Chiesa Cattolica – Italiana

Perché l’Onu lascia dopo 13 anni il Darfur

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Iniziata nel 2007, ha visto schierati fino a 26mila caschi blu per garantire pace e sicurezza in Darfur. Da poche ore la missione Unamid, che ha visto impegnate insieme le Nazioni Unite e l’Unione Africana, è terminata, non essendo stata rinnovata alla data di scadenza, lo scorso 31 dicembre. Dieci giorni fa, martedì 22 dicembre, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha infatti adottato la risoluzione 2559 che chiude la missione di pace e lascia al governo di transizione del Sudan il compito di mantenere la sicurezza nel Darfur.

Il Darfur

Un conflitto, quello in Darfur, iniziato nel lontano 2003 con il deflagrare del conflitto fra i ribelli della regione occidentale del Sudan e l’esercito di Khartoum il 26 febbraio del 2013. La stessa zona era già stata devastata da una guerra civile tra il 1985 e il 1988, quando i contadini di etnia Fur si erano scontrati con bande armate arabe provenienti dalla valle del Nilo, i cosiddetti “janjawid” e con truppe del Ciad e della Libia, nel quadro della generale crisi del Sudan che portò al colpo di stato islamico-militare del 1989. Nel 2007 nascono le milizie Janjawid, militanti islamisti reclutati tra i nomadi arabi – i baggara – che nel giro di poco tempo avviano una vera e propria carneficina ai danni della popolazione nera originaria del Darfur. Si formeranno allora l’esercito di liberazione del Sudan ed il Movimento per l’Uguaglianza, le due principali forze di opposizione ai Janjawid. Dal 2003 secondo le stime dell’Onu, sono morte in combattimento oltre 300mila persone, mentre quelle sfollate sfiorano i tre milioni.

Il problema sono le armi

“Dobbiamo ricordare che le persone lo scorso mese hanno a lungo protestato contro la decisione di interrompere la missione, ora la speranza è che il governo di transizione faccia meglio rispetto a quanto accaduto in passato”. Lo afferma nell’intervista a Vatican News padre Giulio Albanese, missionario comboniano, giornalista, per lungo tempo in Africa.

Ascolta l’intervista a padre Giulio Albanese

“La vera questione – prosegue – è che in Darfur ad oggi ci sono troppe armi e di conseguenza numerosi gruppi armati”. “Stiamo parlando – conclude – di una regione ricca di petrolio, dove potrebbe esserci benessere se solo si lavorasse in tal senso. Dunque massima prudenza e speranza”.

Il governo sudanese

Spetta dunque al governo di transizione sudanese garantire la pace e la stabilità in Darfur, dopo la destituzione dell’ex presidente Omar al-Bashir, avvenuta l’11 aprile 2019. Lo scorso mese gli Stati Uniti hanno tolto il Sudan dalla lista dei Paesi che considerano promotori e finanziatori del terrorismo internazionale. Lista nella quale si trovava da 27 anni. A dare la notizia è stata l’ambasciata degli Stati Uniti a Khartoum. Tutto ciò due mesi dopo un’altra notizia annunciata sempre da Washington, vale a dire che il Sudan avrebbe riconosciuto Israele, diventando il terzo grande Paese a maggioranza musulmana a farlo, dopo Emirati Arabi Uniti e Bahrein (seguito poi il 10 dicembre dal Marocco). Israele e Sudan avevano detto in un comunicato congiunto che le loro prime relazioni sarebbero state sul fronte economico e commerciale, concentrandosi inizialmente sull’agricoltura.

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