Chiesa Cattolica – Italiana

Processo di Londra, concluse le udienze. La Santa Sede: da Mincione nessuna buona fede

Oggi 18 luglio termina il procedimento civile presso l’Alta Corte di Giustizia, avviato dopo la causa presentata nel 2020 dal finanziere Mincione sulla compravendita del palazzo di Sloane Avenue. Gli avvocati delle due parti hanno depositato le memorie conclusive. La Segreteria di Stato: noi facile bersaglio, da anni Mincione ci ingannava e sottraeva soldi. Obiettivo della sua causa è ottenere una sentenza per i media. Gli avvocati del finanziere: nessuna frode nella valutazione dell’immobile

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Nessuna buona fede”, si ribadisce da una parte. “Nessuna frode”, si afferma dall’altra. Con la lettura delle closing submission, le memorie conclusive degli avvocati della Segreteria di Stato e del finanziere Raffaele Mincione, termina oggi, giovedì 18 luglio, il processo civile a Londra presso l’Alta Corte di Giustizia del Regno Unito sulla compravendita del palazzo di Sloane Avenue. Processo avviato lo scorso 24 giugno dopo l’azione legale presentata nel 2020 da Mincione che mira a ottenere una trentina di dichiarazioni favorevoli che attestino la sua “buona fede” nella transazione con la Segreteria di Stato di fine 2018 relativa al passaggio dell’immobile londinese. Il processo presso la Royal Court of Justice ha visto al banco dei testimoni il sostituto monsignor Edgar Peña Parra, il quale nei suoi interrogatori dei giorni 4, 5 e 8 luglio ha ricostruito nel dettaglio i contorni di una vicenda già al centro del procedimento penale nel Tribunale vaticano, concluso nel dicembre 2023 con la condanna di dieci imputati. Tra cui lo stesso Mincione.

Memorie conclusive

In attesa della sentenza a Londra, prevista per il prossimo autunno, gli avvocati delle due parti hanno depositato le loro memorie conclusive, formulate alla luce del dibattito in aula basato su materiale documentale e valutazioni tecniche dell’immobile nel prestigioso quartiere di Chelsea.

Gli avvocati di Mincione: nessuna frode

Centoquindici le pagine della memoria del team legale di Mincione, firmata dall’avvocato Charles Samek e dagli aggiunti, in cui, pur ammettendo uno stile particolare nell’agire del proprio assistito (“He is a buccaneering type”), si confuta il fatto che la Segreteria di Stato abbia subito una frode: si sarebbe “resa conto di essere stata vittima” solo “dopo aver letto i documenti relativi alla richiesta di assistenza giudiziaria da parte delle autorità svizzere”, affermano gli avvocati.

Definiscono “errata”, poi, l’ipotesi per cui lo scopo di Mincione sarebbe stato quello di influenzare il processo vaticano: “Il procedimento in corso non avrebbe mai avuto alcun effetto”. Uno degli obiettivi del presente processo, assicurano, è quello di “rivendicare i diritti” del finanziere.

Se una persona – si legge invece in un altro passaggio – sostiene di essere stata vittima di frode si dovrebbe presentare in tribunale “con ‘mani pulite’ e senza nulla nascondere. Con tutto il rispetto, questo non è ciò che è accaduto qui…”.

Le fatture dei pagamenti a Torzi

Gli avvocati ritengono che il quadro offerto alla Corte non sia completo e affermano che monsignor Peña Parra, nonostante arrivò in Vaticano nell’ottobre 2018, quindi nella fase finale di questa vicenda complessa, è stato invece “direttamente coinvolto” in tutte le ultime trattative. In particolare quella che ha portato a pagare a Torzi 15 milioni di euro da lui richiesti per chiudere ogni rapporto e cedere le quote del palazzo di proprietà della Santa Sede ma di cui lui aveva il totale controllo. Ancora gli avvocati di Mincione tornano sulle fatture alla banca Credit Suisse per i due bonifici alle società di Torzi Sunset Enterprises e Lighthouse. Fatture che facevano riferimento a servizi del broker mai resi nella realtà: “false” affermava in aula Samek; mentre Peña Parra le inquadrava come conseguenza di quella che i giudici vaticani hanno configurato come estorsione. 

Il prezzo dell’immobile

Infine i legali assicurano che, alla luce della perizia sul valore di mercato dell’immobile, non sussista la tesi della SdS di aver acquistato “una scatola vuota” ad un prezzo gonfiato: “Senza tale sopravvalutazione, non vi è alcuna falsificazione fraudolenta del valore di mercato e vengono meno i presupposti per il presunto complotto con Torzi/ Squillace”.   

