Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Ventisei dipendenti e una trentina di volontari, giovani e meno giovani, impegnati nella prima accoglienza dei profughi ucraini in cinque punti di frontiera, lungo un confine che tra Romania e Ucraina è di 650 chilometri. Li aiutano per i documenti di ingresso nel Paese, per fare eventualmente richiesta d’asilo, nei primi bisogni di pasti e letti, e per un alloggio più stabile. E’ il piccolo “esercito di pace” del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jesuit Refugee Service) in Romania, che nel Centro Padro Arrupe di Bucarest ospita dall’inizio dell’emergenza 75 rifugiati dall’Ucraina, più altre decine in alloggi offerti da benefattori e volontari.
“Decine di famiglie chiamano per offrire ospitalità”
Ma in questa “crisi senza paragoni” – come la descrive il presidente del Jrs Romania, padre Marius Talos – la luce viene dalla mobilitazione del governo rumeno, delle organizzazioni non governative, e soprattutto dalla sensibilità “senza precedenti” della società civile. “Sono decine le famiglie – racconta padre Talos – che ci chiamano per telefono dicendo: ‘Noi abbiamo una stanza, una casa che vorremmo mettere a disposizione per una famiglia ucraina’. E’ una sensibilizzazione che non avevamo incontrato durante le precedenti crisi dei profughi, come quella del Medio Oriente. Spero che da oggi ci sia un aumento della sensibilità anche verso le altre popolazioni in situazione di sofferenza”.
Canzoni per l’Ucraina nel centro di Bucarest
Una mobilitazione di solidarietà, dopo l’arrivo di più di 220 mila rifugiati (90 mila quelli che si sono fermati in Romania), che per il Jrs si è concretizzata in donazioni che in una settimana hanno raggiunto 50 mila euro, molti dei quali sono già stati trasferiti ai rifugiati. Per poter aiutare chi ha perso tutto lasciando un Paese sotto le bombe, il Jrs e altre Ong hanno coinvolto il cantautore inglese Tom Odell, che ha eseguito la sua hit “Another Love” nella stazione nord di Bucarest, tra bandiere e magliette con un cuore giallo e azzurro, i colori della bandiera Ucraina. Tom ha visitato il Centro Arrupe del Jrs e si è trasformato in un volontario del Servizio dei Gesuiti per i Rufugiati per un giorno.
Restituire fiducia nel prossimo a chi ha sofferto tanto
Gli operatori e i volontari del Jrs in Romania offrono kit di benvenuto ai profughi alle frontiere, fanno da interpreti e mediatori tra i donatori privati, le organizzazioni governative e le persone in difficoltà, aiutando le persone a raggiungere gli aeroporti e le stazioni ferroviarie. Il dramma più grande, ci spiega padre Talos, è quello dei bambini arrivati in Romania senza genitori, rimasti in Ucraina per difendere il proprio Paese. “La priorità è restituire a loro, ma anche agli adulti, la fiducia nel prossimo – ci dice il gesuita rumeno – qui non ci sono persone che li vogliono rapire o fare loro del male, ma solo aiutarli a rimettersi in piedi”. E’ fondamentale, inoltre, un maggior coordinamento tra tutti gli enti impegnati nel sostegno alle persone rifugiate, e l’attenzione per tenere fuori da questa gara di solidarietà la corruzione, una piaga alimentata da chi anche in questa tragedia cerca di approfittare per avere vantaggi personali.
Padre Talos (Jrs): “Una crisi senza paragoni”
Nel grande impegno di questi giorni, raggiungiamo padre Talos al telefono a Bucarest, quando ha appena concluso una riunione online con i responsabili degli uffici Jrs dell’Europa Orientale:
Qual è in questo momento, in Romania, la situazione dei profughi dall’Ucraina?
La Romania condivide 650 km di confine con l’Ucraina. Per i profughi ucraini la Romania è soprattutto di transito verso altri Paesi più occidentali europei. Negli ultimi 10 giorni sono passati oltre 220 mila profughi ucraini, e di questi se ne sono fermati, finora, quasi 90 mila, quindi il 40 per cento. Di questi oltre 3500 hanno richiesto asilo per fermarsi in Romania, sia per mancanza di documenti sia perché non hanno possibilità di viaggiare altrove. Quindi ci troviamo di fronte a una crisi veramente senza paragoni, anche con la crisi dei profughi siriani di 7 anni fa, nel 2015.
In questa crisi qual è l’impegno del Jesuit Refugee Service in Romania?
Anche se non siamo un’organizzazione per le emergenze, qui il Jrs assiste i profughi ucraini ai punti di confine, offendo la consulenza giuridica necessaria per fare i documenti, assistendoli nei bisogni sociali e materiali e poi offrendo possibilità di alloggio a Bucarest e in altri punti vicino al confine. Questa triplice azione di intervento trova il Jrs coinvolto al 100 per cento.
E con le altre iniziative dei Gesuiti, state attuando un coordinamento per dare un servizio migliore?
