Fausta Speranza – Città del Vaticano
Al termine dell’Angelus domenica 20 giugno Papa Francesco si è unito all’appello dei vescovi del Myanmar che, dopo il colpo di Stato tra fine gennaio e febbraio 2021, sta vivendo un incubo.
Nel Paese del Sud est asiatico che in passato si chiamava Birmania, l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia è solo un motivo in più di allarme sociale ma non frena gli spostamenti interni, come conferma Cecilia Brighi, da anni segretario dell’Associazione Italia-Birmania Insieme:
Brighi racconta che secondo i dati della Lega nazionale per la democrazia, il partito di opposizione che fa capo alla leader Aun San Su Kyi, si contano 24 milioni di persone in povertà mentre si moltiplica il numero di coloro che cercano di fuggire dalle loro case andando ad aumentare in modo esponenziale il numero di sfollati interni. Brighi conferma che il Myanmar si trova ad un passo dalla carestia e con i luoghi di culto sotto attacco. Sottolinea che i media internazionali sembra abbiano sostanzialmente dimenticato il Paese a circa cinque mesi dal colpo di Stato, mentre ribadisce che solo il Papa tiene viva l’attenzione. Brighi ricorda che il Papa domenica 20 giugno, ha unito la sua voce a quella dei vescovi.
L’appello della chiesa locale
Brighi ricorda che in particolare l’11 giugno scorso i vescovi hanno chiesto che si tutelino i corridoi umanitari nelle zone di conflitto, si rispetti la sacralità dei luoghi di culto, si salvaguardi la sicurezza dei civili, soprattutto anziani e bambini.
Il presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Charles Bo, ha chiesto di difendere la vita di un popolo e, al tempo stesso, ha denunciato la situazione di “migliaia di persone che muoiono di fame e malattie nelle giungle”, senza un riparo adeguato, senza cibo e acqua pulita. Sono state colpite chiese e monasteri, dove gli sfollati avevano cercato riparo dagli attacchi alle loro case, e in molti casi vengono depredati gli aiuti umanitari destinati a chi si trova nella giungla.