Il sostituto della Segreteria di Stato ha inaugurato ieri, 9 novembre, l’anno accademico 2023-2024 dello Studio Rotale nel Palazzo della Cancelleria: “Si può superare una visione distorta delle cause matrimoniali, come se in esse si affermassero dei meri interessi soggettivi”
L’Osservatore Romano
Papa Francesco propone di applicare lo spirito sinodale anche all’iter che porta a una decisione giudiziale, individuando tre momenti cruciali: «l’ascolto, il discernimento e la pronuncia». Lo ha sottolineato l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, durante l’inaugurazione dell’anno accademico 2023-2024 dello Studio Rotale, svoltasi nella Sala Riaria del Palazzo della Cancelleria giovedì 9 novembre.
Nell’applicare la sinodalità, ossia il “camminare insieme” a questi tre aspetti del processo canonico, «si può superare — ha assicurato il presule — una visione distorta delle cause matrimoniali, come se in esse si affermassero dei meri interessi soggettivi», riscoprendo che tutti i partecipanti al processo «sono chiamati a concorrere al medesimo obiettivo, quello di far risplendere la verità su un’unione concreta tra un uomo e una donna».
Nel suo intervento, ispirandosi al discorso rivolto da Papa Francesco alla Rota Romana il 27 gennaio 2022, l’arcivescovo ha fatto notare che all’indomani della prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi l’intera Chiesa è chiamata a riflettere su tre parole chiave: comunione, partecipazione e missione. Mentre la comunione «esprime la natura stessa della Chiesa e la missione corrisponde all’impegno apostolico verso il mondo contemporaneo», la partecipazione garantisce che «le prime due, cioè la comunione e la missione, non diventino termini astratti», bensì esprimano «la concretezza della sinodalità».
Il sostituto ha ricordato che l’obiettivo classico del diritto, «sintetizzato dalla locuzione latina, unicuique suum, “a ciascuno il suo”», appare molto lontano dal «camminare insieme per compiere una missione comune» proprio dell’idea sinodale, che «suggerisce invece condivisione e superamento di posizioni individualistiche». Tuttavia questa prima impressione «non corrisponde veramente alle caratteristiche del diritto nella Chiesa, perché in essa l’esercizio dei propri diritti è riconosciuto ai fedeli proprio in funzione della comune aedificatio Ecclesiae». Pertanto il diritto canonico «ha conservato nei secoli una caratteristica particolare, e cioè un doppio legame verso la legge e verso le esigenze pastorali». La dimensione giuridica e quella pastorale «sono inseparabilmente unite nella Chiesa pellegrina sulla terra, perché anche l’attività giuridico-canonica è per sua natura pastorale; ed è compito dell’autorità e dell’operatore del diritto il rendere concreta e possibile questa peculiarità».
Soffermandosi a riflettere sulla Rota Romana, il presule ha spiegato che essa «è un apicale tribunale giudiziale nella Chiesa cattolica»; e la sua funzione, come stabilisce la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, è quella di «fungere ordinariamente da istanza superiore nel grado di appello presso la Sede apostolica per tutelare i diritti nella Chiesa». Il compito di questo tribunale è quello «di dire sostanzialmente, nell’ambito giudiziario, l’ultima parola nelle controversie contenziose, relative ai diritti di persone fisiche o giuridiche da perseguire, nell’accertamento dei fatti giuridici» come quelli della nullità del matrimonio, «nelle cause penali e in quelle questioni meramente processuali di cui la soluzione è funzionale per il corretto svolgimento dei processi che vertono sulle questioni sostanziali». Non essendo un semplice organo di revisione, anche la Rota Romana deve entrare «in prima persona nel campo di un ulteriore ascolto, discernimento, e infine è chiamata a dare la propria pronuncia».
Il primo momento su cui si è soffermato l’arcivescovo è l’ascolto. In questo senso, Papa Francesco ricorda che «la sinodalità nei processi implica un suo costante esercizio». Il Pontefice rileva che «sono inaccettabili le risposte standard ai problemi concreti delle singole persone», in quanto ciascuna di esse, «con la sua esperienza spesso segnata dal dolore, costituisce per il giudice ecclesiastico la concreta “periferia esistenziale” da cui deve muoversi ogni azione pastorale giudiziale». Monsignor Peña Parra ha sottolineato come sia soltanto attraverso l’esercizio dell’“ascolto autentico” che il processo canonico «acquisisce una dimensione genuinamente umana, pastorale e personale». È tale autenticità dell’ascolto che «consente di superare la fredda acquisizione dei dati».
Il secondo aspetto della sinodalità dei processi è il discernimento. Allo stesso modo del Sinodo — che «non può essere ridotto a una raccolta di opinioni, ma le diverse posizioni devono entrare nel discernimento» — anche nel processo canonico «deve attivarsi questo modo di retta valutazione ecclesiale». Per inquadrare meglio il discernimento nei processi canonici, il sostituto si è soffermato su tre caratteristiche o criteri dello stesso. Il primo e «irrinunciabile è il criterio del fermo orientamento verso la verità». In questo senso, il diritto processuale canonico «è caratterizzato dal principio del favor veritatis, dalla convinzione che questa verità è conoscibile e comunicabile e dalla deontologia del giudice ecclesiastico». Il secondo elemento è la valutazione delle prove. Infatti, ha spiegato il presule, tra le diverse possibili classificazioni delle prove giudiziali merita una particolare attenzione la distinzione tra le prove legali e quelle libere. Infine, ha fatto notare l’arcivescovo, il «traguardo che deve essere raggiunto tramite il discernimento giudiziale è identificabile con la certezza morale».
Il terzo momento su cui Papa Francesco invita a soffermarsi nella riflessione sulla sinodalità nei processi è la pronuncia. Essa «è un atto processuale che appartiene esclusivamente al giudice e che ha per oggetto la definizione o la decisione sulla materia che gli è stata sottoposta». La sostanza di questo atto, ha specificato il sostituto, è «l’emissione di un giudizio circa la conformità o meno della pretesa della parte con il diritto sostantivo, mediante il quale viene deciso di accoglierla o negarla».
Presieduta e introdotta dal decano della Rota Romana, monsignor Alejandro Arellano Cedillo, la cerimonia si è conclusa con il giuramento di rito degli alunni del triennio.