Il Custode parla della celebrazione della Domenica delle Palme, presieduta dal patriarca Pizzaballa, e dei riti della Settimana Santa, ma anche dei recenti attacchi contro luoghi cristiani: “Bisogna avere il coraggio di far riflettere chi usa la violenza”. La gioia per il ritorno dei pellegrini: “Così si ravviva la fede e il legame con la Chiesa Madre di Gerusalemme”. Appello alla generosità: “Molti santuari che hanno bisogno continuo di manutenzione e lavoro”
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
“Gerusalemme è luogo di incontro, fede, preghiera, gioia, di comunione e di unità e non conflitto e divisione, non è solo tensione politica e religiosa”. Parole forti che monsignor Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, ha usato per ribadire che la Città Santa “non è né possesso né esclusione”, quando si è rivolto agli oltre 20 mila fedeli cristiani che hanno preso parte alla processione della Domenica delle Palme. A loro, Pizzaballa ha chiesto di non aver paura di “quanti vogliono dividere”, riferimento agli episodi di violenza avvenuti nella città contro chiese e simboli cristiani. “La città santa – sono state le sue parole – è da sempre e sempre resterà casa di preghiera per tutti i popoli e nessuno la potrà possedere in maniera esclusiva”. Un monito ripreso da padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa, quando parla della “dignità dei cristiani”, e sottolinea con vigore che il modo cristiano di reagire alla violenza non è usarne altra, bensì perdonare, pregare e chiedere giustizia.
Padre Patton, come è stata vissuta la Domenica delle Palme a Gerusalemme?
Direi che è stata una gran bella giornata, al di là del sole che splendeva su Gerusalemme, tutte le parrocchie, anche di Palestina, hanno avuto modo di partecipare alla processione. C’erano tantissimi pellegrini provenienti da tutto il mondo a cantare Osanna al figlio di Davide e quindi a ripercorrere la strada da Betfage a Gerusalemme, facendo memoria dell’ingresso trionfale di Gesù. Il patriarca (monsignor Pierbattista Pizzaballa ndr) ha detto parole molto belle di incoraggiamento perché, pur sottolineando le difficoltà in cui ci troviamo anche a vivere la nostra fede, è stato anche evidenziato che la forza della fede è proprio nel legame con Gesù Cristo. Ha poi anche evidenziato, e in maniera molto forte, la nostra appartenenza a Gerusalemme, non il fatto che Gerusalemme appartiene a noi, ma che noi apparteniamo a Gerusalemme. Direi che è stato un momento di festa per tutta la comunità cristiana.
Dicevamo un momento di festa all’interno di un momento di grandi difficoltà, come ha sottolineato lei. Difficoltà che è emersa fortemente soltanto pochi giorni fa a Gerusalemme, quando si è svolta la Via Crucis delle scuole cattoliche della città: 500 ragazzi con una sciarpa rossa attorno al collo…
Prima di tutto bisogna ricordare che c’era stato questo episodio di violenza nei confronti della statua dell’Ecce Homo presso una delle cappelle della Flagellazione. Noi abbiamo reagito a questo tipo di violenza da cristiani, quindi pregando con queste sciarpe attorno al collo che riportavano la scritta la preghiera di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Quindi, il modo cristiano l’abbiamo provato sia io, sia il Patriarca, sia il Vicario (padre Ibrahim Faltas, ndr), il modo cristiano di reagire alla violenza non è usare a nostra volta violenza, ma il modo cristiano di reagire alla violenza è il perdono e la preghiera, e poi ovviamente anche la richiesta di giustizia, perché la giustizia deve essere uguale per tutti. Anche lì, nella Via Crucis, la partecipazione è stata oserei dire straordinaria, molto buona, perché hanno partecipato tutte le scuole, a ogni scuola era affidata anche una stazione per leggere la parte biblica, per leggere le preghiere, direi è stato un momento anche quello molto forte di consapevolezza di quello che è la nostra dignità di cristiani e anche di quello che è il nostro stile di cristiani, che siamo assolutamente persone pacifiche, non violente ma, al tempo stesso, con la nostra non violenza, dobbiamo anche far riflettere i violenti, un po’ come Gesù che nel Discorso della Montagna dice che quando veniamo percossi bisogna porgere l’altra guancia, ma durante la Passione, a quel servo che gli dà uno schiaffo dice: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male, ma se ho parlato bene perché mi percuoti?”. Cioè, bisogna anche avere il coraggio di far pensare chi usa la violenza, senza però mai ricorrere alla violenza.
Lei ha ricordato, ha sottolineato, ai fedeli di Terra Santa la loro importante responsabilità, il fatto di far sopravvivere il cristianesimo in Terra Santa, il fatto che senza di loro il cristianesimo scompare. È una responsabilità che sentono forte sulla loro pelle?
