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Eliminare la povertà in tutte le sue forme è il primo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda ONU 2030. Eppure, nel 2015, viveva in condizione di povertà assoluta circa il 10% della popolazione mondiale (700 milioni di persone). La pandemia di Covid-19 ha complessivamente aggravato la situazione spingendo in povertà assoluta, secondo le stime della Banca Mondiale, altri 100 milioni di persone – delle quali la maggior parte sono donne, persone con disabilità, minoranze e rifugiati. L’argomento è di assoluta attualità, nonché destinato a essere ancor più pressante se si considerano le sfide che il mondo sta attraversando: l’inflazione galoppante, la ricostruzione post pandemia, i conflitti in corso, tra cui la guerra in Ucraina. Gli esperti della Strategic Alliance of Catholic Research Universities (SACRU) hanno fornito alcuni spunti di riflessione sul tema, incoraggiando la diffusione di politiche sociali che tutelino le comunità e in particolare le persone vulnerabili. SACRU è una rete composta da otto università cattoliche presenti su quattro continenti, coordinate dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, che cooperano assieme con l’obiettivo di promuovere un’istruzione globale per il bene comune e una eccellente ricerca interdisciplinare ispirata dall’insegnamento sociale cattolico.
La povertà non è un destino
«La povertà è una scelta politica più che sfortuna o destino», sostiene Padre Kenneth Himes, professore di Etica teologica al Boston College, sottolineando come negli Stati Uniti, nel periodo peggiore della pandemia, «la grande espansione della spesa sociale erogata dal governo federale abbia ridotto il numero di poveri assoluti nonostante l’economia in recessione». Una considerazione importante, soprattutto per un Paese storicamente restio all’intervento pubblico.
Paco López, professore della Facoltà di Scienze dell’educazione e del lavoro sociale presso l’Universitat Ramon Llull, sofferma invece l’attenzione sul processo di gentrificazione in corso in alcune grandi città e sulle disuguaglianze che esso porta con sé: «L’impatto della gentrificazione è più marcato in coloro che dispongono di minori risorse, in quanto si trovano ad affrontare una doppia perdita: una causata dai cambiamenti nelle loro condizioni di vita e l’altra dalla distruzione del supporto sociale che potrebbe aiutarli».
Benefici del salario minimo
Secondo Joana Silva, professoressa associata della School of Business & Economics dell’Universidade Católica Portuguesa, è importante distinguere tra le disuguaglianze tra Paesi e quelle interne ad un Stato. «Mentre il divario tra Paesi si è ridotto grazie alla globalizzazione e alla crescita delle economie emergenti, le disparità di reddito all’interno dei Paesi sono aumentate rapidamente. Sono necessarie politiche ex ante che mirino alle reali fonti di disuguaglianze e politiche ex post che riducano al minimo il legame tra disuguaglianza di reddito e disuguaglianza di opportunità», osserva Silva.
Tra queste politiche rientra sicuramente l’introduzione del salario minimo. Secondo un report dell’Australian Catholic University, curato dal dott. Tom Barnes, «un aumento pari a 50 dollari in più a settimana per i lavoratori australiani meno pagati sarebbe non solo accessibile ma anche necessario per colmare il gap tra ricchi e poveri e gli effetti più gravi della pandemia».
La povertà è un problema multidimensionale, che comprende anche quella infantile. Come spiega Masamitsu Kurata, professore associato di Economia alla Sophia University di Tokyo, si tratta di uno scenario grave «anche in Paesi ad alto reddito come il Giappone, che ha un tasso di povertà infantile superiore alla media OCSE». Kurata analizza anche alcune politiche adottate dal Paese del Sol Levante per far fronte al fenomeno, tra cui le «mense per bambini, che sono luoghi che forniscono pasti gratuiti o economici e opportunità di interazione e formazione per i più piccoli». Le considerazioni di Erina Iwasaki, professoressa della Facoltà di studi stranieri del medesimo Ateneo, sono analoghe: «la povertà è interconnessa con la discriminazione, l’esclusione sociale e la violenza, il Covid in particolare ha dimostrato che sono maggiormente colpite le famiglie monoreddito guidate da donne, una situazione che rispecchia la persistente disuguaglianza di genere nella società».
Meno povertà, ambiente più tutelato
Per quanto concerne il nesso tra riduzione della povertà e politiche ambientali, Jeanne LaFortune e Francisco Gallego, professori presso l’Institute of Economics della Pontificia Universidad Católica de Chile, sostengono che sia possibile affrontare l’emergenza climatica senza gravare sui più deboli: «Dato che i danni più importanti in termini di biodiversità sono previsti nei Paesi a basso reddito con una popolazione in crescita, la riduzione della povertà in queste zone potrebbe avere anche benefici ambientali».
Lo sradicamento della povertà richiede pragmatismo e, secondo Simona Beretta, professoressa ordinaria di Politica economica internazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è necessario che vi sia una «consapevolezza della povertà in tutte le sue dimensioni, insieme alla consapevolezza delle risorse locali, nazionali e globali che possono essere mobilitate per affermare davvero “la dignità per tutti”». Si tratta di una questione di umiltà, nella quale i governi «devono fare la loro parte, rispettando e promuovendo attentamente il ruolo indispensabile delle comunità e dei popoli, in un’ottica di percorso lento ma sostenibile verso uno sviluppo dignitoso».