Chiesa Cattolica – Italiana

Perdonanza, il cardinal Petrocchi: L’Aquila “capitale del perdono”

Le celebrazioni della ricorrenza celestiniana nel capoluogo abruzzese entrano nel vivo dopo la cerimonia per l’arrivo del fuoco del Monte Morrone. Il cardinale Petrocchi: percorriamo la strada indicataci l’anno scorso da Papa Francesco

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

La città dell’Aquila sta vivendo pienamente i vari riti che preparano alla Perdonanza vera e propria, cioè la celebrazione voluta da Papa Celestino V nel 1294. Due giorni fa è giunto nel capoluogo abruzzese il fuoco proveniente dall’Eremo di Sant’Onofrio, sul Monte Morrone. Proprio lì Pietro Angelerio ricevette la notizia dell’elezione al soglio di Pietro. Un corteo notturno illuminato dalle torce e guidato da due re, Carlo II d’Angiò e il figlio, suo successore, Carlo Martello, portò il neoeletto Pontefice nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, all’Aquila, dove venne incoronato. E la cerimonia del fuoco vuole ricordare proprio quell’evento.

Attualità della Perdonanza

L’arcivescovo dell’Aquila, il cardinale Giuseppe Petrocchi, nell’occasione ha parlato del significato fortemente simbolico di questo rito, che vuole lanciare messaggi di pace e unità non solo localmente, ma al mondo intero. Il porporato, nell’intervista concessa a Radio Vaticana – Vatican News, ha messo in evidenza la valenza profetica della figura di Celestino V. Istituendo la Perdonanza, ci ha lasciato in eredità qualcosa di veramente indispensabile ancor oggi: il perdono, la conversione, la riconciliazione, la pace. Concetti ribaditi da Papa Francesco lo scorso anno, quando il Pontefice celebrò personalmente l’apertura della Porta Santa della Basilica di Collemaggio. Anche quest’anno, il 28 e 29 agosto prossimi, la Porta verrà aperta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, e sarà possibile lucrare l’indulgenza plenaria, entrando dalla Porta Santa, confessandosi e accostandosi all’Eucarestia.

Ascolta l’intervista con il cardinale Giuseppe Petrocchi

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/08/24/14/137277842_F137277842.mp3

Cardinale Petrocchi, l’anno scorso Papa Francesco all’Aquila indisse l’anno giubilare del perdono che si è concluso proprio in questi giorni. Quali frutti ha generato l’iniziativa del Santo Padre?

Anzitutto è stato messo in cantiere il progetto che Papa Francesco ci ha affidato, quello cioè di rendere L’Aquila ‘Capitale del Perdono’. Si tratta di una definizione che onora la comunità ecclesiale e civile aquilana, ma al tempo stesso la responsabilizza e la impegna, ne disegna l’identità e anche ne chiarisce la missione. Quest’anno abbiamo visto l’afflusso di tanti pellegrini che sono venuti non solo per ottenere l’indulgenza plenaria, ma per fare esperienza di conversione, rimodulandosi sulle linee guida del Vangelo. Un altro aspetto fondamentale è stata la riscoperta della figura di Celestino V.

Io ho detto che era necessario depurare questa immagine importante da incrostazioni culturali che nel tempo si sono depositate, deformandone la fisionomia spirituale umana.

Bisogna invece liberare il campo dagli stereotipi, cioè da quei giudizi sommari e distorsivi che non consentono di cogliere la verità sulla persona e sull’opera di Celestino V. Una delle narrazioni deformate è quella (dantesca) del ‘gran rifiuto’, tesi giustamente smantellata proprio qui all’Aquila nella Perdonanza del 2022 da Papa Francesco, che, nel corso dell’omelia tenuta durante la messa celebrata sul piazzale della Basilica di Santa Maria in Collemaggio, ha dichiarato che  “erroneamente Ricordiamo la figura di Celestino V come colui che fece il gran rifiuto, mentre Celestino V non è stato l’uomo del no, ma è stato l’uomo del sì”. Riscoprire la figura di Celestino, dunque, significa poter attingere in modo sempre più profondo al suo insegnamento e riferirsi al suo esempio. Quindi direi quest’anno ha visto concentrata l’attenzione della nostra Chiesa, ma anche della città dell’Aquila, sul riproporre la Perdonanza come valore universale e non soltanto come una celebrazione zonale e poter riscoprire e far conoscere la figura di Celestino V come figura profetica, che apre scenari importanti anche nella cultura contemporanea.

