Premio Zayed a Sant’Egidio, l'”offensiva di pace” della Comunità in Ucraina

Vatican News

Nella Giornata Internazionale della Fratellanza Umana, la Comunità fondata da Andrea Riccardi riceve – assieme all’attivista keniota “Mama Shamsa” – il Premio Zayed 2023 per il contributo dato alla costruzione di un mondo più pacifico. Il coordinatore della comunità in Ucraina fa il punto della situazione sul Paese travolto da un anno di conflitto

Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano

Il contributo nella costruzione di un mondo pacifico promuovendo i valori della fratellanza umana, contribuendo “al successo dei negoziati di pace e alla risoluzione dei conflitti attraverso la diplomazia religiosa e il dialogo interculturale, promuovendo la pace in diversi luoghi del mondo, dal Guatemala al Mozambico”. È questa la motivazione che ha spinto la giuria del Premio Zayed 2023 a dare l’ambito riconoscimento alla Comunità di Sant’Egidio, ormai presente in 73 Paesi in Europa, Africa, Stati Uniti e Asia.

La consegna del Premio avviene oggi Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, in occasione della Giornata Internazionale della Fratellanza Umana e nel quarto anniversario della firma dello storico Documento ad Abu Dhabi da parte di Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar. Insieme alla Comunità, sarà premiata anche la keniota “Mama Shamsa”, conosciuta per aver aiutato i giovani, salvandoli dalla violenza, dal crimine e dall’estremismo. Esempi dunque che ben si coniugano con l’invito recente di Papa Francesco alla commissione giudicatrice, il 10 gennaio scorso, di portare avanti “il messaggio della fraternità umana”.

L’impegno di Sant’Egidio in Ucraina

La Comunità sta facendo un lavoro importante anche in Ucraina come sottolinea il coordinatore di San Egidio nel Paese, sconvolto dalla guerra, Yiriy Lifanse:

Cosa sta facendo la Comunità di Sant’Egidio in Ucraina in contesto della guerra che dura ormai quasi da un anno?

Dall’inizio della guerra, tutta la Comunità nel mondo ha cominciato a pregare per la pace in Ucraina e concretamente ad esprimere la sua solidarietà. Al momento noi riceviamo gli aiuti da tutta l’Europa e anche da tutto il mondo, riusciamo poi a mandare gli aiuti fino alle città più pericolose – Kramatorsk, Dnipro, Kherson – ma anche a consegnarli direttamente alle persone nei nostri centri degli aiuti a Lviv, Ivano-Frankivsk e Kyiv. Adesso riceviamo almeno quattro, cinque camion di aiuti al mese che sono molto preziosi anche perché con il tempo questo flusso potrebbe diminuire.

Grande parte dall’attività della Comunità di Sant’Egidio è dedicata all’impegno per la pace. Come ci si può impegnare per la pace in un Paese che è ancora in guerra?

Noi continuiamo a pregare per la pace. Per me è difficile immaginare questa pace e non so come si farà, ma sappiamo che il Dio è il Dio della pace. Allora ci uniamo nelle chiese per pregare, invitando le persone e cercando di non far crescere l’odio e la rabbia che sono molto naturali nel tempo della guerra. In Comunità la gente trova il posto della pace, dove una persona aiuta gli altri nonostante tutti i problemi che vive, nonostante le perdite. E mi stupisce molto quando vedo che la gente esce dai nostri centri dicendo: “Grazie dell’aiuto, il vostro lavoro avvicina la pace”. Non è così evidente, non è così logico, ma la gente vede che in un posto di aiuto, in un posto di preghiera, la pace si avvicina. Ed io credo che se da una parte ci sono offensive militari, dall’altra ci sono anche queste “offensive” di pace che la gente cerca e vuole.

Lei personalmente come riesce a ritrovare la pace quando sente che sale la rabbia?

Quest’anno ho sperimentato la vicinanza di Dio, che Lui mi porta per mano. Apro la Bibbia e se sono arrabbiato mi arrabbio pronunciando le parole del Salmo che finiscono sempre con la speranza. E poi intorno a me ci sono i miei cari amici, fratelli e sorelle, la famiglia, persone che mi aiutano a vivere in questo momento. Io capisco che quello di cui hanno bisogno è il mio amore, la mia vicinanza e non la mia rabbia che anzi non aiuta.

Il 25 gennaio fa, Papa Francesco ha incontrato in Vaticano i membri del Consiglio pan-ucraino delle chiese e delle organizzazioni religiose. Cosa pensa della visita di questi leader religiosi che sono venuti a Roma insieme? Può essere visto come segno di fratellanza?

Questa visita è stata molto apprezzata perché è stata un segno evidente di vicinanza e della preoccupazione del Papa per l’Ucraina. I leader religiosi ucraini hanno potuto visitare, incontrare e vedere che il Vescovo di Roma è accanto al popolo ucraino e di questo lo hanno ringraziato anche dopo il loro ritorno. Il Consiglio pan-ucraino delle chiese e organizzazioni religiose è un’esperienza molto importante perché fa vedere come comunità diverse, che sul territorio hanno spesso un rapporto non molto facile, riescono a collaborare davanti ai problemi molto più grandi. E questo mi sembra importante perché nei dissidi tra i rappresentanti delle religioni ci si dimentica spesso delle persone, si dimenticano i loro problemi. Invece così è un segno, segno di un futuro fraterno. Senza togliere le differenze, ma con uno sguardo di tutti insieme. E questo insieme è ancora più importante, anche se non toglie le difficoltà e le differenze tra le persone.