Direi che, al di là del fatto che alcuni sono ancora tentati di lasciare la Terra Santa, però sicuramente una parte dei nostri cristiani ha ben chiaro che loro sono discendenti delle prime comunità cristiane e che quindi loro sono i testimoni di una fede che qui a Gerusalemme si è trasmessa ininterrottamente per 2000 anni, anche in tempi molto più difficili di quelli che stiamo vivendo noi. Quindi, direi che la responsabilità va intesa come vocazione, non è una cosa di puro sforzo umano, ma è una chiamata di Dio: quella di essere cristiani di Terra Santa. Ed è una missione che trova le sue radici nel Vangelo, dove Gesù stesso non parla alla Chiesa come a grandi folle, quando dice: non temere, piccolo gregge, perché il Padre si prende cura di noi. Quindi, anche quando siamo in un contesto di minoranza, e non siamo minoranza solo a Gerusalemme, siamo minoranza in molti altri Paesi del mondo, noi dobbiamo trovare la forza, non in una specie di sentimento eroico, ma nelle parole di Gesù nel Vangelo, nella relazione con Lui che si chiama fede.
Il messaggio pasquale dei leader religiosi di Gerusalemme descrive le difficoltà nelle quali si trova a vivere la comunità cristiana. Che clima c’è in questo momento, in attesa dei riti della Settimana Santa?
Direi che il clima è comunque un clima di gioiosa attesa per le celebrazioni, perché Natale a Betlemme e Pasqua a Gerusalemme sono due momenti di festa. Poi, questa festa cade a breve distanza dalla Pasqua per gli orientali, che sarà una settimana dopo, cade praticamente in contemporanea con la Pasqua ebraica, che comincia domani, e cade anche in contemporanea con il Ramadan, quindi con il tempo del digiuno musulmano. Di conseguenza cade in un momento in cui molti desiderano poter pregare e celebrare a Gerusalemme, tutti quelli che fanno riferimento a ebraismo, islam e cristianesimo. Poi cade anche in un contesto politico che è particolare perché di grande tensione ormai da parecchie settimane, con ogni fine settimana delle manifestazioni di piazza che rivendicano, pacificamente e democraticamente, la necessità di non stravolgere l’assetto dello Stato e di non sottomettere la Corte Suprema al Governo. Questo è ovvio che crea tensione all’interno del Paese e ripeto, ogni fine settimana con delle dimostrazioni ma, nonostante tutto questo, quello che come cristiani noi percepiamo è il grande desiderio di poter celebrare la risurrezione del Signore, così come per gli orientali una settimana dopo di noi, il desiderio di poter veder diffondersi quel fuoco che scaturisce dal sepolcro vuoto.
Parliamo dell’impegno della custodia francescana nel preservare e nel garantire i luoghi sacri attraverso la colletta del Venerdì Santo. Come sta andando avanti?
Sta andando avanti in questo momento anche abbastanza bene, direi in ripresa, perché veniamo da un periodo che è stato molto difficile, il periodo della pandemia, ed eravamo praticamente senza risorse economiche. Adesso, grazie a Dio, è possibile di nuovo anche compiere quel gesto di solidarietà universale che è la colletta Pro Terra Sancta, la colletta del Venerdì Santo, che è una forma di condivisione dei cristiani tutto il mondo con i cristiani di Terra Santa. E attraverso quel contributo poi per noi è possibile, da un lato prenderci cura dei luoghi santi, dall’altro lato prenderci cura dei pellegrini che vengono a visitare i luoghi santi e, soprattutto, prendersi cura anche della piccola comunità cristiana locale, perché quella colletta sostiene anche le attività pastorali e le attività sociali, in special modo le attività legate all’educazione, dato che molte sono le scuole che svolgono un ruolo importantissimo e poi anche le attività di aiuto assistenza sociale. Dobbiamo pensare che la Custodia non è radicata solo in Israele e Palestina, ma anche in territori che da anni soffrono per la guerra, come la Siria, e che recentemente anche stanno soffrendo per il terremoto. Quindi, la colletta è l’espressione della solidarietà della Chiesa universale nei confronti della Chiesa di Terra Santa attraverso la Custodia di Terra Santa.
Così come la pandemia ha bloccato in qualche modo la colletta aveva bloccato i pellegrinaggi. Ecco, in questo periodo avete constatato che stanno tornando i pellegrini?
Sì, sì, in questo momento i pellegrini sono più o meno sulle cifre del 2018, quindi non proprio il momento massimo prima della pandemia, che era il 2019, ma comunque c’è un buon numero di pellegrini e in questo momento la maggior parte arrivano dagli Stati Uniti, poi come secondo Paese c’è la Polonia, come terzo paese l’Italia e poi Spagna e Brasile. Si vede un po’ un ritorno dei pellegrini, anche questa è una cosa molto positiva, direi che come ritorno dei pellegrini possiamo essere più che contenti. L’appello è a venire come pellegrini in Terra Santa per ravvivare la propria fede e per ravvivare anche il legame con i cristiani della Terra Santa e con la Chiesa Madre di Gerusalemme. L’altro appello è quello di sostenerci anche economicamente, perché in questo momento ci sono anche delle grandi opere che vengono portate avanti, penso al restauro della Basilica del Santo Sepolcro, che è ancora in corso e anche al restauro di molti santuari che hanno bisogno continuo di manutenzione e di lavoro, per poter poi facilitare anche la venuta dei pellegrini e l’esperienza di fede dei pellegrini.