A 200 anni dalla morte di Papa Chiaramonti, il 20 agosto 1823, un articolo su L’Osservatore Romano di padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, ripercorre la storia del pontificato, dalla riforma degli Stati pontifici al confronto con la Francia napoleonica
di Bernard Ardura*
Ben avvisato delle circostanze eccezionali nelle quali avrebbe dovuto svolgersi il conclave chiamato a eleggere il suo successore, Pio VI aveva deciso che esso sarebbe stato convocato dal cardinale più anziano, sulle terre di un principe cattolico, ove avrebbe potuto riunirsi più facilmente il collegio cardinalizio.
Il cardinale decano Albani, rifugiato a Venezia, territorio austriaco dal 1797, optò per porre il conclave sotto la protezione dell’imperatore Giuseppe ii. I cardinali si riunirono sull’isola di san Giorgio, il primo ottobre 1799, in numero di 35 dei quali 30 italiani, su 46 cardinali viventi. Rapidamente, due partiti si opposero: gli uni, preoccupati di adattarsi alla nuova congiuntura e di non rompere i ponti con la Francia, gli altri, intransigenti circa la conservazione dell’eredità del passato e confidenti nell’aiuto dell’Austria per tenere testa alla Francia e restaurare lo Stato pontificio. I primi, raggruppati attorno al nipote del Papa defunto, Braschi, spinsero il loro delfino, il cardinale Bellisomi, che si avvicinò ai due terzi dei voti; i secondi, capeggiati dal decano Antonelli e appoggiati dal cardinale Maury, rappresentante di Luigi xviii in esilio, e dal cardinale austriaco Herzan, incaricato di recare il veto imperiale contro qualsiasi candidato sospetto di tiepidezza verso Vienna, avevano come candidato il cardinale Mattei.
Il cardinale Herzan si oppose in modo maldestro all’elezione praticamente assicurata di Bellisomi e tentò di imporre Mattei con la forza. La maggioranza ne fu indisposta e il conclave si trovò paralizzato per tre mesi, mentre la Chiesa aveva necessità di un’elezione rapida. Il cardinale Chiaramonti aveva sempre votato con la maggioranza, ma non si era mai compromesso con una delle due fazioni. Ercole Consalvi, segretario del conclave, giocò certamente un ruolo chiave nello svolgimento dell’elezione. Infatti, egli immaginò una soluzione di compromesso, proposta dal cardinale Ruffo al capo della minoranza Antonelli: votare per il cardinale Chiaramonti.
Le due parti si accordarono alla veglia dell’ultimo scrutinio. Se ne avvertì il futuro eletto, che si ritirò nella sua camera e lasciò gli eventi procedere secondo il volere della Provvidenza. Nella serata del 13 marzo, il Papa venne eletto con la maggioranza piena.
A differenza dei suoi predecessori, Pio VII, cinquantottenne al tempo della sua elezione, era un uomo di dottrina e un pastore, intellettualmente aperto e preoccupato di dare la priorità agli interessi della Chiesa. Coraggioso e comprensivo, solidamente formato alla scuola benedettina, egli avrebbe dovuto affrontare i gravi problemi che una società europea in piena trasformazione andava ponendo alla Santa Sede e alla Chiesa tutta.
Un anonimo testimone del conclave, il cui Diario è stato recentemente pubblicato, certamente anch’egli benedettino a San Giorgio Maggiore, non ha mancato di raccontare come il nuovo Pontefice celebrò la messa della sua incoronazione: «Giunto davanti all’altare diede principio alla messa solenne celebrata con una compostezza, con un raccoglimento, con una maestà, con una dignità che eccitava devozione e venerazione in tutto il popolo che attentamente lo osservava».
Il benedettino, autore di questo Diario del conclave, non contiene la sua esultanza interiore e si attarda con piacere nel sottolineare che il 26 marzo, giorno dell’ottava della solennità di san Benedetto, patriarca dei monaci d’Occidente, venne cantata una messa solenne, seguita dal Te Deum, nell’abbazia benedettina di San Giorgio Maggiore. Officiò monsignor Arnaldo Speroni, monaco benedettino, vescovo di Adria. «Di tutto ciò — egli scrive — se ne compiace moltissimo il Santo Padre, cioè che un vescovo pure benedettino si presti a ringraziare l’Altissimo Dio Signore per un fatto tanto singolare e inaspettato, e tanto rimarcabile, quanto questo della elezione di un Papa benedettino, seguita in una città rimota da Roma, e in un monastero di monaci benedettini: tutto veramente è rimarcabile e tutto ammirabile e singolare».
In condizioni press’a poco simili a quelle che faranno, nel 1903, di monsignor Rafael Merry del Val il segretario del conclave e il segretario di Stato di Pio x, monsignor Consalvi venne scelto come segretario del conclave, in assenza del titolare, monsignor Pietro Negroni, restato a Roma occupata dall’armata francese dal 10 febbraio 1798. La divisa di Consalvi, frutto di una lunga esperienza nella Curia romana, era: «Adattati ai tempi!». Dietro suo consiglio, Pio VII rifiutò l’invito dell’imperatore Francesco ii di recarsi a Vienna e decise di ritornare il più presto possibile a Roma.
Sul piano dell’amministrazione, il Papa e il segretario di Stato intrapresero una restaurazione dello Stato pontificio rovinato e disorganizzato da tre anni di disordini provocati dalle guerre rivoluzionarie. Pio vi, ai suoi tempi, aveva progettato una riforma economica dello Stato, ma non aveva potuto condurla a buon fine. Pio VII si associò alle idee di Consalvi, che seppe circondarsi di prelati coscienti della posta in gioco rappresentata da tali riforme in un Paese ridotto a una grande povertà e mal gestito. Pio VII e Consalvi, nella loro opera di riforma moderata, non incontrarono tuttavia soltanto consensi. Tra i membri del Sacro Collegio e tra i prelati romani, non mancarono le opposizioni e le critiche a una riforma che implicava dei cambiamenti rilevanti. Anche la nobiltà, per la quale Pio VII aveva creato, l’11 maggio 1801, la Guardia Nobile, era lontana dall’essere soddisfatta poiché si considerava esclusa dalle più importanti cariche pubbliche.
Parallelamente a queste riforme, Consalvi firmò, dopo tredici mesi di difficili negoziazioni, un Concordato con la Francia, poi un altro con la Repubblica cisalpina. Nel 1804, egli persuase Pio VII di accettare di recarsi a Parigi per incoronare imperatore Napoleone Bonaparte. Tuttavia, Napoleone considerava Consalvi suo nemico e, attraverso l’intermediazione del cardinal Fesch, chiese con insistenza la sua uscita di scena. Nel 1806 Pio VII finì per cedere: il 17 giugno, Consalvi lasciò la segreteria di Stato.
Sul piano interno, le resistenze ebbero ragione delle riforme volute da Pio VII e dal suo segretario di Stato. Da quando Pio VII, eletto il 14 marzo 1800, salì sul trono di San Pietro, egli era cosciente della posta in gioco rappresentata dalla Francia e dalla regolarizzazione degli affari religiosi di questo Paese, il primo della cattolicità che, da un decennio, aveva rivoluzionato l’Europa, perseguitato o costretto all’esilio migliaia di ecclesiastici e di religiosi, si era sforzato di estirpare la fede e le sue pratiche dalla società, e aveva anche decimato la Chiesa costituzionale, sua creatura, che aveva istituita quale Chiesa nazionale, per sostituirla alla Chiesa cattolica romana.
Incoraggiato dalle sue vittorie e dalle sue conquiste, Napoleone vincitore dell’Austria e della Russia ad Austerlitz nel 1805, e della Prussia a Iena nel 1806, sviluppò una strategia europea di lotta contro l’Inghilterra. Ci si rese conto allora che l’anello debole di questo sistema napoleonico era in Italia. Siccome Napoleone intendeva unificare il governo dei suoi Stati, introdusse il codice civile francese — compreso il divorzio — nel Regno d’Italia. Pio VII protestò, e come rappresaglia Napoleone fece occupare il porto di Ancona, piazzaforte delle Marche.
Il 15 febbraio 1806, Napoleone ordinò alle sue armate di dirigersi su Napoli, attraversando senza autorizzazione lo Stato pontificio allo scopo di cacciare i Borboni e installare a capo del Regno di Napoli suo cognato Murat. Egli occupò, nello stesso tempo, il porto di Civitavecchia ed chiese l’espulsione da Roma degli agenti inglesi, russi e sardi.
La situazione andava precipitando: a partire dal 1806 Pio VII rifiutò di dare l’investitura canonica ai vescovi nominati da Napoleone. Mentre si svolgevano delle negoziazioni tra la Francia e la Santa Sede su questo argomento, l’imperatore perseguì il suo progetto in Italia e introdusse, nel 1807, il catechismo imperiale nella penisola. Le violente polemiche suscitate da questa imposizione si sedarono, il 21 gennaio e il 2 aprile 1808, con l’annessione di una parte dello Stato pontificio al Regno d’Italia. Ciò condusse diversi vescovi a rifiutare di prestare giuramento all’imperatore.
Napoleone ordinò quindi al generale de Miollis di entrare a Roma, mentre Pio VII si rinchiuse nel palazzo del Quirinale.
I cardinali che non erano nati nello Stato pontificio furono espulsi e l’esercito pontificio venne incorporato all’esercito imperiale. Il 16 maggio 1809 Napoleone firmò a Schönbrunn il decreto imperiale che annetteva lo Stato pontificio all’impero. Il 10 giugno Pio VII pubblicò la bolla Quam memorandum, con la quale scomunicava segretamente l’imperatore. La bolla di scomunica circolò comunque rapidamente, specialmente in tutti i centri di opposizione. Napoleone decise allora di far rapire il pontefice. La notte tra il 5 e il 6 luglio 1809, il generale Radet assaltò il Quirinale con 500 uomini. Pio VII, che vietò agli Svizzeri di resistere per difendere la sua persona, lasciò Roma rivestito del rocchetto, della mozzetta e della stola, in compagnia del solo cardinal Pacca. Durante il viaggio, lungo e faticoso, sotto il sole estivo, la folla scoprì l’identità del passeggero e gridò: «O Iddio! Iddio! Cosa permette! Cosa grande! Pazienza!» a cui il Papa risponde: «Coraggio e orazione».
Durante gli undici giorni trascorsi a Grenoble a partire dal 21 luglio, Pio VII diede la sua benedizione, ogni sera, a una folla numerosa che lo acclama. Solamente il 24 agosto il Papa arrivò a Savona, in Liguria, ove restò prigioniero fino al 1812, isolato e sorvegliato dal prefetto Chabrol.
A causa dei propri eccessi, Napoleone sottovalutò la persona e il carattere di Pio VII. Egli non realizzò quanto il Papa fosse popolare e soprattutto non comprese che i viaggi interminabili imposti al Pontefice offrivano a delle folle numerose e soprattutto alla gente del popolo di vedere, per la prima volta, d’incontrare e toccare il Papa, come ci testimoniano le immagini devote e le stampe dell’epoca, che fecero entrare il volto del Papa in innumerevoli famiglie italiane e francesi.
Alla vigilia della campagna di Russia, Napoleone ordinò il trasferimento di Pio VII a Fontainebleau. Partito da Savona il 9 giugno 1812, il convoglio arrivò a destinazione il 19 giugno. Immediatamente, il Papa venne isolato negli appartamenti che aveva in precedenza occupato in occasione della sua venuta per la incoronazione di Napoleone.
L’imperatore ce la mise tutta per dare l’impressione che il Papa si trovasse a Fontainebleau di sua propria volontà e che fosse trattato con onore. Egli cercò in tutti i modi di attirarsi le grazie del Pontefice per potergli estorcere un nuovo Concordato. Tuttavia, Pio VII sembrava totalmente estraneo al fasto che l’imperatore gli fece effondere intorno. Il Pontefice rifiutò di uscire per qualche passeggiata a piedi o in carrozza. In effetti, fece al massimo qualche passo nella galleria di Francesco i. Il Papa visse una solitudine volontaria, tutta monastica, e fu anche molto riservato nei riguardi dei funzionari del palazzo.
Pio VII era fisicamente e moralmente sfinito. Inoltre, ed è bene insistere su questo elemento, il suo entourage — essenzialmente italiano — non solo non gli era di alcun soccorso, ma lo incoraggiava anche a cedere all’imperatore. Il 23 gennaio 1814, Pio VII riunì i suoi prelati e ingiunse loro di non accettare di sottoscrivere alcun documento, di non partecipare ad alcuna cerimonia pubblica, di non rispondere ad eventuali proposte di trattare affari spirituali o temporali della Chiesa, «poiché tale è la Nostra assoluta e ferma volontà». Ironia della sorte, tre mesi più tardi, Napoleone, sconfitto, rivolgeva il commiato ai suoi soldati, nella corte del medesimo castello di Fontainebleau!
Dal 23 gennaio al 24 maggio del 1814 si svolse il trionfale viaggio di rientro di Pio VII a Roma: attraverso il sud-ovest e il midi della Francia, poi via Savona, Bologna, Imola, Cesena, Ancona, Fano, Loreto, Macerata, Tolentino, Foligno, Spoleto, Terni e Nepi, fino alla città eterna.
Il 17 maggio, Pio VII aveva richiamato il cardinal Consalvi alla segreteria di Stato, dove il porporato andò a formare un duo col cardinal Pacca. Mentre Consalvi negoziava con i sovrani regnanti una sapiente politica di Concordati, Pacca si consacrò alla restaurazione spirituale e materiale della Chiesa romana e del governo pontificio. Il Papa, che si era mostrato intransigente con Napoleone e con gli altri sovrani quanto alla sua autorità temporale, lasciò ad altri, più competenti, la ripresa concreta dello Stato pontificio. Se Pacca non era uomo versato per intraprendere profonde riforme assolutamente necessarie, Consalvi, genio diplomatico, offrì allo Stato pontificio un mezzo secolo di tregua, ma non poté condurre a termine la lotta contro il processo di fossilizzazione amministrativa, favorito da una restaurazione che conservava come modello lo Stato anteriore alla Rivoluzione e come ideale la situazione ai tempi di Pio VI.
Tra le misure più rilevanti adottate da Pio VII dopo il suo rientro a Roma, la bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum del 7 agosto 1814, con la quale restaura universalmente la Compagnia di Gesù, abrogando così il breve Dominus ac Redemptor di Clemente xiv del 21 luglio 1773, ebbe un notevole significato e pose un sigillo all’opera intrapresa dal Pontefice dall’inizio del suo Pontificato.
Il 7 marzo 1801, Pio VII aveva già emanato il breve Catholicae fidei, con il quale aveva dato riconoscimento ufficiale alla Compagnia di Gesù in Russia, la quale contava circa duecento membri posti sotto la protezione di Caterina ii, che non aveva mai accettato il breve di Clemente xiv. Questo riconoscimento sortì un effetto attrattivo considerevole e affluirono le richieste per ottenere un’affiliazione al gruppo russo. Pio VII approvò molte richieste provenienti da Svizzera, Belgio, Olanda e Inghilterra. Il Papa era convinto dell’utilità dei gesuiti per garantire la ricostruzione religiosa dopo la rivoluzione. Ciò spiega perché Pio VII insistette tanto sull’obbiettivo di istruire la gioventù nella religione cattolica e di formarla ai buoni costumi nei collegi e nei seminari.
Accanto al ripristino dei Gesuiti, la restaurazione degli ordini religiosi nello Stato pontificio fu un altro importante obiettivo che Pio VII si pose. Preoccupato della restaurazione della Chiesa nei differenti Paesi europei, Pio VII seguì i consigli di coloro che erano preoccupati del progresso delle idee ereditate dal secolo dell’Illuminismo. Per questo motivo, egli condannò la massoneria il 21 settembre 1821, così come aveva messo in guardia contro le società bibliche il 29 giugno e il 3 settembre 1816, sospette, a causa delle loro origini protestanti, di propagare l’indifferentismo.
Il Papa incoraggiò l’organizzazione delle missioni parrocchiali, dei ritiri per il clero, pellegrinaggi e processioni, e promosse le confraternite di laici attraverso la concessione di indulgenze. Aumentò il numero delle feste della Madonna così come rilanciò i processi di canonizzazione. Nel corso dei suoi ultimi anni, il Papa si rimise volentieri al cardinal Consalvi per tutto quanto concerneva l’orientamento della politica ecclesiastica.
Il benedettino Barnaba Gregorio Chiaramonti si spense il 20 agosto 1823, all’età di 81 anni, tre settimane dopo il gigantesco incendio che distrusse la basilica di S. Paolo fuori le Mura, che gli era così cara.
Il bicentenario dell’elezione di Chiaramonti alla cattedra di San Pietro ha offerto l’occasione, nel marzo del 2000, a monsignor Dante Lanfranconi, al tempo vescovo di Savona-Noli, di prendere l’iniziativa, a nome dell’episcopato ligure, di chiedere alla Congregazione delle Cause dei santi il suo parere su una eventuale introduzione della Causa di Beatificazione di Pio VII. Il 24 febbraio 2007, la Congregazione ha concesso il Nihil obstat per l’introduzione della Causa di Beatificazione di Pio VII che, in tempi burrascosi, amava dichiararsi «vicario del Dio della pace».
* Presidente Pontificio Comitato di Scienze Storiche