La Perdonanza è iniziata, come da tradizione, con l’arrivo del fuoco dal Monte Morrone, lì dove Celestino V, al secolo Pietro Angelerio, viveva come anacoreta…

Il fuoco della Perdonanza viene acceso non soltanto al centro della città dell’Aquila, ma anche nel cuore del mondo. È fondamentale sottolineare questo dinamismo, perché si tratta di un fuoco sacro, un fuoco che è suscitato dallo Spirito Santo. Come nella Pentecoste, questo unico fuoco si moltiplica in tante fiamme individuali che, mantenendo la loro appartenenza alla stessa fonte, si concentrano però in un effetto unitario. Così l’esperienza della Perdonanza chiama le persone a rendersi responsabili di questa straordinaria impresa cristiana e umana di essere costruttori di pace nel proprio cuore, perché è da lì che bisogna partire: costruttori di pace nelle relazioni interpersonali, in famiglia in modo speciale, e negli ambiti sociali, ma anche costruttori di pace a livello planetario, perché la pace va invocata come dono di Dio, sempre, in particolare in questo tempo in cui assistiamo al moltiplicarsi dei conflitti nel mondo.

Pace, perdono, riconciliazione. Che legame c’è?

È un legame che l’insegnamento dei Pontefici dell’ultimo secolo ha fortemente evidenziato, perché non c’è pace senza la giustizia, ma non c’è giustizia senza perdono. E perdono non vuol dire far finta di niente, spostare le problematiche in un angolo. Marginalizzare il perdono non è dimenticare a basso costo, cercare riconciliazioni a scapito della verità e del bene. Perdono vuol dire far trionfare l’amore. E l’amore risponde sempre al male, in quanto è un bene più grande. Quindi il perdono è virtù, è capacità di affrontare le situazioni, non di essere retrocessi, ma capacità di superare le situazioni difficili, con la sicurezza che ciò che è secondo il Vangelo è anche autentica promozione dell’uomo nella sua integralità. Quindi perdono e pace sono termini che devono procedere agganciati, altrimenti non avremo delle paci autentiche, avremo delle paci facilmente esposte a compromessi. Avremo tregue, cioè sospensione di conflitto, invece che raggiungimento autentico di una concordia duratura.

Questa edizione della Perdonanza celestiniana avviene a poche settimane dal Sinodo sulla sinodalità. C’è un nesso tra questi due eventi?

Certamente. Dobbiamo distinguere nella sinodalità due aspetti. Uno è costruire relazioni improntate al dialogo, alla sinergia, che consentano a una comunità di esprimere il meglio di sé, di oltrepassare il ‘già fatto’ e di protendersi verso un ‘non-ancora’ che però è carico di speranza. Ma questa attività risulterebbe non praticabile se mancasse l’anima della sinodalità, che è la carità e la carità, come l’ha definita san Paolo, è l’amore che sa perdonare, che sa andare al di là delle fratture che si possono provocare. La carità sa ripartire sempre con fiducia. La carità è costruire ponti, anche là dove gli egoismi scavano fossati. Allora non ci può essere vera sinodalità senza la misericordia e la misericordia va essa stessa chiesta, perché noi non siamo capaci di perdono integrale se non è Dio che ci viene incontro con la redenzione che accende in noi questa prontezza a essere veri del suo sì a noi.

In questi anni la Perdonanza è riuscita a lenire, a curare le piaghe di una città come L’Aquila, ferita dai recenti terremoti?

Io, venendo qui, ho come intuito che c’erano due terremoti con i quali confrontarsi. Uno che ha demolito gli edifici, che ha provocato vittime, e un altro terremoto, però meno visibile, ma non meno distruttivo, che ho definito terremoto dell’anima, che ha determinato ferite nella mente, nel cuore, nelle relazioni delle persone, nella percezione del tempo. Perché si è determinata una sorta di barriera tra il prima e il dopo nei confronti dell’avvenire che viene per così dire, oscurato da questo senso di esposizione a drammi sui quali non riusciamo ad essere in alcun modo preventivi. E la Perdonanza rappresenta una esperienza che può accendere la consolazione nell’interiorità profonda delle persone e riconciliarsi anche con esperienze di sofferenza acute, perché il perdono è illuminato dall’annuncio della Pasqua. Ogni croce, che viene portata in Gesù e con Gesù, si apre alla risurrezione. Dio non ci abbandona ad un destino oscuro, ma fa sì sempre che anche nelle esperienze più difficili si apra per noi la porta della novità e della pienezza che solo lui può darci.

E anche questa è l’attualità di Celestino?

Sì, è anche questa l’attualità di Celestino. Perché Celestino è un instancabile proclamatore della presenza di Dio nella storia. E questa azione del Signore nel tempo ci garantisce che, al di là dei nostri limiti, possiamo sempre scrivere pagine belle con la sapienza del Vangelo, pagine della nostra vita degne di essere raccontate.

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