Patton: basta bombardare i civili a Gaza, la vita umana torni a essere sacra

Vatican News

Il Custode di Terra Santa, a Roma per la Giornata delle Associazioni di Terra Santa all’Antonianum, lancia un appello a evitare di alimentare “ideologie di tipo antiumano e terroristiche”. Guarda con dolore alla situazione nella Striscia e descrive la situazione a Gerusalemme: “C’è diffidenza, paura e i cristiani giocano un ruolo fondamentale. Molti vogliono andar via, temono di crescere i figli in un ambiente di odio”

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

“Tutti cooperino per far cessare i bombardamenti sulla popolazione civile a Gaza”. È l’appello che il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, a Roma per la XVI Giornata delle Associazioni di Terra Santa in corso all’Antonianum, lancia attraverso i microfoni di Vatican News – Radio Vaticana. “Ci sia un ritorno al rispetto della persona umana, indipendentemente dalla etnia, dalla religione e dalla situazione personale di ciascuno, bisogna tornare a considerare la persona umana sacra”, afferma il religioso francescano che mette in guardia dalle “ideologie di tipo antiumano e terroristiche” alimentate in alcuni contesti. Con dolore, Patton descrive poi le difficoltà che sta vivendo la comunità cristiana nella Striscia di Gaza.

Quali ultime notizie avete da Gaza sulla comunità cristiana?

La comunità cristiana di Gaza è ormai molto ridotta. I fedeli greco-ortodossi e di rito latino sono mescolati nelle due parrocchie. Ci sono le suore di Madre Teresa che si prendono cura dei disabili e le suore del Verbo Incarnato, c’è ancora una presenza delle Suore del Rosario che avevano una grande scuola aperta a tutti. In questo momento i cristiani vivono tutti in chiesa, è l’unico luogo che loro sentono come sicuro, non perché abbia le pareti più spesse ma perché in chiesa percepiscono maggiormente la presenza di Dio… Percepiscono la Chiesa come casa e la presenza di Gesù Cristo come loro Salvatore. Lo dicono esplicitamente! Fanno due messe al giorno, pregano il Rosario, stanno facendo una vita di preghiera diurna e notturna, proprio per invocare salvezza per sé, per i propri fratelli e sorelle. Vediamo come andranno le cose nei prossimi giorni, speriamo sempre che almeno il luogo di culto sia rispettato e che i cristiani possano superare questa fase veramente difficile della loro esistenza.

Oggi è la giornata delle Associazioni per la Terra Santa e parliamo anche di volontari. Quanto è importante il contributo e la presenza dei volontari in Terra Santa?

La presenza di volontari è sempre molto importante, ma ovviamente bisogna aspettare che finisca la guerra per poterli vedere di nuovo. Loro aiutano un po’ tutte le realtà presenti: dalla Custodia alle parrocchie del Patriarcato Latino e i vari istituti religiosi maschili e femminili presenti. Ci sono attività di volontariato che cercano anche di aiutare l’economia locale, penso a Betlemme e alla nostra associazione Pro-Terra Santa, a quello che si fa in termini di attività culturale e di incoraggiamento alle attività imprenditoriali. I volontari sono presenti un po’ su tutto il territorio, sia nella parte israeliana sia nella parte della Cisgiordania sotto l’Autorità palestinese. La presenza dei volontari è sempre una presenza utile perché crea un ponte tra quello che è il mondo della Terra Santa e il mondo di provenienza dei volontari stessi. Ci sono infatti volontari che vengono dall’Italia, dalla Francia, dalla Spagna, da Paesi dell’Est Europa o da Stati Uniti e America Latina. Creano così ponti non solo con le comunità cristiane ma anche con quelle israeliane e palestinesi e il resto del mondo.

Lei come vede il futuro dei cristiani in Terra Santa?

Temo che finita la guerra ci sarà una nuova emigrazione di cristiani dalla Terra Santa verso gli Stati Uniti, il Canada, l’Europa. Già prima di venire a Roma sentivo che molti non si sentono più sicuri, soprattutto quelli che hanno famiglia non vogliono che i figli crescano in un ambiente di odio, dove non c’è l’accettazione reciproca tra persone di diversa etnia e religione.

Cosa si può fare perché i cristiani continuano ad essere presenti in Terra Santa e a testimoniare con la loro vita quello che Gesù Cristo ci ha lasciato?

La cosa fondamentale perché i cristiani rimangano è di tipo spirituale. Cioè i cristiani devono essere profondamente convinti che essere cristiani in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente, è una chiamata speciale, una specie di vocazione e non una maledizione. Molti in questa fase storica avvertono infatti come una specie di maledizione l’esser nati in Medio Oriente perché conoscono quello che è successo in Iraq, in Siria, in Libano e in questo momento in Israele, Palestina e a Gaza.

Lei vive a Gerusalemme, a più di 70 chilometri da Gaza, quale clima si respira?

Il clima che si respira a Gerusalemme è abbastanza pesante, perché si respira paura, diffidenza reciproca tra quelli che appartengono alla comunità arabo-israeliana e quelli che appartengono alla comunità ebraico-israeliana. La diffidenza in questo momento è reciproca e la paura anche; ci sono però segni positivi di persone che continuano a cercare di tenere allacciati i fili del dialogo e della comunicazione. Per i cristiani in questa situazione si gioca un ruolo importante perché possono e potranno ancora una volta essere coloro che non sono percepiti come pericolosi né dagli uni né dagli altri. Di conseguenza se rimangono, potranno aiutare a rimettere insieme i pezzi; se vanno via, si ridurrà ulteriormente lo spazio di convivenza.

Qual è la situazione in città?

Nella Città vecchia la maggior parte dei negozi di souvenir e oggetti religiosi sono chiusi in questo momento, perché non ci sono pellegrini. La Via Crucis delle ultime settimane l’abbiamo fatta praticamente noi frati con qualche suora e un po’ di fedeli locali. A Betlemme la situazione è ancora più difficile perché i cristiani vivono esclusivamente dell’indotto dei pellegrinaggi e ora sono chiusi hotel, negozi, è chiuso tutto. Ripeto, la nostra presenza continua ad essere comunque una presenza religiosa, come è stata nel corso di questi otto secoli. Noi siamo rimasti sempre, anche quando non c’erano pellegrini e sappiamo che è importante rimanere in quei luoghi e pregare in quei luoghi, perché quei luoghi richiamano il mistero della nostra redenzione.  Quello della redenzione è un fatto drammatico, non una passeggiata, è qualcosa che a Nostro Signore Gesù Cristo è costato la vita. E di conseguenza, se noi siamo chiamati a seguirlo da discepoli, anche in mezzo alle difficoltà.

Guardando alla realtà odierna della Terra Santa, c’è un appello che vuole lanciare?

L’appello è che tutti quanti cooperino per far cessare i bombardamenti sulla popolazione civile, che ci sia un ritorno al rispetto della persona umana, indipendentemente da etnia, religione e dalla situazione personale. Dobbiamo ricominciare a considerare la persona umana come sacra. Nell’antichità ciò che era sacro era inviolabile. Ecco, bisogna tornare a considerare la persona umana sacra. In Terra Santa vivono credenti di tre religioni: ebrei, cristiani e musulmani. Per gli ebrei e per i cristiani, l’uomo è immagine e somiglianza di Dio; per i musulmani, secondo il Corano, l’uomo è il Califfo di Dio su questa terra, cioè il rappresentante di Dio su questa terra. Quindi i credenti delle tre religioni hanno un’altissima idea del valore e della dignità della persona umana. Bisogna che tutti dobbiamo ricominciare a considerare il valore e la dignità della persona umana. Questo per evitare in alcuni contesti di alimentare ideologie di tipo antiumano e terroristico.