Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Il sottosuolo di Pompei non smette di stupire. L’ultima incredibile scoperta conferma che la città di epoca romana, riemersa dalle ceneri del Vesuvio che la distrusse nel 79 dopo Cristo, non è solo uno dei siti archeologici tra i più amati e visitati al mondo, ma anche un luogo dove si continua a fare ricerca. Siamo nella villa suburbana di Civita Giuliana, indagata dal 2017 dopo essere stata oggetto per anni di un saccheggio sistematico, stimato attorno ai due milioni di euro. Da questo luogo, all’inizio dell’anno, sono già emersi un carro cerimoniale, ora sottoposto ad interventi di consolidamento e restauro, ed una stalla con i resti di tre equini, uno dei quali già riprodotto tramite calco. Ora è la volta di una stanza: era abitata dagli schiavi che lavoravano nella villa.
Una pagina poco studiata
Si tratta di uno spettacolo più unico che raro: accresce infatti la conoscenza su una condizione sociale, come quella servile, poco studiata a causa delle scarse testimonianze finora venute alla luce. Uno spaccato della vita quotidiana degli schiavi del 79 dopo Cristo, non alterato dallo scorrere dei secoli.
Vi abitava una famiglia?
E’ rimasta impressa nella cinerite l’impronta dei letti e degli oggetti di uso comune conservati all’interno del modesto alloggio: tre brandine in legno ed una cassa lignea contenente oggetti in metallo e in tessuto, probabilmente parte dei finimenti dei cavalli. Le differenti misure dei letti, due lunghi 1,70 metri ed uno appena 1,40 metri, offrono l’indizio che forse all’interno della stanza trovò riparo anche un bambino e che forse il nucleo di abitanti era costituito da una famiglia.
I letti e il vaso da notte
Tutti gli oggetti sono stati ricostruiti attraverso la tecnica dei calchi inventata da Giuseppe Fiorelli nell’Ottocento. E’ accaduto ad esempio per la rete dei letti, costituita da corde, le cui impronte erano parzialmente leggibili nella cinerite o per le coperte in tessuto adagiate sopra i giacigli; o ancora per il timone di un carro trovato appoggiato su uno dei letti. Sotto le brandine si trovavano pochi oggetti personali: anfore per la conservazione di beni privati, brocche in ceramica e un “vaso da notte.” Una piccola finestra in alto illuminava l’ambiente, privo di decorazioni parietali e che probabilmente, oltre a quella di dormitorio, svolse la funzione di ripostiglio come suggerisce la presenza di otto anfore stipate in un angolo.
Una testimonianza unica in 16 mq
“Quello che colpisce – dichiara il Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel – è l’angustia e la precarietà di cui parla questo ambiente, una via di mezzo tra dormitorio e ripostiglio di appena 16 mq, che possiamo ora ricostruire grazie alle condizioni eccezionali di conservazione create dall’eruzione del 79 d.C. È sicuramente una delle scoperte più emozionanti nella mia vita da archeologo, anche senza la presenza di grandi ‘tesori’: il tesoro vero è l’esperienza umana, in questo caso dei più deboli della società antica, di cui questo ambiente fornisce una testimonianza unica.”
Lo scavo è stato possibile grazie ad un’attività coordinata tra il Parco Archeologico di Pompei e la Procura di Torre Annunziata che solo pochi mesi fa hanno rinnovato un protocollo d’intesa per il contrasto alle attività di scavo clandestino nel territorio pompeiano.