Oltre all’impegno del Servizio per i Rifugiati, i gesuiti in Romania sono coinvolti nella crisi attraverso altri due progetti. C’è un progetto italiano, il Quadrifoglio, fondato da padre Massimo Nevola, un gesuita italiano insieme padre Vitangelo Denora. Loro hanno aperto un gruppo di case famiglia a Sighet, molto vicino alla frontiera con l’Ucraina nel 2000 e adesso queste case sono state trasformate anche in punti di accoglienza per le famiglie ucraine. L’altro progetto è austriaco, chiamato Concordia, nato per alloggiare bambini di strada e adesso offre alloggio a decine di profughi dall’Ucraina. Che non sono sempre ucraini, ma molto spesso sono studenti provenienti dall’India, dal Pakistan, dallo Sri Lanka e altri Paesi asiatici. Infatti coloro che arrivano dall’Ucraina rappresentano diverse etnie e situazioni sociali che vengono prese in carico una ad una.
Qual è in generale l’accoglienza che può fornire il governo della Romania? Come si sta organizzando per accogliere questo grande numero di persone che comunque si fermano anche nel Paese?
Finora sono state organizzate alcune tendopoli di accoglienza presso le grandi città, inclusa Bucarest che ha aperto un centro di accoglienza nella Fiera della capitale e poi in un centro per esposizioni. Nello stadio Arena Nazionale, dietro le gradinate, sono stati ricavati centinaia di posti letto al coperto, per questa ondata dei profughi ucraini. Oltre a questo, diverse organizzazioni non governative si sono messe d’accordo in rete per offrire case e appartamenti ai rifugiati ucraini. E’ bello notare anche una mobilitazione senza precedenti da parte della società civile. Sono decine le famiglie che ci chiamano per telefono dicendo: “Noi abbiamo una stanza, abbiamo una casa che vorremmo mettere a disposizione per una famiglia ucraina”. E’ una sensibilizzazione che non avevamo incontrato durante le precedenti crisi dei profughi, come quella del Medio Oriente. Io spero che ci sia un aumento della sensibilità e della solidarietà anche per le altre popolazioni in situazione di sofferenza.
State anche pensando a un possibile aiuto a lungo termine per le famiglie che volessero poi fermarsi più a lungo se la situazione in Ucraina non migliora? Come si potrà aiutarle?
Certo, un conto è venire incontro ai bisogni di prima emergenza, un altro soddisfare i bisogni di coloro che vogliono integrarsi nella società rumena. Questo presuppone oltre ad un alloggio stabile anche un accesso al mercato del lavoro. Ci sono dei provvedimenti legislativi che offrono le stesse condizioni degli operai e lavoratori rumeni, anche a quelli ucraini. Ci sono scuole e asili nido che si sono organizzati per accogliere i bambini ucraini che, al di là della difficoltà della lingua, hanno così un aiuto per continuare il processo educativo nel nostro Paese. Quindi per loro dal secondo semestre c’è questa possibilità di seguire i corsi e di essere accolti in varie classi degli studenti rumeni. Poi si prospetta anche la possibilità di aprire dei centri culturali e sociali a favore dei gruppi ucraini. Perché non è bene, per chi ha lasciato il proprio Paese, essere isolato, senza contatto con familiari o persone della stessa nazionalità. Noi come Jrs cerchiamo di facilitare l’incontro di diverse persone per organizzare piccole comunità e venire incontro ai loro bisogni.
Lei ha incontrato molti di questi profughi. Che cosa le hanno raccontato? Qual è la loro situazione anche sotto il profilo psicologico?
All’arrivo già dei primi profughi nella stazione centrale di Bucarest, a mezzanotte del primo giorno di guerra, ero molto commosso nel vedere come i volontari prima di entrare in dialogo con loro, offrivano qualcosa di caldo da bere, un posto per sedersi e questi, piano piano, recuperavano la capacità di dialogare. A volte le persone si erano messe in viaggio subito dopo l’inizio del bombardamento subendo uno stress e uno shock che noi non possiamo immaginare. Sono stato colpito da una signora che mi diceva che aveva abbracciato suo marito a Odessa e 19 ore dopo non sapeva se lui fosse ancora in vita. E tanti altri casi di bambini che piangendo chiedevano informazioni sulla situazione dei loro genitori, perché a volte anche le madri sono rimaste in Ucraina, non soltanto i padri. Quindi è una crisi umanitaria e una crisi di fiducia delle persone verso le altre persone. E noi cerchiamo con i nostri mezzi molto limitati di restituire, per quanto si possa, questa fiducia. Facendo capire, soprattutto ai più piccoli, che ci sono tante persone che non li vogliono rapire e non vogliono il loro male, ma vogliono aiutarli a rimettersi in piedi. Rispondere a questa crisi di mancanza di fiducia è una priorità e poi è importante il dialogo tra le varie associazioni per un coordinamento delle iniziative perché oltre alla corruzione che purtroppo danneggia questi interventi a tanti livelli, c’è anche il rischio di una mancanza di coordinamento. Quindi lottiamo contro la corruzione e cerchiamo di coordinarci di più con tutti gli enti che vogliono aiutare i profughi.