Sovrapprezzo

Proprio il punto del sovrapprezzo del palazzo occupa buona parte della memoria di 109 pagine dell’avvocato della Segreteria di Stato, Charles Hollander, insieme agli aggiunti. In numerosi paragrafi si traccia cronologicamente la storia dell’ex magazzino Harrod’s nella prestigiosa Sloane Avenue, acquistato da Mincione nel dicembre 2012 per 129 milioni di sterline più 8 milioni di costi. Numeri “in netto contrasto”, affermano gli avvocati, con le informazioni fornite all’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato, che ricevette una proposta d’acquisto con una valutazione lorda di circa 230 milioni e un rendimento del 3,75%. Mincione, ricordano i legali, ha sempre parlato di “distanza tra una valutazione e l’altra”, di effetti della Brexit e di “tagli dei tassi di interesse” che “stavano crollando”. In realtà, “non ci sono prove di alcun cambiamento nei tassi di interesse tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014”, si legge nel documento, in cui si parla anche di informazioni “fuorvianti” in lettere consegnate dal finanziere e dai suoi associati alla Segreteria di Stato.

I rapporti tra Torzi e Mincione

Hollander e gli altri avvocati della SdS mettono poi nero su bianco gli elementi che dimostrerebbero che gli “interessi finanziari” di Mincione e del broker Gianluigi Torzi fossero “strettamente intrecciati”. I due erano legati da “una serie di altre transazioni in cui erano reciprocamente finanziatori”, affermano, “entrambi erano a corto di soldi e urgentemente bisognosi di denaro a causa di accordi presi in relazione alla vicenda della Banca Carige”. In queste circostanze, la SdS ha rappresentato un “facile bersaglio”, perché “già da anni Mincione ingannava e sottraeva soldi alla Segreteria di Stato”.

Sentenza per i media

Nella memoria si giudicano poi “immotivate” le critiche contro monsignor Peña Parra, a volte anche “gratuite (ma ovviamente riportate dalla stampa)”, scrivono gli avvocati della Segreteria di Stato. Per loro “questo procedimento non ha uno scopo valido e sensato” o, forse, “il vero scopo” è solo quello di ottenere una sentenza che possa alimentare la bagarre mediatica.

“Riabilitare il suo nome”

Nelle conclusioni ci si sofferma sulle motivazioni che hanno spinto Mincione ad avviare l’azione legale quattro anni fa. E cioè la volontà di “riabilitare il suo nome” mentre erano in corso le indagini in Vaticano. “Impossibile” al momento giungere a questa riabilitazione, scrivono gli avvocati, dopo una condanna in primo grado a cinque anni e mezzo di reclusione e la richiesta di risarcimento di 180 milioni di euro, oltre a un significativo ordine di confisca.

Gli avvocati rilevano inesattezze pure sui presunti “pregiudizi” che il finanziere avrebbe subito a causa del pressing mediatico dato dalle accuse della SdS, tali da comprometterne le attività lavorative o avviato azioni normative come quella della CSSF (Commission de Surveillance du Secteur Financier) in Lussemburgo. Proprio quest’ultima – e sono stati gli stessi testimoni di Mincione ad affermarlo in aula – risale al giugno 2019, quindi “prima di qualsiasi notizia riportata dalla stampa sull’indagine vaticana, o addirittura dell’inizio di tale indagine”. 

La tempistica della causa

Sempre sui tempi, si fa notare nella memoria che l’avvio dell’azione legale di Mincione è avvenuto undici giorni dopo l’arresto di Torzi in Vaticano. “Sembra che quando i pubblici ministeri hanno bussato alla porta di Mincione e dei suoi collaboratori (in particolare Torzi), Mincione e gli altri ricorrenti abbiano deciso insieme di avviare un proprio procedimento”. “Erroneamente”, evidenziano i legali, hanno pensato che così facendo “avrebbero potuto esercitare pressioni” sull’Ufficio del Promotore di Giustizia nel procedimento vaticano oppure “gestire in qualche modo le (comprensibili) conseguenze negative” derivanti dall’essere accusati di “gravi attività criminali”. Insomma, secondo il team di avvocati, “il vero scopo dei ricorrenti era quello di lanciare ‘una controffensiva all’interesse dei media per l’indagine” del Promotore di Giustizia.

Prosecuzione “bizzarra”

Mincione, com’è noto, è stato condannato in primo grado per peculato, autoriciclaggio e corruzione tra privati dal Tribunale vaticano, ma assolto dai reati di truffa aggravata e peculato in relazione all’ipotizzata sopravvalutazione del prezzo di vendita del palazzo di Sloane Avenue. Ancora non sono state rese pubbliche le motivazioni della sentenza, ma il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, ha già dichiarato di voler fare appello. La Segreteria di Stato, invece, non ha presentato alcun ricorso. “Ne consegue – chiosa il documento – che una ‘vittoria’ del signor Mincione in questo procedimento non gli darebbe nulla di più di quello che il Tribunale vaticano gli ha già dato”. Anzi, “la prosecuzione del procedimento” risulterebbe piuttosto “bizzarra”.

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