Adriana Masotti – Città del Vaticano
“Alle 11.05 di oggi è morto ‘Mario'”: così l’Associazione Luca Coscioni ha annunciato stamattina la conclusione della vicenda di Federico Carboni, finora identificato con un nome di fantasia, l’uomo di 44 anni di Senigallia, affetto da tetraplegia a causa di un incidente stradale avvenuto 12 anni fa. Aveva ottenuto il via libera per il suicidio medicalmente assistito dopo una battaglia legale, sostenuta dall’Associazione Luca Coscioni, che faceva appello alla sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato/djFabo, il giovane che nel 2017 decise di porre fine alla sua vita in una clinica svizzera. Dopo il suicidio assistito di Fabiano Antoniani, Cappato si autodenunciò e fu iscritto nel registro degli indagati per il reato di aiuto al suicidio, ma fu assolto nel 2019. Questa è invece la prima volta che la procedura di suicidio assistito avviene in Italia. Stamattina stessa ‘Mario’ aveva ricevuto la strumentazione e il farmaco necessari.
Un caso che sollecita una riflessione profonda
“Ora finalmente sono libero di volare dove voglio”, sarebbero queste le ultime parola di Carboni, riportate dall’Associazione che da tempo si batte per il riconoscimento del “diritto” alla propria morte nella legislazione italiana. “Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario – avrebbe ancora detto ‘Mario’ – perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico”.
Parole che umanamente commuovono, ma impongono anche una riflessione profonda sul senso della vita e sulla possibilità e il dovere di fare qualcosa di più per aiutare la persona ammalata e il suo contesto famigliare a sostenere l’indubbio peso di una situazione di grave invalidità e mancanza di autonomia. Al microfono di Vatican News, Laura Palazzani, ordinario di Filosofia del diritto all’Università LUMSA di Roma e membro della Pontificia Accademia per la Vita, commenta la vicenda Carboni e fa il punto della situazione legislativa italiana riguardo al tema del suicidio assistito e sulle norme deontologiche a cui sono tenuti oggi i medici in materia:
Laura Palazzani, l’Associazione Luca Coscioni ha annunciato stamattina la morte di Federico Carboni. Qual è il suo commento di fronte a questa notizia?
Innanzitutto sono sorpresa, perché oggi in Italia abbiamo una sentenza della Corte Costituzionale che ha aperto all’idea del suicidio assistito a determinate condizioni, ma non abbiamo una legge. La proposta di legge che è arrivata in Parlamento ed è stata approvata dalla Camera, deve ancora essere discussa al Senato, quindi non si può configurare un “diritto” al suicidio assistito che porterebbe un grandissimo cambiamento nel nostro ordinamento giuridico perché darà la possibilità a un medico di predisporre un farmaco affinché un soggetto possa togliersi la vita. E bisogna considerare anche che la situazione di ‘Mario’ non rientrava nemmeno nelle condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale stabiliva, infatti, come eccezione al suicidio assistito, che la persona interessata sia in grado di intendere e di volere, abbia una malattia inguaribile, una sofferenza insopportabile e sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitali, mentre ‘Mario’ non aveva trattamenti di questo tipo. Da questo punto di vista, quindi, sono abbastanza stupita che ciò sia avvenuto in Italia e in una configurazione normativa che al momento non è confacente a questa situazione.
E’ proprio questa mancanza di una legge che viene denunciata da molti e c’è molta enfasi sul fatto che questo sia il primo caso in Italia ad avere potuto accedere a questo, per alcuni, diritto…
Sì, qui ci sono posizioni molto diverse che si confrontano, cioè c’è chi è favorevole a questa possibilità, perché ritiene che un soggetto deve avere una piena disponibilità della sua vita qualora ritenga che la sua vita non sia più degna di essere vissuta, non abbia cioè una sufficiente qualità di vita e possa disporne in modo libero. Ma c’è anche un’altra corrente di pensiero, quella di chi ritiene che la vita sia un bene indisponibile e che, dunque, di fronte a situazioni di questo genere che pure sono ovviamente situazioni che richiedono un grande rispetto, pensa che sia necessario attuare tutto ciò che è possibile, per esempio l’accompagnamento palliativo, cioè nel fine vita. Oltretutto c’è ancora un’altra possibilità, quella della sedazione profonda che è possibile attuare già nel rispetto delle norme del nostro ordinamento giuridico, la Legge 219 del 2017, che consente che quando un paziente si trova in condizioni di inguaribilità può chiedere la sedazione profonda, cioè può chiedere una dose di morfina tale per cui viene sedato e quindi la sua coscienza viene annullata in modo irreversibile e viene gradualmente accompagnato verso la morte, che non avviene però a causa del farmaco, ma avviene in un contesto in cui la morte è causata dalla malattia di cui è affetto.
