di Roberto Cetera
Ad accogliere Papa Francesco nelle isole greche, accanto a patriarchi e vescovi, ci sarà anche un semplice frate francescano che tanto potrà raccontare al Pontefice sulla tragedia degli sbarchi di migranti e rifugiati. È il padre francescano John Luke Gregory, da molti anni ormai parroco di Rodi e Kos, dove si dedica principalmente all’accoglienza e all’aiuto di centinaia di uomini, donne e bambini provenienti dal Medio Oriente (soprattutto siriani) e dal Nord Africa. «L’Osservatore Romano» ha seguito e raccontato più volte sulle sue pagine le iniziative di questo straordinario frate, innamorato della sua vocazione ed entusiasta del Papa. A padre John Luke abbiamo chiesto cosa significhi per lui, per i cristiani di Grecia, e per i “suoi” migranti questo nuovo viaggio di Francesco.
«Non mi sorprende affatto — ci dice — che il Pontefice stia tornando in Grecia. È un uomo non solo di parola, ma di azione concreta. Nel 2013 ha affermato di volere “una Chiesa povera per i poveri”. Questo desiderio è stato confermato in tutto il suo servizio pastorale alla Chiesa universale, ben evidente nella sua apertura agli scartati, agli emarginati socialmente, migranti e rifugiati, che egli afferma molto chiaramente, vivono spesso in condizioni terribili e situazioni deplorevoli. E, in Laudato si’ si legge che l’indifferenza per le ripetute tragedie che accadono a queste persone sfortunate è dovuta alla perdita della nostra responsabilità individuale e collettiva che grava su queste nostre sorelle e fratelli assediati».
I rifugiati, prosegue il francescano, «continuano ad arrivare sulle coste di tutte le isole dell’Egeo in questi patetici gommoni, per nulla degni del mare. Circa 300 la scorsa settimana sono stati trovati galleggianti e portati al centro dell’isola di Kos». Nonostante i frequenti “respingimenti”, spiega, i rifugiati decisi a fuggire continuano ad arrivare superando anche i pericoli del Mar Egeo, particolarmente intensi nei mesi invernali.
«Quanti siano gli annegati in questo “cimitero acquatico” non possiamo saperlo», sottolinea padre Luke che aggiunge: «Questo fine settimana sono andato a Kos, il mare era terribile, tanto da schiantare la barca su e giù sulle onde… eppure eravamo su un traghetto che può contenere 200 persone: immaginate voi cosa dev’essere la traversata per questi profughi che vengono assiepati in oltre trenta persone su gommoni che ne possono contenere al massimo 17!».
Il francescano ci racconta che dalla chiusura del centro non ufficiale per rifugiati di Rodi alla fine della festa del Ramadan, i rifugiati sono stati trasferiti ad Atene. Chi aveva i mezzi, però, è tornato indietro, dove si sentiva maggiormente al sicuro, accudito, sostenuto e soprattutto voluto: «Continuiamo a nutrirli e vestirli e a fornire le necessità di base della vita. Alcuni li abbiamo collocati in appartamenti o camere d’albergo economici. Altri sono ora in grado di lavorare. Vengono spesso in monastero e quando possono ci offrono il loro aiuto e poi mangiano e socializzano con noi. Del resto, è normale volersi sentire accolti e rispettati, desiderare che qualcuno si interessi a te. Sono tutti musulmani, sono tutti nostri fratelli! Siamo stati in grado di aiutare alcuni a raggiungere le loro famiglie in altri Paesi, e questo ha portato molta gioia a loro e a noi».
Chiediamo se anche i rifugiati, musulmani, sanno che Papa Francesco è al loro fianco e li sostiene: «Posso dirti di sì — risponde immediatamente padre Luke — lo sanno e lo chiamano: “Baba Francesco”. Comprendono che lui sente il loro dolore, parla per loro, e accende l’attenzione di tutto il mondo sulla loro condizione».
Nell’androne del monastero francescano di Rodi, sono appesi, uno accanto all’altro, un quadro di san Francesco e uno del Papa. I rifugiati, dice il religioso, «fanno il collegamento e dicono in arabo: “Francesco e Francesco!”». Sono piccoli segnali, aggiunge, «che fanno comprendere come quando le persone si trovano nel bisogno, è evidente che il credo, il colore, l’etnia o il genere non abbiano alcuna importanza. Papa Francesco ha dato “voce a chi non ha voce” e per questo noi e loro lo amiamo. Siamo così felici che venga di nuovo tra di noi. Ora possiamo dire di nuovo: “Benvenuto Baba Francesco!”».