Processo vaticano, i legali di Mincione: i mercanti erano nel tempio da tempo

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Richiesta l’assoluzione per tutte le accuse mosse contro il finanziere perché il fatto non sussiste o non costituisce reato. Ancora una volta, la difesa ha lamentato “un errore prospettico” nella costruzione del procedimento penale Protocollo 45/19

Barbara Castelli – Città del Vaticano

“È un fatto inoppugnabile che la Segretaria di Stato gestisse riserve patrimoniali molto significative, e questo già prima dell’arrivo di monsignor Becciu. E lo faceva per il tramite di investimenti finanziari anche complessi, che erano affidati a banche italiane, banche straniere, persone esperte. Quindi, i mercanti nel tempio, se di mercanti si può parlare, c’erano già da molto tempo”. È uno dei passaggi delle riflessioni formulate oggi dall’avvocato Claudio Urciuoli, prima di chiedere l’assoluzione, per tutti i capi di imputazione, perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, per Raffaele Mincione, accusato di truffa aggravata, peculato e peculato aggravato, abuso d’ufficio aggravato, appropriazione indebita aggravata, autoriciclaggio e corruzione aggravata. L’ottantaduesima udienza del processo sugli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra, infatti, è stata dedicata alle conclusioni degli avvocati della difesa del finanziere, per il quale il l’Ufficio del Promotore ha richiesto 11 anni e 5 mesi di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici e 15.450 euro di multa. Nell’aula polifunzionale dei Musei Vaticani, tra gli imputati, oltre allo stesso, erano presenti Enrico Crasso e Fabrizio Tirabassi.

L’errore prospettico e i quattro cardini del processo 

Il legale ha ripercorso fatti e carteggi della vicenda legata al noto palazzo di Londra, deplorando, pur se fatto “in buona fede”, “l’errore prospettico” commesso dal Promotore di Giustizia. “Anziché guardare la Segreteria di Stato dall’esterno – ha chiarito – cioè dal punto di vista del mondo finanziario regolamentato, dal punto di vista di Raffaele Mincione, si è presunto e si è assunto che Raffaele Mincione avesse non solo la possibilità ma anche l’obbligo di neutralizzare le categorie giuridiche, finanziarie internazionali a favore di quelle che l’Ufficio del Promotore di Giustizia ha individuato nel diritto vigente interno allo Stato della Città del Vaticano”. “Da questo difetto genetico, da questo difetto di prospettiva – ha aggiunto – ne sono discese una serie di conseguenze disastrose e chiaramente incomprensibili per la posizione dell’imputato. Il concetto di propensione al rischio, che è una caratteristica intrinseca di qualsiasi tipo di investimento, diventa una speculazione, e su questo concetto si è costruito tutto”.

Claudio Urciuoli, tra le altre cose, ha messo a fuoco quelli che – nel suo pensiero – sono i cardini su cui è stato fondato l’intero processo. Anzitutto, la figura di monsignor Alberto Perlasca, il “testimone chiave”, per il quale anche l’Ufficio del Promotore “ha dovuto alzare le mani davanti a una situazione contradditoria”. L’Obolo di San Pietro, “l’architrave pop e mediatico di questo processo”: “Le donazioni caritatevoli dei fedeli di tutto il mondo sperperate in spregio di qualunque tensione etica”. “Su questo tema – ha insistito – devo dire che abbiamo assistito a una completa inversione di rotta”. Ed ancora, un terzo cardine: la Costituzione Apostolica Pastor Bonus, “secondo cui la Segreteria di Stato non disponeva delle facoltà giuristiche per amministrare le proprie riserve”. “Questo è apparso talmente assurdo – ha detto – che le stesse accuse di parte di sono affrettate a ripudiare questa posizione”. E infine, “la parte più surreale”, Luciano Capaldo, presentato come “il maxi consulente, il salvatore della patria”, “che ci è venuto a dire che la cifra di 275 milioni di pound era una cifra fuori da ogni logica di mercato”, l’uomo a cui “dobbiamo attribuire la paternità di aver abbandonato lo sviluppo residenziale e la riconversione in uffici dell’immobile di Sloane Avenue”. “La Segreteria di Stato nel cedere l’immobile in modo così immotivatamente affrettato – ha proseguito – ha fatto una vendita in perdita. La storia si incaricherà di giudicare questo fatto: sapete quando? Quando Bain Capital si rivenderà l’immobile e vedremo quanto ne ricaverà”. L’avvocato ha, inoltre, evocato la figura di Enrico Crasso, che “certamente non poteva essere un pubblico ufficiale”; quella del broker Ivan Simetovic e delle fee della Aspigam International; di Gianluigi Torzi, “un interlocutore scelto dalla Segretaria di Stato” e non dall’imputato; fino a ricordare altri soggetti che avrebbero potuto essere convocati, ma che, tuttavia, non sono a processo.

Raggiri e artifici per mettere le mani sull’Obolo

Nella seconda parte della mattinata, è intervenuta anche l’avvocato Ester Molinaro, soffermatasi sulla truffa, “un reato morto, defunto, non durante il processo, ma già durante le indagini”. “Le perizie fatte sul valore dell’immobile – ha rimarcato, ricordando parimenti che l’adesione alle quote del fondo venne fatta con finanziamenti e “non truffando l’Obolo di San Pietro” – sono credibili, attendibili, bisogna solo intendersi sui criteri di calcolo, dove vengono estremizzate le due categorie: il criterio di calcolo per beni fermi, statici, immobili, e quello per i progetti. Sono criteri diametralmente opposti”. “La Segreteria di Stato – ha concluso – non ha comprato un bene, ma ha deciso di partecipare a un progetto, che era racchiuso in un fondo”, l’Athena Capital Global Opportunities (Gof).

Domani, 6 dicembre, si concluderanno gli interventi degli avvocati delle difese del cardinale Angelo Becciu e di Fabrizio Tirabassi. Entro la fine della prossima settimana, ultimate le repliche, dovrebbe essere data lettura della sentenza.