L’Associazione Luca Coscioni fa sapere oggi che continuerà ad aiutare chi si rivolgerà a lei e quindi vede questa vicenda come la prima di altre che potranno esserci in futuro…
L’Associazione Luca Coscioni si sta muovendo da anni verso l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del diritto di morire. Questa è la posizione sostanzialmente di chi ritiene che il diritto debba garantire al soggetto la possibilità di disporre della propria vita, ma ci sono tante altre istanze che si muovono in direzione contraria. E direi anche i principi generali del nostro ordinamento giuridico che al momento non contiene questa possibilità, perché nel nostro ordinamento giuridico e nella nostra Costituzione prevale il valore vita da difendere e il bene vita non è disponibile da parte del soggetto: questa è la situazione attuale della nostra normativa. Le uniche possibilità sono date dal rifiuto delle terapie, dalla rinuncia dell’utilizzo dei salvavita, oppure dall’uso della sedazione ma che, ripeto, sono un lasciar morire il malato, non provocare la morte. Ma di questa materia si sta ancora discutendo in Parlamento, quindi dal mio punto di vista la sentenza della Corte che ha aperto ad una riflessione giuridica ma non è ancora legge, quindi in Italia non ritengo che sia normativamente corretto attuare il suicidio assistito. Il dibattito è molto aperto in Parlamento e nel campo della bioetica.
Ci vorrà, quindi, ancora del tempo per arrivare eventualmente ad una normativa definitiva…
Al momento c’è un progetto di legge, Bazzoli, che è stato approvato alla Camera e che sarà prossimamente discusso dal Senato è che è nato da un difficile equilibrio di mediazioni all’Interno dei partiti politici, delle diverse correnti di pensiero, e non sappiamo quale sarà l’esito di questa normativa: si sta cercando un faticoso equilibrio tra le diverse visioni. L’introduzione del suicidio assitito porterebbe ad un grande cambiamento anche nel nostro codice deontologico – che fino ad oggi dice che il medico deve curare il paziente, come sosteneva Ippocrate fino dal V secolo a.C. -, dovrebbe cambiare per dare la possibilità al medico di aiutare il paziente ad uccidersi. Quindi ci sono tante cose che devono essere discusse, ma non mi pare proprio che al momento siamo pronti per questo passaggio nè dal punto di vista normativo, né dal punto di vista deontologico e nemmeno dal punto di vista etico.
Una vicenda drammatica come quella di Federico Carboni, e di tanti altri come lui in condizioni difficili, umanamente merita rispetto, ma che cosa si potrebbe fare di più da parte di chi crede nell’indisponibilità della vita per aiutare le persone a non fare la scelta di ‘Mario’?
C’è molto di più che si potrebbe fare, non solo sul piano della difesa dei valori, della teoria, perché io credo che in questo ambito bisognerebbe promuovere molte di più iniziative di sostegno, di aiuto anche di carattere psicologico e di accompagnamento alle persone non riescono ad accettare certe condizioni di vita, una cosa che è assolutamente umanamente comprensibile. Credo che l’accompagnamento psicologico e psicosociale sia una iniziativa da portare avanti accanto a tutte le altre iniziative sul piano normativo, deontologico e bioetico ma quelle si muovono sul piano teorico ma si deve fare qualcosa anche nella pratica cioè essere vicini a questi malati e non lasciarli soli.