Chiesa Cattolica – Italiana

Presunti abusi al Preseminario, chiesti quattro anni di reclusione per Martinelli e due per Radice

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Otto anni di reclusione per don Gabriele Martinelli (28 anni), ridotti a quattro a motivo della minore età dell’imputato all’epoca dei fatti, per il reato di violenza carnale aggravata, e altri quattro anni, ridotti a due, per atti di libidine aggravati. Quattro anni, invece, per don Enrico Radice (71 anni) per favoreggiamento. Queste le condanne che il Promotore di Giustizia, Roberto Zannotti, ha chiesto oggi al Tribunale vaticano per i due imputati del processo per i presunti abusi avvenuti nel Preseminario San Pio X, giunto alla dodicesima udienza. Conclusa la fase testimoniale con la deposizione di don Andrea Stabellini, ex vicario giudiziale della Diocesi di Como, il presidente Giuseppe Pignatone ha avviato la discussione delle parti nel processo a carico dell’ex preseminarista, oggi sacerdote, e dell’allora rettore. 

L’arringa del difensore della presunta vittima

Delle quattro ore e mezza di durata dell’udienza – svoltasi in un’ampia aula dei Musei Vaticani, per garantire maggiore distanziamento tra i presenti -, oltre un’ora è stata occupata dall’arringa della presunta vittima degli abusi di Martinelli, L.G. (oggi assente), che ha parlato di “un processo difficile”, durante il quale quasi il 99% delle persone ascoltate ha detto di non aver visto né sentito mai alle violenze di Martinelli. Cosa che però, secondo il legale, non va a smentire le denunce di L.G. che ha sempre parlato di fatti avvenuti nel “perimetro” della sua stanza, alla presenza al massimo dei suoi compagni. Proprio la personalità di L.G., secondo Imparato, è ciò che avvalora la sua “credibilità”: il ragazzo, “educato, fragile, vergognoso”, mai è stato esplicito nelle sue accuse, mai ha detto: “Ho raccontato tutto”, ma si è sempre limitato a usare espressioni come “fastidio, paura”. Secondo Imparato sarebbe stata proprio la paura, sia di essere additato dalla comunità del Preseminario ma, soprattutto, di essere cacciato via e rispedito nel suo Paese di 3mila abitanti (dove già viveva una realtà difficile per la situazione familiare) ad aver frenato L.G. dal denunciare, secondo Imparato.  

Sempre l’avvocato, ha contestato l’ottica su cui si sono mosse le indagini che hanno portato al processo: bisogna cioè inquadrare tutto nell’“ottica del potere”, “l’esercizio violento di un soggetto potente e prepotente” che “voleva soddisfare la sua sete di potere” proveniente da “un rapporto malsano” col rettore. In particolare, Imparato ha insistito sulla mancanza di consenso da parte di L.G., richiamando anche il movimento Me Too, e ha ricordato “il clima brutto, malsano, marcio” che – a detta di diversi testi – caratterizzava il Preseminario. “Questa vicenda racconta il fallimento di piccole comunità chiuse. È la punta di un iceberg”, ha affermato. Perciò ha chiesto la condanna di entrambi gli imputati: “Non vorrei mai pensare che Martinelli nei prossimi decenni possa fregiarsi della medaglia dell’assoluzione per fatti che riteniamo gravi”.  

Zannotti: atti di violenza, non “cose da ragazzi”

Sulla stessa scia, il promotore Zannotti ha avanzato la richiesta di condanna per i due imputati. In particolare, il Pm ha voluto delimitare il periodo di imputazione di Martinelli: non i circa sei anni in cui si sarebbero consumate le violenze (2007-2012), bensì il periodo in cui questi aveva compiuto 16 anni (9 agosto 2008 fino a luglio 2012, quando L.G. lascia il Preseminario). Secondo l’ordinamento vaticano, infatti, non è punibile chi non ha compiuto 16 anni nel momento in cui ha commesso un reato.

Anche Zannotti ha richiamato le parole dei testi sul ruolo autoritario e dispotico di Martinelli nel Preseminario e sul suo rapporto con Radice, e ha ricordato la vicenda personale e familiare di L.G. che, ha detto, gli ha suscitato “tenerezza”. Tutto per avvalorare l’accusa che quelli di Martinelli fossero veri “atti di violenza”, contrariamente ad una certa vulgata che iniziava a circolare secondo cui si trattasse di “cose di ragazzi”. Ricordate anche le minacce che Martinelli avrebbe rivolto a L.G., a cominciare dal ricatto di concedergli ruoli importanti nel servizio liturgico delle messe papali in cambio di favori sessuali. 

