Per non perdere la stella. Il sonno dei Magi

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Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Oltre alle consuete immagini dei Magi in adorazione oppure quella poco nota del loro viaggio, di andata per terra a piedi o a cavallo, e di ritorno per mare su una barca, vi è una terza iconografia molto particolare che viene riconosciuta nel versetto di Matteo: Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese (2,12).

I Magi, simbolo di dinamismo

Siamo abituati a pensare ai Magi emblema dell’uomo moderno, l’uomo in continua ricerca, in movimento. Anzi la dinamicità è un loro tratto distintivo, basti pensare alla bellissima cavalcata sul rilievo del campanile del duomo di Fidenza, datato al XII secolo, accompagnata anche dall’indicazione del nome di ciascuno: Melchiorre in testa, il più anziano con una lunga barba, Baldassarre, l’uomo maturo, anche lui barbato ma dai tratti più vigorosi, Gaspare, privo di barba e dai tratti giovanili. Anche quando sono arrivati alla meta, di fronte al Bambino, nella scena di adorazione, sono ritratti mentre si avvicinano protendendo le braccia, quasi a far presto, oppure hanno posture, per ciascuno diversa, come fotogrammi successivi che delineano il gesto di arrivare, inchinarsi e infine prostrarsi. Così la rappresentazione dei Magi abbandonati al sonno ci appare inconsueta e affascinante.

L’angelo e la stella

Nel sonno dei Magi, la presenza dell’angelo non è specificata da Matteo ma, riferendosi a Giuseppe nel versetto successivo (2,13), sollecitato a fuggire con la famiglia in Egitto, ne parla esplicitamente. Così, per traslato, si pensa che l’angelo del Signore sia stato presente anche nella scena dei Magi dormienti. Più probabile invece è che la rappresentazione sia stata ispirata dai Vangeli apocrifi dove, come di consueto, il racconto asciutto di Matteo viene arricchito di particolari: nel Protovangelo di Giacomo e in quello dello Pseudo-Matteo si parla di un angelo (XXI, 4 e XVI, 2), mentre in quello dell’Infanzia arabo Siriaco di un angelo sotto forma di stella (VII).

Il sonno dei Magi

La rappresentazione più famosa del sonno dei Magi è certamente quella scolpita su un capitello proveniente dalla Cattedrale di Saint-Lazare ad Autun. Opera di Gislebertus, scultore e architetto francese, attivo nella prima metà del XII secolo, fa parte di una serie di figurazioni con temi dall’Antico e dal Nuovo Testamento. I re dormono uno accanto all’altro sotto una coperta circolare finemente decorata. Portano la corona e ciascuno è ben riconoscibile. Il più giovane è al centro imberbe, il più anziano porta la barba e quello di mezza età i baffi. Due di loro hanno gli occhi chiusi, immersi nel sonno, il terzo invece tiene gli occhi aperti, anzi sbarrati come svegliato di soprassalto. Nelle sue pupille vuote doveva esserci una pietra brillante. Un angelo gli tocca un braccio mentre con l’altra mano indica la stella.

Iconografia diffusa

Questa figurazione non è isolata. Ricorre spesso, con poche varianti, accanto all’adorazione, ad esempio in diversi codici miniati, in un altro capitello proveniente dalla Linguadoca e ora al Metropolitan Museum di New York, del 1135-50, purtroppo poco conservato, dove l’angelo sovrasta i tre re con un abbozzo prospettico ingenuo ma ardito; in un mosaico della volta del Battistero di Firenze, attribuito al Maestro di Maddalena e datato alla fine del Duecento; nella basilica di Sant’Abbondio a Como, in un affresco dai colori vividi, opera del maestro di Sant’Abbondio e datato tra il 1315 e il 1324;  nell’angolo della lunetta del portale dell’abbazia di San Mercuriale a Forlì e, infine, nel pulpito della chiesa di Sant’Andrea di Pistoia, opera di Giovanni Pisano e databile tra il  1298-1301. Quest’ultimo, pur rispettando il consueto schema irrompe con una plasticità classica: sembra di vedere in chiave cristiana un sarcofago di età ellenistica. 

La “santa furbizia” dei Magi

In queste opere i Magi  non seguono la stella, non guardano verso il cielo, come dice Papa Francesco  che «tengono lo sguardo alto». Sono stanchi, pensano di aver compiuto il loro cammino e di aver trovato ciò che cercavano. Sono paghi, non hanno più il «cuore inquieto». Invece un angelo li sveglia, indica loro un’altra strada per non trovarsi di nuovo faccia a faccia con Erode. E la metafora è chiara: bisogna seguire l’itinerario indicato dalla stella, l’angelo invita a continuare a camminare e seguire la via giusta. Proprio come noi e in ogni tempo. Non dobbiamo mai perdere di vista la stella, anche se pensiamo di averla trovata.

Santa furbizia, la definisce Papa Francesco nell’omelia per l’Epifania del 2104 «Si tratta di quella scaltrezza spirituale che ci consente di riconoscere i pericoli ed evitarli. (…) Questi saggi venuti da Oriente ci insegnano come non cadere nelle insidie delle tenebre e come difenderci dall’oscurità che cerca di avvolgere la nostra vita. Loro, con questa santa “furbizia” hanno custodito la fede. E anche noi dobbiamo custodire la fede. Custodirla da quel buio. (…) Ma la fede è una grazia, è un dono. A noi tocca custodirla con questa santa “furbizia”, con la preghiera, con l’amore, con la carità».