Alla Messa con i presuli di prima nomina il sostituto della segreteria di Stato ha detto che cuore della missione di nu pastore è quella di affezionarsi alla bellezza pura e gratuita del seminare per il Regno di Dio “senza farsi condizionare dai risultati”
L’Osservatore Romano
La preghiera e all’annuncio della Parola sono «priorità vitali, mai negoziabili» del ministero episcopale; anche nel tempo attuale, in cui «la complessità e i ritmi non hanno molti riscontri nel passato». Lo ha ribadito l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, durante la celebrazione eucaristica di oggi, venerdì 8 settembre, per i partecipanti al Corso di formazione per i nuovi vescovi. Promosso dal Dicastero per l’evangelizzazione, Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari, presso il Pontificio collegio San Paolo Apostolo, in Roma, ha per tema «Vivere la missione episcopale in una Chiesa sinodale».
Parlando dell’odierna festa della Natività della Beata Vergine Maria, il presule ha osservato come nella liturgia si possa cogliere «la bellezza del disegno di Dio, che rispettando l’umano lo feconda dall’interno, facendo sbocciare dall’umile Vergine di Nazaret il frutto più bello della sua opera».
Ed è guardando «al dono della vita» da parte della Madonna che il celebrante ha offerto una riflessione sulla figura e il ministero di ogni vescovo. «Siamo stati generati in una famiglia — ha affermato — e rigenerati nella grande famiglia della Chiesa: entrambe costituiscono le nostre “genealogie di grazia” ed è importante farne memoria. È quanto il Santo Padre spesso raccomanda, dicendo di custodire le radici e di non scordare la fede della madre e delle nonne, nonché il popolo di Dio dal quale siamo stati tratti». E in tal senso, ha fatto presente monsignor Peña Parra, «le nostre esistenze, conformate a Gesù buon Pastore che offre la vita, che è venuto per servire e non per essere servito, sono tenute, dal momento della consacrazione episcopale, a farsi dono».
Nel rievocare le nove domande rivolte ai vescovi il giorno dell’ordinazione come successori degli apostoli, il presule si è soffermato sulle ultime due. L’ottava recita: «Vuoi, come buon pastore, andare in cerca delle pecore smarrite per riportarle all’ovile di Cristo?». Essa, ha spiegato, «è insita nella natura del pastore che, a immagine di Cristo, è chiamato a rivolgere la sua attenzione ai lontani». Inoltre, l’interrogativo dice di “andare in cerca”, perché — ha chiarito — «l’evangelizzazione e la missione, lo sguardo attento a chi è lontano o si sente ai margini, non sono compiti specifici accanto agli altri, ma scelte di base, disposizioni interne al ministero». Dunque «un’attività costante e gioiosa, non puntuale e affannosa», che richiami «l’atteggiamento del mercante evangelico “in cerca di perle preziose”»; un invito «ad affezionarsi alla bellezza pura e gratuita del seminare per il Regno, senza farsi condizionare dai risultati, seppur modesti, della raccolta; a condividere lo zelo di una Chiesa che si occupa delle persone piuttosto che preoccuparsi di come appare ai loro occhi». E a tal fine il sostituto ha rimarcato come «di fronte alle perenni tentazioni della chiusura e dell’autoreferenzialità, solo il contatto costante con Cristo buon Pastore» possa «ricalibrare la passione sui desideri del suo cuore, anziché sui timori e le urgenze che affiorano nel nostro».
Ciò conduce all’ultima domanda: «Vuoi pregare, senza mai stancarti, Dio onnipotente, per il suo popolo santo, ed esercitare in modo irreprensibile il ministero del sommo sacerdozio?». Riguardo ad essa l’arcivescovo ha messo in luce come il Pontefice, «spesso in modo diretto, incontrando i vescovi» chieda quante ore preghino al giorno. «Anche qui — ha commentato — potrebbe sembrare che l’aumento di responsabilità richieda di risparmiare sul tempo personale, preghiera inclusa». Mentre, «in realtà, la primaria esigenza del ministero è di intercedere nella preghiera a favore del popolo di Dio», sostando «davanti al tabernacolo per chi gli è affidato». Perché «un cuore che annuncia e un’anima che prega, elementi fondanti per un fedele cristiano, sono a maggior ragione irrinunciabili per chi ha ricevuto la pienezza del sacerdozio di Cristo». Del resto, lo conferma la Chiesa delle origini: «una delle prime decisioni della comunità primitiva fu di istituire il ministero dei diaconi affinché gli apostoli potessero continuare a dedicarsi» a preghiera e annuncio. Di conseguenza, «la sfida che il ministero episcopale ci consegna» è «una vita capace di rinunciare a sé stessa per stare perennemente in relazione con Dio e in offerta per gli altri».
Certo, l’arcivescovo Peña Parra si è detto consapevole che oggi «non è facile essere vescovi»; ma è altrettanto evidente come non esista «un periodo della storia in cui sia stato agevole». Ciononostante, ha concluso, «le sfide non sono tanto le mutevoli esigenze del contesto in cui viviamo, ma quelle perenni del Vangelo».