Anche Zannotti ha insistito sul concetto di consenso: “Non bisogna confondere la partecipazione all’atto con il consenso”. Allo stesso modo, ha rimarcato che la credibilità di L.G. non può essere inficiata dal fatto che abbia denunciato tardivamente. “Aveva paura, si vergognava, ci ha provato nel 2009 ma l’esito è stato controproducente”, in riferimento alla presunta aggressione verbale da parte di Radice. Proprio Radice, secondo Zannotti, ha tenuto un comportamento “ancora più grave” di Martinelli, “sia per la carica, che per l’ostinazione di coprire fatti evidenti a tutti”.  

Camilli: nessuna prova oggettiva contro Radice

Fatti che invece, a detta dell’avvocato difensore dell’ex rettore, Agnese Camilli Carissimi, non avrebbero alcuna prova oggettiva. “Da quanto copiosamente emerso, nulla si è evidenziato su Radice”. La legale ha definito sempre positiva la carriera del sacerdote, ribadendo che era sempre a contatto coi ragazzi, una carriera conclusasi con una stretta collaborazione col vescovo di Como, Diego Coletti. Ha insistito sul grande controllo che Radice esercitava di notte per i ragazzi del Preseminario, rimanendo sveglio anche fino alle 23.30. E ricordando la struttura del San Pio X fatta di “porte a vetri, pareti di cartongesso, bagni comuni, stanze multiple”, ha affermato che: “È complesso immaginare che atti con una frequenza da guinness, con opposizioni verbali e fisiche, non siano stati mai rilevati in sei anni”. Camilli ha parlato piuttosto di una “vendetta” da parte di L.G. e Kamil Jarzembowski (ex allievo polacco, finora unico testimone oculare degli abusi) che avrebbero fatto partire lettere e voci dopo l’espulsione di quest’ultimo dal Preseminario. La legale ha chiesto pertanto l’assoluzione di Radice con formula piena: “Una sentenza di condanna con una tale mancanza di prove sarebbe oltre ogni ragionevole dubbio”.

La testimonianza dell’ex vicario di Como

Prima delle arringhe è stato ascoltato don Andrea Stabellini, nome citato da molti testimoni. Ex vicario giudiziale della Diocesi di Como, Stabellini risultava coinvolto nella prima investigatio della Diocesi di Como, nel 2013, autorizzata dall’allora vescovo Coletti. Indagine che, a suo dire, non sarebbe però mai stata avviata dal momento che tutta la questione si chiuse in un incontro a Roma al Preseminario, nell’autunno 2013, tra Coletti, Radice, il cardinale Angelo Comastri e don Angelo Magistrelli, allora responsabile dell’Opera Don Folci e attuale rettore. “Il vescovo mi chiese di andare a Roma con lui ed ebbe un colloquio da cui rimasi fuori. Alla fine mi disse di redigere una memoria e che si doveva chiudere tutto”. Radice in seguito consegnò due lettere identiche a Coletti e Stabellini, in cui chiedeva di chiudere la vicenda dal momento che si trattava di “fumus persecutionis”.  

Su richiesta del presule, Stabellini dovette redigere quindi una memoria sulla base dei pochi atti ottenuti. In aula ha ribadito di aver insistito sulla necessità di un’indagine, anche se, come ha ammesso oggi, “forse non c’erano effettivamente reati”. Dimessosi poco dopo come vicario giudiziale (“non solo per questa questione”), il sacerdote nei mesi successivi incontrò comunque due ex preseminaristi interessati ai fatti del San Pio X, ma estranei all’indagine. Ha giustificato questa scelta dicendo di aver ceduto alle loro pressioni quasi ossessive. Infine ha affermato che il fascicolo dell’indagine – in cui rientrava anche la memoria da lui redatta – gli risultò “molto depauperato” quando ebbe modo di rivederlo anni dopo con il nuovo vescovo di Como, Oscar Cantoni: “Alcuni atti non c’erano più”. 

Domani nuova udienza

La nuova udienza si terrà domani, alle 10, e verranno ascoltati gli altri due avvocati difensori: Rita Claudia Baffioni (per Martinelli) e Emanuela Bellardini (per Opera don Folci). Si prevede un ulteriore rinvio per la conclusione del processo.

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