Pasqua orientale nel Santo Sepolcro: il rito del Fuoco Sacro visto da un francescano

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Ancora una Pasqua divisa per le Chiese d’Oriente e quelle d’Occidente, nella speranza di poter celebrare insieme la Resurrezione di Cristo non per coincidenze di calendario, ma per volontà di comunione tra fratelli in Cristo. Quest’anno quattro settimane separano la Pasqua delle Chiese d’Oriente, che seguono il calendario giuliano, il 2 maggio, da quella dei cattolici latini e dei protestanti, che segue il calendario gregoriano. Tutti i cristiani del mondo hanno celebrato lo stesso giorno la vittoria di Cristo sulla morte il 16 aprile del 2017, e lo rifaranno il 20 aprile 2025, anno giubilare, a 1700 anni dal primo Concilio ecumenico di Nicea.

Di nuovo fedeli presenti al rito del Fuoco Sacro

Intanto a Gerusalemme, nella Basilica del Santo Sepolcro, si ripete, in questo Sabato Santo, il rito del Fuoco Sacro, culmine del Triduo pasquale per i fedeli ortodossi di tutto il mondo. Un rito che si svolge nello stesso modo da almeno sei secoli, anche se risale alla Chiesa di Costantino, nel IV secolo. E torna con la partecipazione di fedeli, grazie alla straordinaria campagna di vaccinazioni in Israele, dopo la Pasqua 2020 in lockdown, con dieci soli religiosi in Basilica. Anche se solo fedeli di Terra Santa, visto che i pellegrinaggi non sono ancora ripresi, causa pandemia.

Il fuoco portato nel Sepolcro dall’arcangelo Gabriele

Alle prime ore del mattino i diaconi ortodossi ispezionano l’Edicola che contiene la tomba vuota di Cristo e ne sigillano l’ingresso con una mistura di miele e cera. I giovani del quartiere cristiano entrano nella Basilica in processione, mentre armeni, copti e siriaci chiamano il patriarca greco-ortodosso, senza il quale, secondo la tradizione, non può avvenire il miracolo. A mezzogiorno, il patriarca entra in processione solenne, accompagnato da canti tradizionali e gira per tre volte intorno alla Tomba. Nel frattempo, il sacrestano porta nel Sepolcro la lampada che contiene un fuoco perenne, che viene spenta solo una volta l’anno, la mattina di questo sabato speciale, per permettere che venga accesa dal Fuoco Sacro. Quindi il patriarca greco-ortodosso entra da solo nell’Edicola, portando due fasci di 33 candele, seguito dal patriarca armeno che resterà nell’anticamera (la cappella dell’Angelo) e sarà il solo testimone. Lì, inginocchiato, l’ecclesiastico greco recita una speciale preghiera per la venuta del Fuoco. In quel momento una luce scende nella Tomba e accende la lampada. Il patriarca esce per distribuire il Fuoco Santo, che passa di mano in mano per raggiungere i fedeli accalcati nella basilica e, conservato nelle lampade portate dai pellegrini, anche quelli di altri Paesi lontani. Il Fuoco Sacro, secondo la tradizione, non scotta durante i primi minuti e, tra lacrime, canti e gioia, i fedeli passano le mani e il volto tra le fiamme.

Padre Gaffurini, un innamorato del Santo Sepolcro

“Quello che mi piace di questo rito – spiega a Vatican News il francescano minore padre Giuseppe maria Gaffurini, oggi Vice Commissario Generale di Terra Santa e accompagnatore spirituale dei pellegrini  – è che immediatamente le fiamme vengono portate all’aeroporto di Tel Aviv e da lì con voli charter la fiamma arriva in tutte le chiese principali ortodosse. Ed è molto bello che in tutte le chiese ortodosse si attenda, per celebrare la Veglia pasquale, l’arrivo del Fuoco Sacro del Santo Sepolcro”. Padre Giuseppe, un bresciano di 63 anni che per 35 anni è stato monaco e priore cistercense, e nel 2011 è arrivato al Santo Sepolcro in anno sabbatico per rimanervi poi come sacerdote e cantore, si definisce un “innamorato” della sacralità di questo luogo e della sua intensa vita liturgica notturna, che inizia alle 23.30.

