e Crasso, che Torzi volesse veramente aiutarvi?” ha chiesto ancora Bassi. “Sì, Perché Giovannini e Intendente, collaboratori di Torzi a livello legale – ha risposto Perlasca – erano stati introdotti dal dottor Milanese che aveva relazioni strette con il Papa, siamo stati psicologicamente deviati da questa presentazione”. Dopo alcune domande dell’avvocato Panella, difensore di Crasso, il presidente Pignatone ha comunicato il calendario delle prossime udienze. Il processo riprende il 30 novembre con le audizioni dei testimoni Giovannini, ancora Perlasca e Di Iorio.

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti