Si intensificano e si allargano a macchia d’olio le proteste antigovernative nel Paese che sta attraversando uno dei momenti più critici degli ultimi decenni. Oltre 50 le vittime e le associazioni per la difesa dei diritti umani denunciano l’uso di armi da parte degli agenti
Emanuela Campanile – Città del Vaticano
È considerata la crisi politica più grave degli ultimi decenni e le vittime, in totale, sono salite a 53, comprese quelle degli scontri di ieri tra manifestanti e polizia nella città di Macusani – sud del Perù – dopo che i manifestanti hanno dato fuoco alla stazione di polizia e all’ufficio giudiziario.
Dalle zone rurali a tutto il Paese
L’ondata di rabbia esplosa dopo l’arresto, il 7 dicembre scorso, del presidente Castillo, accusato di corruzione, è partita dalle zone rurali e in seguito è dilagata in diverse città del nord e del sud del Paese. I manifestanti chiedono non solo le dimissioni della presidente ad interim, Dina Boluarte, ma anche la chiusura del Congresso ed elezioni immediate.
La violenza e il rimpallo di responsabilità
Intanto, le associazioni per i diritti umani sostengono che le autorità abbiano usato il pugno di ferro contro i manifestanti, facendo ricorso alle armi da fuoco. L’esercito, riportano alcune agenzie di stampa, sostiene invece che siano gli stessi manifestanti ad aver usato armi ed esplosivi improvvisati.
30 giorni di stato d’emergenza
Nel fine settimana, il governo del Perù ha esteso lo stato di emergenza di 30 giorni nella capitale Lima, nelle regioni di Cusco, Puno e nella provincia costituzionale del Callao. Lo stato di emergenza sospende diversi diritti costituzionali come la libertà di movimento e la creazione di assembramenti.