Chiesa Cattolica – Italiana

Processo vaticano, i legali di Mincione: la verità piegata per un obiettivo

La difesa del finanziere è stata protagonista dell’ottantunesima udienza del processo sui fatti di Londra. Domani, 5 dicembre, saranno avanzate le richieste degli avvocati dell’imputato, per il quale l’Ufficio del Promotore ha richiesto 11 anni e 5 mesi di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici e 15.450 euro di multa

Barbara Castelli – Città del Vaticano

“Penso di aver dato elementi importanti di valutazione. Qui c’è stato un oltraggio della verità, sulla persona, sulla sua reputazione professionale, sulla presunta natura predatoria della due diligence di Falcon Oil, sul ruolo di Credit Suisse: non c’è un’oncia di verità su questi capitoli decisivi della vicenda, sulla pretesa inconsapevolezza della Segreteria di Stato, sull’occultamento di informazioni negoziali decisive. Non c’è nulla di vero”. Così l’avvocato Giandomenico Caiazza, uno dei legali della difesa di Raffaele Mincione, accusato di truffa aggravata, peculato e peculato aggravato, abuso d’ufficio aggravato, appropriazione indebita aggravata, autoriciclaggio e corruzione aggravata. Nell’aula polifunzionale dei Musei Vaticani, tra gli imputati, oltre al finanziere, erano presenti Enrico Crasso e Fabrizio Tirabassi. Nel corso dell’ottantunesima udienza del processo sugli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra, il legale ha criticato lo schema con il quale, a suo dire, sono state condotte le indagini. “C’è un convincimento – ha detto, ringraziando, comunque, il collegio per aver dato a tutti la possibilità di intervenire – e il materiale che si acquisisce è orientato a confermare il pregiudizio”. “La verità dei fatti – ha aggiunto – l’evidenza documentale è stata piegata ai propri convincimenti”.

Non polemica ma stupore 

In oltre due ore di intervento, l’avvocato Giandomenico Caiazza, senza volersi “soffermare sulla legittimità di questo processo”, ha voluto soprattutto puntare il dito contro le “lacune investigative che hanno caratterizzato l’ordito accusatorio sin dalla sua nascita”. “La verità – ha dichiarato – è stata piegata a un obiettivo: il promotore di Giustizia ha costruito una sorta di realtà parallela, un luogo dove i fatti possano essere rappresentati in modo esclusivamente funzionale agli obiettivi dell’accusa”. “Una bolla nella quale – ha proseguito – dove può essere assolutamente normale non parlare di contratti, mai, con neanche la citazione di una clausola: non importa. E non parlare, non indagare, non ascoltare persone informate sui fatti, nemmeno i sottoscrittori del contratto. Non ci vuole essere polemica, ma solo stupore”.

Il rischio di alcuni investimenti

Nel corso delle sue riflessioni, rivolte ai membri del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, il legale ha nuovamente richiamato note vicende: l’investimento petrolifero, poi naufragato, Falcon Oil; il fondo lussemburghese Athena Capital Global Opportunities (Gof) e il prestigioso palazzo al numero 60 di Sloane Avenue, insieme con il dispendioso mutuo; il credit lombard; fino a proiettare alcuni contratti siglati da membri della Segreteria di Stato, leggendone alcune sue parti. Citata e letta, insieme con i suoi numerosi allegati, anche una minuta di Fabrizio Tirabassi, datata 8 luglio 2014, che prelude l’operazione immobiliare. Nelle parole di Giandomenico Caiazza, Raffaele Mincione non è “un mascalzone, un mezzo farabutto, che si intrufola in Segreteria di Stato per cercare di fare soldi”, ma un “signore che ha fatto una carriera straordinaria” e mai è stato “chiamato a rispondere del proprio operato”, in un ambito operativo che “è costantemente soggetto a vigilanza”. Esistono attività, ha insistito, caratterizzate da un “rischio che è proprio di un’attività regolata come tale dalle leggi, controllata e vigilata: fare di questa attività, in quanto rischiosa, una scorribanda è un discorso intollerabile dal punto di vista intellettuale”.

L’adeguatezza degli investimenti

Tra i vari altri punti approfonditi, c’è stata anche la “rimozione totale del soggetto Credit Suisse” dalle considerazioni fatte, “che non era solo la banca depositaria ma anche il fiduciario della Segreteria di Stato”; la scelta di sottoscrivere investimenti con un certo rischio, l’idoneità di uno Stato sovrano a comprendere uno specifico profilo di investimento.

In chiusura di udienza, è intervenuto un secondo legale in difesa del finanziere, Andrea Zappalà, che si è soffermato su alcuni documenti, proiettati in aula, “faticosamente” rinvenuti “scavando nei documenti”. Attraverso diversi estratti patrimoniali per categoria d’investimento, l’avvocato ha delineato “un profilo di cliente”, la Segreteria di Stato, che già prima dei fatti di Londra si definiva come “non avverso al rischio e propenso ad avere un orizzonte temporale di riferimento anche lungo”. Il tutto, a dire della difesa, dimostrerebbe che “non c’è mai stata una differenza di investimenti nel tempo” e che la Segreteria di Stato “aveva un’esperienza ultradecennale” nella composizione del proprio portafoglio. Tra gli investimenti operati, prima dell’adesione al fondo Athena Capital Global Opportunities, sono state enumerate anche operazioni di security lending, attraverso la quale il proprietario di obbligazioni o azioni trasferisce temporaneamente queste attività finanziarie a una controparte, che si impegna a restituire i titoli a una predeterminata data futura

“Il promotore ci ha riferito tre cose non vere – ha rimarcato Andrea Zappalà, scendendo nel dettaglio di diverse clausole di precedenti impegni contrattuali e passando poi per questioni quali il credit lombard, il price cap e gli impegni in capo al gestore del fondo, le azioni Carige – anzitutto che la Segreteria di Stato non avesse mai effettuato investimenti in strumenti finanziari complessi o rischiosi; secondo che la stessa non avesse esperienza: e, infine, che non avesse mai contratto debiti per investire”.

Domani, martedì 5 dicembre, interverranno gli altri avvocati della difesa di Raffaele Mincione, avanzando le proprie richieste.

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