Le differenze tra i riti cattolici ed ortodossi della Pasqua

Gli chiediamo di farci da guida nella particolarissima realtà della Basilica del Santo Sepolcro, custodito da francescani, greco ortodossi e armeni apostolici, in questo giorno unico che è il Sabato Santo del calendario giuliano.

Ascolta l’intervista a padre Giuseppe Maria Gaffurini

R.- Le differenze maggiori tra le liturgie del Triduo pasquale orientale ortodosso e quelle latine cattoliche sono fondamentalmente due, e legate al Concilio Vaticano II. Perché con la sua riforma liturgica illuminata, che è ritornata alle fonti della liturgia cristiana ha realizzato delle varianti, che non sono state invece applicate nel Triduo pasquale orientale ortodosso. Vivendo insieme ad una comunità ortodossa, la prima cosa che si nota è che noi cattolici abbiamo avuto un Concilio Vaticano II che ha rinnovato completamente la liturgia portandola alle origini della comunità cristiana. E l’altra grande differenza che si nota è che mentre nella liturgia cattolica, chi presiede la liturgia in qualche modo potrebbe presiedere da solo tutta la liturgia, nel rito ortodosso sono rimaste separate e indispensabili la collaborazione di Patriarca, sacerdoti, diaconi, ministri e soprattutto il coro. La grande differenza è che nella liturgia ortodossa orientale tutto il rito è cantato e la partecipazione del coro è indispensabile, così come quella di tutti i vari gradi di ministero. Certamente nella liturgia solenne cattolica latina ci sono tutte queste componenti, ma nella liturgia orientale sono molto più visibili.

Quali invece gli elementi fondanti comuni tra le liturgie del Triduo pasquale orientale ortodosso e quelle del rito cattolico latino?

R.- “Lex credendi, lex orandi”, si prega come si crede. Questo leitmotiv dei padri della Chiesa accomuna l’elemento fondante delle celebrazioni della Passione, morte e Resurrezione del Signore tra Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica latina. La professione di fede, soprattutto nel mistero della Passione, morte e Resurrezione del Signore, che è il secondo mistero più grande della nostra fede, è totalmente comune e condivisa. Per cui gli elementi in comune sono la comune fede in questo mistero, che poi viene celebrato nelle modalità di cui abbiamo detto, ma la professione di fede in questo mistero è assolutamente uguale.

La celebrazione della Notte Santa è il fulcro dell’Anno liturgico per entrambi i riti e le tradizioni religiose. Il rito ortodosso più noto, nella Basilica del Santo Sepolcro, è quello del Fuoco Sacro. Ce lo può descrivere?

R. – Il rito del Fuoco Sacro è proprio solo della Basilica del Santo Sepolcro. Viene celebrato la mattina del Sabato Santo e vede la partecipazione di centinaia di fedeli di tutte le confessioni cristiane, non ultimi alcuni nostri fedeli cristiano cattolici che magari hanno uno dei due genitori ortodosso. Sin dal mattino presto l’Edicola del Santo Sepolcro viene spogliata di tutte le fonti di luce, e la porta viene sigillata con la cera. Il patriarca arriva nel primo pomeriggio accompagnato da una processione di vescovi e di sacerdoti e spogliati gli abiti sacri, entra nell’Edicola e si fa un silenzio totale. Sono centinaia di persone che sin dal mattino pregano e urlano con tutta la voce e con tutto l’entusiasmo che hanno, ma in quei pochi istanti si fa un grande silenzio, fino a che il patriarca esce con due candele accese. Questo segno per la Chiesa ortodossa è molto importante, perché l’angelo Gabriele scenderebbe dal cielo a portare questa luce, e riconducono a questa benevolenza la supremazia della Chiesa ortodossa sulle altre Chiese. Il Patriarca attuale (Theophilos III, n.d.r.), interrogato sulla natura di questo Fuoco Sacro, disse che. “Il fuoco è Santo perché esce dal Santo Sepolcro”. Insomma non si sbilanciò più di tanto. Ma abbiamo testimonianze di questo rito del Fuoco Sacro, ben prima della separazione tra la Chiesa occidentale e la Chiesa orientale.

Nel rito del Fuoco Sacro c’è molto folklore, ma anche tanta fede popolare. Da spettatore, si coglie il forte senso teologico di quella fiamma che si accende nel Sepolcro di Cristo?

R.- Una volta che il patriarca esce dall’edicola con le candele accese, passa quella fiamma a tutti i presenti, che hanno tra le mani 33 candeline, per ricordare gli anni della vita di Gesù. Immediatamente le accendono, e in pochi istanti la basilica diventa una fiamma unica. I fedeli si passano questo fuoco in tutte le parti del corpo perché dice che, grazie alla sua sacralità, possa essere una benedizione. Quello che mi piace di questo rito è che immediatamente le fiamme vengono portate all’aeroporto di Tel Aviv e da lì con voli charter la fiamma viene portata in tutte le chiese principali ortodosse. E’ molto bello che in tutte le chiese ortodosse si attenda di celebrare la Veglia pasquale, fino a che non è arrivato il Fuoco Sacro del Santo Sepolcro. Abbiamo nella Chiesa latina una cosa somigliante con il Giovedì santo. Un tempo nelle chiese si facevano i “sepolcri”. Giustamente i liturgisti hanno voluto cambiare questa espressione con “altare della reposizione eucaristica”. Ma la dicitura sepolcri non era liturgica, ma storica. Voleva ricordare che nella notte del Giovedì santo, attraverso l’allestimento di questi altari della reposizione eucaristica, chiamandoli “sepolcri”, potremmo ricordare il nesso del mistero pasquale celebrato nelle chiese in tutto il mondo, con la Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Padre Giuseppe anche la sua storia personale è legata questo luogo così significativo per la nostra fede. Possiamo dire che lei è un innamorato del Santo Sepolcro?

R.- Alla fine di 35 anni di vita monastica (con l’ordine cistercense), ho chiesto un anno sabbatico da trascorrere a Gerusalemme, nella Basilica del Santo Sepolcro. Durante questo anno sabbatico, mi sono innamorato della vita che si conduce lì. Ho chiesto un secondo anno, poi un terzo, poi un quarto e alla fine, invitato da padre Pizzaballa, ho chiesto di fare il passaggio, non tanto dall’ordine cistercense all’ordine francescano, anche se giuridicamente sì, ma soprattutto passare alla vita che si fa nella Basilica del Santo Sepolcro. Molti pellegrini, quando arrivano a Gerusalemme, rimangono un po’ frastornati del disordine che trovano nella Basilica del Santo Sepolcro, che ben custodisce sia il luogo della crocifissione, il Calvario di Gesù, sia il sepolcro di Gesù. E’ emozionante comunque vedere pellegrini che fanno la fila, almeno due o tre ore, per poter toccare per pochi secondi la pietra sulla quale è stato posto il corpo di Gesù. Certamente entrando nell’ Edicola del Santo Sepolcro in qualche modo, che non vuol dire in nessun modo, ma in qualche modo, si fa esperienza di quella che sarà la nostra vita futura. Io ho vissuto più anni nella Basilica del Santo Sepolcro ed è particolare la vita notturna. Tutte le confessioni cristiane alle 23.30 si alzano, suonano i campanili interni, secondo un ordine prestabilito: prima quello degli ortodossi, poi quello dei latini e poi quello degli armeni e comincia l’incensazione. I diaconi ortodossi incensano, millimetro per millimetro, tutti i luoghi santi della Basilica e finalmente, a mezzanotte, noi latini, francescani, possiamo cominciare il nostro ufficio notturno. E’ particolare anche che sulla piazza antistante la Basilica si può assistere alla devozione dei pellegrini ortodossi che, guidati dal loro pope, come un vero gregge, con tutta la devozione possibile, nel cuore della notte, col freddo, col caldo, con la pioggia o col bel tempo, si recano per la divina liturgia nella Basilica del Santo Sepolcro. Quando noi francescani verso l’una, una e mezza, finiamo la nostra celebrazione, comincia quella degli ortodossi che dura due ore. Poi comincia quella degli Armeni. La vita notturna del Santo Sepolcro è ricchissima e la celebrazione della Resurrezione del Signore è garantita in tutti i suoi aspetti.

A Gerusalemme, oggi, sia orientali che latini celebrate i riti del Triduo pasquale la mattina. C’è una ragione storica in questo?

R.- In passato, anche al di fuori di Gerusalemme, la Veglia pasquale veniva celebrata in tutta la Chiesa latina, nella mattina del Sabato santo e si scioglievano poi le campane e il parroco con l’acqua nuova della Veglia andava a benedire le case e a benedire le mense delle famiglie. Successivamente, la Veglia pasquale, grazie a studi della prima metà del secolo scorso, opera, soprattutto di Odo Kasel, un benedettino tedesco, fu riportata nel suo alveo naturale che è nella notte. Questa riforma della Veglia pasquale precede il Vaticano II, ma fu naturalmente avvalorata dalla completa riforma del Triduo che fece il Concilio. Nella Basilica del Santo Sepolcro, vigendo lo status quo, dal 1750 non si può più cambiare nulla. Per cui la veglia rimane al mattino. Il Patriarca di Gerusalemme, proprio quest’anno, ha detto che è comunque significativo che risorga prima nella Basilica del Santo Sepolcro che in tutte le altre chiese del mondo. Però appunto il motivo è storico. Certamente, dobbiamo ricordare che gli ortodossi osservano ancora il digiuno eucaristico dalla mezzanotte, per cui è chiaro che per loro la celebrazione eucaristica, anche quella domenicale rimane al mattino, oppure nel cuore della notte e finisce dopo la mezzanotte in modo che i fedeli possano subito cibarsi.

Condividendo il privilegio di custodire Il tempio del Sepolcro di Gesù, vi arricchite delle liturgie, delle tradizioni e della fede delle altre due Chiese sorelle? E questo è reciproco?

R.- Certamente il rito del Fuoco Sacro, spogliato forse da questo “segreto” di un angelo che scende dal cielo, spogliato forse da questo antagonismo tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, è una manifestazione molto bella, molto ricca di fede, e molto significativa nella Basilica del Santo Sepolcro. Davvero segna il momento della Pasqua, così come sulla piazza del Santo Sepolcro non potrebbero mancare le danze della comunità eritrea che passa le notti del Triduo pasquale danzando, facendo catechesi, pregando, con i loro abiti particolarissimi. E’ particolare anche la pluricelebrazione della Pasqua, che spesso, nella Basilica del Santo Sepolcro, dura diverse settimane, perché celebriamo la Pasqua in date diverse, e non si può sfuggire al clima di preghiera, di festa che le altre confessioni cristiane continuano insieme a noi nella Basilica del Santo Sepolcro.

Quali ricchezze crede che noi cattolici latini possiamo ricevere dalla testimonianza di fede degli ortodossi e quali ricchezze della nostra fede e vita comunitaria, i fedeli e la Chiesa ortodossa possono ricevere da noi?

R.- La Chiesa cattolica Latina, ha fatto un percorso storico-critico. Per noi, ormai, la fede cammina a braccetto con la ragione. Siamo arricchiti da questo spirito storico-critico e con questo, e grazie a questo, viviamo la nostra fede. E’ tuttavia arricchente vivere accanto ad altre confessioni cristiane, che privilegiano un altro approccio alle verità di fede. Non solo storico-critico, e forse loro mancano di questo spirito storico-critico che dovrebbero accogliere come guadagno ecumenico avvicinandosi a noi. Ma a nostra volta, noi dovremmo anche imparare da loro uno spirito più di fede. Noi cerchiamo la santità attraverso una vita morale, una vita anche di amore, e si nota che le altre confessioni cristiane, soprattutto i greci ortodossi copti, puntano alla divinizzazione attraverso veglie di preghiera e attraverso pratiche del digiuno molto intense. Davvero noi cogliamo nelle loro liturgie questo protrarsi della preghiera, questo vegliare a lungo nella notte e questa pratica intensa del digiuno.