Lisa Zengarini – Città del Vaticano
Superare il clericalismo e i particolarismi interni che rischiano di “ostacolare il cammino ecclesiale” della Chiesa locale, ripartendo da Cristo, Colui che ha abbattuto il muro di separazione per mezzo della Sua carne. È stato questo il cuore dell’omelia del patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Pierbattista Pizzaballa, in occasione della scorsa Giornata mondiale della Pace. Durante la Messa, il presule ha voluto riflettere sul tema della pace da una prospettiva interna, soffermandosi sulle “barriere” che – ha detto – a volte inconsapevolmente erigiamo al nostro interno, tra noi”.
La piaga del clericalismo
Monsignor Pizzaballa ne ha elencate quattro. In primo luogo ha parlato della “distanza tra il clero e i laici”, il clericalismo appunto, un fenomeno diffuso, come evidenziato più volte da Papa Francesco, ma che, ha osservato, è particolarmente evidente nella Chiesa di Gerusalemme. “La collaborazione tra sacerdoti e laici viene spesso fraintesa e finisce per diventare: ‘fare semplicemente quello che vuole il sacerdote’”. Fattori culturali non aiutano “ad avere un approccio condiviso alla vita ecclesiale”: da un lato, ha osservato, è “difficile convincere ad avere i consigli parrocchiali e saper condividere idee e iniziative”, dall’altro è anche “difficile trovare laici formati, impegnati, desiderosi di portare un contributo positivo alla comunità”. Secondo monsignor Pizzaballa, si tratta “di una barriera reale che ha bisogno di essere presa in considerazione, soprattutto pensando alla generazione futura, che vuole essere protagonista della vita della Chiesa, e non solo esecutrice di ordini e direttive”.
L’ascolto reciproco
Il patriarca di Gerusalemme ha poi parlato del divario generazionale tra chi “guarda con nostalgia al passato e rimpiange un modello di Chiesa e di comunità che oggi sembra non esserci più”, dimenticando però “di vivere con serenità cristiana il presente”, e i giovani che “desiderano cambiare anche quello che forse non ha bisogno di essere cambiato”. Entrambe le posizioni, ha evidenziato, sono “fughe dal presente”, mentre quanto viene chiesto nella Chiesa “è ascoltarsi reciprocamente grati per quanto è stato fatto fino ad ora e aperti a nuovi cammini secondo la Grazia di Dio”. Il presule ha inoltre evidenziato la “distanza tra la componente locale e quella universale della Chiesa di Gerusalemme”, ossia la “tentazione”, diffusa in tutti i territori compresi nel Patriarcato, “di considerare la componente universale come ‘ospite’ e non come parte integrante della Chiesa”, o, per altro verso, di considerare “la componente locale come irrilevante, superata o, addirittura, in estinzione”, quando invece, ha affermato, queste due anime “devono sostenersi l’un l’altra, entrambe necessarie, entrambe costitutive dell’identità e della storia della nostra Chiesa”.
Il cuore in Cristo
Altre barriere sono poi rappresentate dalle quattro identità nazionali della diocesi: Giordania, Israele, Palestina e Cipro, “spesso costruite contro o in antitesi”, anche a causa del contesto conflittuale in cui vive la Chiesa locale, e le diversità linguistiche che sono “una ricchezza incredibile, ma anche un ostacolo non minore per l’incontro e la condivisione”. Monsignor Pizzaballa ha quindi evidenziato che il comune denominatore di tutte queste difficoltà è l’individualismo, “diventato centrale” anche nella Chiesa di Gerusalemme. La via per superarle e per migliorare è dunque “partire dalla nostra relazione con Cristo e non dalle nostre necessità, porre il nostro cuore nel cuore di Cristo, leggere la nostra realtà anche ecclesiale alla luce della Parola di Dio. Non si vive senza amore e l’amore dal quale partire – ha concluso il patriarca – è l’amore di Colui che ha dato la vita per noi e per la nostra salvezza”.